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CAPITOLO SETTIMO
Epilogo
Come ho già detto fin da principio, questo elenco dei fenomeni sismici laziali non è, e non può essere pieno e perfetto, sebbene io vi abbia introdotto molte notizie che mancano nei grandi e laboriosi cataloghi dei terremoti italiani, pubblicati dal prof. Mercalli e dal dott. Baratta. Per giudicare delle innumerevoli deficienze basta istituire un confronto tra la quantità dei fenomeni registrati insino al 1870, cioè per circa 2770 anni, e la quantità degli altri notati in questi ultimi 36 anni, vale a dire dall’epoca in cui, per opera specialmente del prof. De Rossi, si incominciò ad osservare i terremoti e a pubblicarne le relazioni con assidua premura.
Le notizie del primo lunghissimo periodo giungono appena a 350: invece quelle del secondo periodo brevissimo sono più di 600, e nessuno potrebbe assicurare che vi si trovino tutte. Ma le notizie raccolte in questo periodo di osservazione sistematica si riferiscono a scosse di tutti i gradi, dalle più leggere alle più violente, ed invece quelle che ci vennero dalle storie e dalle cronache ricordano soltanto alcuni dei terremoti più notevoli.
Non è dunque possibile uno studio cronologico e statistico generale. Tuttavia se ci limitiamo ai fenomeni di maggiore intensità, cioè dal sesto al decimo grado della scala sismica Mercalli possiamo cavarne qualche importante conclusione.
E primieramente, lasciando anche da parte la rovina di Alba Longa e la voragine di Curzio, sappiamo che negli ultimi cinque secoli anteriori all’Era Volgare avvennero nel Lazio almeno quattro fatti sismici disastrosissimi i quali nel 202 e nel 198 produssero sprofondamenti di grande estensione a Velletri, nel 192 sconvolsero Roma per 38 giorni seppellendo gran numero di persone, e nel 117 spalancarono presso Piperno una voragine di "sette iugeri" (circa 17500 mq).
Negli anni 85, 94, 147 e 258 d. C. altri terremoti disastrosissimi a Roma: e nel 1227 enormi catastrofi e migliaia di morti nei monti del Lazio. Dopo quell’ultimo anno non è più accaduto nella regione laziale altro terremoto del decimo grado: ma questa considerazione, presa isolatamente, ha poc0 valore rispetto a ciò che potrebbe ancora avvenire, perché la distanza cronologica tra gli ultimi due terremoti disastrosissimi fu di quasi dieci secoli.
Il minimo delle notizie cade nella seconda metà del primo millennio d. C. cioè nel periodo medioevale di più bassa coltura, e un massimo relativo nei primi 70 anni del secolo XIX, poiché le 22 scosse di quel corto periodo corrisponderebbero a circa 160 in cinque secoli. Ma il massimo assoluto spicca nel brevissimo periodo degli ultimi 36 anni non ancora compiuti, cioè da quando in Italia la Sismologia incominciò ad essere una scienza di osservazione, e le 25 scosse più notevoli in esso comprese, ragguagliate allo stesso periodo di cinque secoli, diverrebbero almeno 340 !
— Questi calcoli di confronto, che servono solamente a spiegare la ragione delle quantità numeriche registrate nelle diverse condizioni dei tempi, non possono certamente avere alcun valore scientifico per la quantità reale dei fenomeni.
Ma se ci poniamo a considerare le cifre dello stesso specchio, vedremo subito che dopo il secolo XV, tenendo conto della lunghezza dei periodi, al crescere delle notizie sismologiche corrisponde un numero maggiore solo delle scosse molto forti e fortissime (6° e 7°), e un numero relativamente assai minore delle rovinose e disastrose (8° e 9°). Tutto ciò vorrebbe dire che l’attività sismica del Lazio diminuisce lentamente: e la conclusione acquista una ragionevole conferma dal fatto che moltissime delle scosse più violente derivarono dal cratere del Monte Albano e dagli altri centri che ne dipendono, nei quali il residuo delle forze interne sembra scemare di continuo.
Gli ultimi debolissimi conati eruttivi si ebbero nel 642 e nel 216 avanti l’Era nostra.
Un’altra conferma si può dedurre dal presunto carattere topografico delle notizie.
Nel periodo compreso tra il secolo V a. C. e il secolo XV dell’Era Volgare il numero delle scosse conosciute, dal sesto al decimo grado e di origine laziale, è 51; e 39 di esse, cioè circa 80% vennero attribuite alla sola Roma.
Orbene è assolutamente inverosimile che quei 39 scuotimenti avessero tutti l’epicentro in questa città o nelle sue immediate vicinanze.
Quindi una gran parte di quelle 39 scosse dovette giungere da altri luoghi della regione laziale, ove l’intensità fu certamente superiore a quella che si osservò a Roma. E così per l’epoca antica il numero dei terremoti più violenti crescerebbe di molto.
— Invece dal secolo XVI in poi, cioè dopo che le cronache e le storie divennero più particolari, si contano 63 terremoti dal sesto al nono grado, dei quali 8 soltanto, cioè appena 7% furono riferiti a Roma, e di questi nessuno veramente rovinoso, almeno nell’interno della città. Io credo che da queste medesime considerazioni sia scaturita la recente sentenza del signor De Montessus:
« Naturellement, Rome est beaucoup plus stable que ne le feraient supposer les innombrables tremblements de terre que sa longue histoire a permis de lui attribuer, faute d’autres renseignements ». (1)
Una seconda conclusione discende con tutta sicurezza dall’insieme delle notizie, e si riferisce ai centri di scuotimento, che sono moltissimi.
— Il territorio classico dei terremoti laziali è quello che si stende sopra il suo sistema vulcanico.
