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Ignazio Galli |
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INTRODUZIONE
La città di Velletri fu scossa dal più violento terremoto laziale dei tempi moderni il giorno 26 agosto del 1806: ed ora, dopo cento anni, essa ricorda con solenni festeggiamenti lo scampo da cosi grande sciagura. In questa occasione mi è sembrata opera opportuna, e quasi doverosa, raccogliere in un elenco bene ordinato la più grande quantità possibile di notizie intorno ai fenomeni sismici, che hanno agitato il suolo della nostra regione, dall’epoca più antica sino ad oggi, corredandole dei documenti che mi è stato permesso di rintracciare nella strettezza del tempo e cogli scarsi mezzi che possono aversi in una città di provincia.
La ricerca di tali documenti incontra sempre molte e gravi difficoltà. Non di rado le citazioni degli scrittori, anche autorevolissimi, sono troppo vaghe, o inesatte, od anche del tutto errate. In qualche caso di terremoto con epicentro lontano si asserì senza ragione alcuna che lo scuotimento si propagasse fino a Roma ed ai paesi vicini, come si fece per la scossa che circa dieci anni prima dell’Era volgare avvenne in quella parte dell’Appennino ove era la villa dì Livia, adducendo in prova la testimonianza di Giulio Ossequente, il quale non dice altro che questo: « Sub Apennino, in villa Liviae uxoris Caesaris, ingenti motu terra intremuit ».
Ma si incontra ancora qualche cosa di peggio. Nell’anno 27 dell’Era nostra un immenso anfiteatro di legno, costruito da certo Atilio a Fidene, già ridotta a semplice villaggio, sulla via Sabina, crollò improvvisamente, uccidendo più di ventimila spettatori e storpiandone almeno altrettanti, mentre si dava lo spettacolo dei gladiatori. Orbene in quasi tutti i cataloghi di terremoti è registrata per quell’anno una fortissima scossa a Roma colla contemporanea catastrofe di Fidene. Ma nessuno può dire da qual fonte sia derivata tale notizia. Svetonio, che visse pochi anni dopo, parlò del disastro senza punto accennare a scosse del suolo.
Egli dice soltanto che Tiberio dalla deliziosa Capri, : « revocante assidua obtestatione populo, propter cladem qua apud Fidenas supra XX. hominum millia, gladiatorio munere, amphitheatri ruina perierunt, transiit in continente tem ».
E Tacito, quasi coetaneo di Svetonio, riferì anche la spiegazione del fatto puramente meccanico, poiché Atilio: « ncque fundamenta per solidum subdidit, ncque firmis nexibus lignorum compagem superstruxit, ut qui non abundantia pecuniae, nec municipali ambitione. sed in sordita mercede id negotium quaesivisset ».
Per la vicinanza del luogo (7 o 8 chilometri da Roma, e precisamente ove ora è Castelgiubileo), e perché Tiberio trascurava di divertire il popolo coi consueti e tanto desiderati spettacoli, accorse una folla innumerevole, e pel carico sproporzionato alla poca solidità della costruzione, : « conferta mole, dein convulsa, dum ruit intus aut in exteriora funditur, immensamque vim mortalium spectaculo intentos, aut qui circum adstabant praeceps trahit atque operit Quinquaginta hominum millia eo casu debilitata vel obtrita sunt ».
E lo storico soggiunge: « Cautumque in posterum senatusconsulto, ne quis gladiatorium munus ederet cui minor quadragentorinn millium res; neve amphitheatrum impone retìtr, nini solo flrmifafis spectafae, Atilius in exilium actus est ».
Perché dunque incolparne un terremoto immaginario?
Non sempre mi è riuscito di appurare la veracità delle notizie e delle indicazioni : e quindi pei casi più dubbi me ne rimetto a coloro che le hanno date, o che li hanno prese da altri, trascrivendo le loro citazioni, affinché possano in seguito confrontarsi coi documenti che a qualcheduno verrà fatto di rintracciare.
I fenomeni sismici che imprendo a considerare si riferiscono al Lazio Nuovo, chiamato da Plinio Latium Adiectum come divenne secondo la circoscrizione fatta da Augusto, per distinguerlo dal Latium Antiquum assai più ristretto: e corrisponde presso a poco ai tre circondarii di Roma, di Velletri e di Frosinone.
Questa piccola porzione dell’Italia media, cosi spesso soggetta agli scuotimenti, confina colla Sabina propriamente detta, coll’ Abruzzo e colla Campania, tutte regioni sismiche disgraziatamente celebri per la frequenza e la violenza delle scosse: e perciò accade spesso che i forti terremoti di quelle regioni si estendano con energia decrescente anche al nostro Lazio.
Contrassegnerò con asterisco le scosse che non furono di origine laziale.
Le mie osservazioni dei fenomeni sismici incominciano dal 1870, e così per gli ultimi 37 anni si ha una serie continua di tutte le scosse avvenute a Velletri, dalle minime percepibili coi sensi insino alla più forte che fu quella del 22 gennaio 1892.
Tralascio le insensibili, rivelate solo dagli istrumenti sismici. Per tutti gli anni precedenti, cioè dal 900 circa innanzi l’Era volgare fino al 1869, non si conoscono che molti fatti sismici più notevoli, la maggior parte dei quali venne osservata nei paesi del Lazio, e soprattutto a Roma, ove, pel numero degli storici e dei cronisti e per la importanza somma della città, le memorie d’ogni specie risultarono senza paragone abbondanti ed estese.