Monte Cavo, il cratere dei così detti Campi d’Annibale, Rocca di Papa, il Tuscolo, Montecompatri, Monteporzio, Marino, Civitalavinia, Velletri, i crateri-laghi di Albano e di Nemi, e quello della valle Aricina ora prosciugato, sono altrettanti centri sismici, quasi sempre indipendenti l’uno dall’altro. Avviene spessissimo che si scuota il suolo, anche fortemente, in uno di questi punti, senza che le vibrazioni percepibili dai sensi giungano al suolo dei paesi vicini, siccome appare distintamente dalla lunga serie dei fenomeni contenuti nel quinto e sesto capitolo.
Avviene ancora che le scosse si ripetano per molti giorni di seguito in un solo punto. Talora invece sono scossi alla stessa ora due luoghi abbastanza lontani (per esempio Rocca di Papa e Velletri, o Frascati e Albano, o Frascati e Velletri), e non si avverte alcun moto nei paesi intermedii: oppure, nel caso di terremoti molto violenti, l’intensità massima si manifesta su due punti lontani, per esempio a Velletri e Rocca di Papa, come accadde per la scossa disastrosa del 1806.
— Fuori del territorio vulcanico un centro di scuotimento si trova al Sud di Roma, presso la foce del Tevere, e di là, a giudizio del Baratta, sarebbero derivate le scosse fortissime del 1812 e del 1896.
(1) F. De Montessus de Ballore: Les tremblements de terre, Géographie séismologigue, Paris, 1906).
— Altri centri sono sparsi nelle colline calcaree e nelle valli da Monte Gennaro a Subiaco, Vallepietra, Genazzano, Palestrina e Tivoli.
— Altri nel territorio degli Ernici e in quelli limitrofi, specialmente ad Anagni, Veroli e Ceccano, e sembrano in relazione coi centri delle vicine provincie della Campania e dell’Abruzzo.
— Nella catena dei Lepini i terremoti sono molto rari, rarissimi quelli di origine locale. Si sentirono alcune scosse isolate a Sezze, Cori, Artena, Montelanico, Segni; una sola volta a Roccamassima e un’altra volta nel sottostante Giulianello.
— Probabilmente in tutti questi terreni calcarei, e più o meno argillosi, le scosse sono prodotte da scoscendimenti interni e poco profondi, preparati dalla erosione delle acque sotterranee, siccome il prof. Cancani dimostrò dei terremoti di Palombara Sabina, che incominciarono il 24 aprile del 1901. (1)
Ma i centri sismici della regione vulcanica laziale hanno caratteri diversi da quelli che mostrano gli altri centri dei terreni calcarei. Nei primi le scosse del suolo sono assai più frequenti, e in generale corrispondono a tutti i gradi della scala Mercalli, eccettuato fortunatamente solo il 10°, almeno pei secoli più recenti.
Le scosse leggere e leggerissime vi si avvertono cosi spesso, che quando si incominciò a registrarle alcuni stentarono ed ammetterne la realtà.
Vi si notano ancora molte scosse minime che d’ordinario non giungono a triare impressione sui sensi, e possono essere registrate soltanto da sismoscopii delicatissimi. — Invece nei centri dei terreni calcarei predominano le scosse mediocri e forti, e vi avvengono raramente le leggere e le fortissime.
In qualche luogo, come presso Montelanico, si osservano talvolta alcuni fremiti del suolo: ma resta a vedere quale ne sia la vera causa.
Inoltre i periodi di attività sismica più o meno forte sono spesso sommamente lunghi sul terreno vulcanico. Dal 21 maggio al 6 decembre 1829 si contarono in Albano 248 scosse, 17 tremiti del suolo, qualche volta continuati per molte ore, e 41 detonazioni.
(1) “Bollettino” della Società Sismologica Italiana, Vol. VII.
A Frascati dal 1849 al 1862 le scosse furono assai frequenti e forti.
A Velletri nel 1801 si ebbero almeno 16 scosse molto notevoli, e dopo il terremoto rovinoso del 22 gennaio 1892 il suolo non fu mai più tranquillo insino al 19 agosto del 1894, cioè dopo 31 mesi. Nello stesso periodo si avvertirono parecchie scosse anche a Civitalavinia, Genzano, Rocca di Papa e Nemi.
Altri numerosi esempi possono vedersi scorrendo le notizie dei due capitoli precedenti.
E gli antichi periodi attribuiti a Roma nel 193 e 192 avanti l’Era Volgare, come pure quelli del 477 e del 1287, dovettero dipendere anch’essi da convulsioni sismiche del Tuscolo o del monte Albano.
— Fuori della regione vulcanica i periodi sogliono essere molto più brevi, cioè di pochi giorni. I più prolungati furono quello di Palestrina dal 17 giugno al 15 agosto del 1844, e l’altro di Palombara dal 24 aprile al 18 maggio del 1901.
A questi periodi di tremori continui ne sono meno spesso intercalati altri egualmente lunghi di quasi perfetta quiete.
Dopo il terremoto rovinoso del 26 agosto 1806, fino al luglio 1808, non avvenne nel Lazio alcuna scossa degna di memoria.
In tutto il 1875 non si notò che una sola scossa forte a Tivoli; in tutto il 1894 una sola scossa forte a Montelanico; e in tutto il 1896 una sola forte a Vallepietra. Dal 15 febbraio 1886 a tutto il giugno 1817, e dal 26 aprile 1904 a tutto l’agosto 1906 una sola scorsa mediocre a Guarcino.
Auguriamoci che questa tranquillità del suolo possa durare lungamente, o almeno che non venga troppo turbata da pericolosi scuotimenti.
Velletri, 2 settembre 1906
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