E certo tuttavia che specialmente per le scosse mediocri, molte notizie sismologiche di perfetta autenticità restano ancora nascoste nelle cronache paesane e nei protocolli degli archivi pubblici e privati. Chi potesse e volesse scavarle ed offrirle ai sismologi, renderebbe senza dubbio un grande servizio alla scienza. Parecchie scosse intese nel Lazio non furono ancora notate nei cataloghi, siccome farò avvertire per ciascuna al suo luogo.
La classificazione precisa dei terremoti rispetto alla intensità è sempre opera difficilissima. Bisogna contentarsi di una stima approssimativa tratta dagli effetti meccanici, e per le scosse più deboli dalla impressione sensoria. Ma i sensi non sono egualmente pronti nelle diverse persone, e gli effetti meccanici dipendono da svariate condizioni nella coesione e nella pendenza del suolo, nello spessore e nell’altezza relativa dei muri, nei materiali di costruzione, nella forma degli edifici, e nell’allineamento dei quartieri in confronto colla direzione dell’urto.
Nel 1872 il professor Michele Stefano De Rossi propose pel primo una scala sismica formata di 10 gradi, la quale nel Congresso Geografico Internazionale, tenuto a Venezia l’anno 1881, fu alquanto modificata d’accordo col professor F. A. Forel di Morges, rappresentante della Società Sismologica Svizzera.
Ventuno anni dopo il 1° Congresso della Società Sismologica Italiana a Brescia, nel settembre 1902, accolse con molto favore una nuova scala meglio graduata del professor D. Giuseppe Mercalli: e da allora in poi essa è adottata generalmente anche fuori d’Italia.
Nella 3° Conferenza Internazionale di Sismologia, adunatasi l’anno scorso a Berlino, il professor Von Kóvesligethy, dell’Università di Budapest, sostenne l’opportunità di mantenere questa scala; e il dottor J. P. Van der Stock, Direttore del R. Istituto Metereologico Olandese, espresse i suoi gravi dubbi sui possibili miglioramenti da introdurvi col lavoro di una speciale commissione.
Io dunque mi servirò della stessa scala per valutare il grado dinamico di ciascuna scossa, ovvero di un gruppo di scosse: ma in molti casi di terreni antichi le circostanze e gli effetti dello scuotimento, o non si accennano punto, o si riducono a cosi poca cosa, da non permettere alcun giudizio sulla intensità del fenomeno.
E perché ognuno possa comprendere il valore del grado assegnato alle singole scosse, riporto qui per disteso la scala sismica del professor Mercalli.
Scala sismica Mercalli
1°. — “Scossa istrumentale”, cioè segnata dai soli istrumenti sismici.
2°. — “Molto leggera” (leggerissima), avvertita solamente da qualche persona in condizioni di perfetta quiete, specialmente nei piani superiori delle case, ovvero da persone molto sensibili e nervose.
3°. — “Leggera”, avvertita da parecchie persone, ma poche relativamente al numero degli abitanti di un dato paese: si dice che fu appena sentita senza alcuna apprensione, e in generale senza accorgersi che fosse terremoto, se non dopo saputo che altri hanno pure avvertito il fenomeno.
4°. — “Sensibile o mediocre”, avvertita non generalmente, ma da molte persone nell’interno delle case; però da pochi nel piano terreno; senza spavento, ma con tremito d’infissi, di cristalli, scricchiolio d’impalcature, leggera oscillazione di oggetti sospesi.
5°. — “Forte”, avvertita generalmente nelle case, ma da pochi nelle strade: con risveglio di persone addormentate, con ispavento di alcuni, sbattere d’usci, suono di campanelli, oscillazione piuttosto ampia di oggetti sospesi, arresto d’orologi.
6°. — “Molto forte”, avvertita da tutti nelle case, e da molti con ispavento e fuga all’aperto: caduta di oggetti nelle case, caduta di calcinacci con qualche lesione leggera negli edifici meno solidi.
7°. — “Fortissima”, avvertita con ispavento generale e fuga dalle case, sensibile anche nelle strade: suono di campane di torre, caduta di fumaioli e di tegole; lesioni negli edifici numerose, ma in generale leggere.
8°. — “Rovinosa” avvertita con grande ispavento, rovina parziale di alcune case, e lesioni generali e considerevoli nelle altre: senza vittime, solamente con qualche disgrazia personale isolata.
9°. — “Disastrosa” con rovina totale o quasi di alcune case, lesioni gravi in molte altre, tali da renderle inabitabili: vittime umane non molto numerose, ma sparse in diversi punti degli abitati.
10°. — “Disastrosissima”, con rovina di molti edifici e molte vittime umane: spaccature nel suolo, scoscendimenti nelle montagne, ecc.
N.B. - Nel giudicare della intensità delle scosse dai loro effetti, bisogna tener calcolo del complesso dei danni e delle rovine, piuttosto che di qualche fatto isolato, il quale spesso trova la sua ragione nelle condizioni particolari di qualche edificio più che nella intensità della scossa: e specialmente devesi badare se la popolazione si trovava al momento del terremoto nelle case o nelle vie, raccolta nelle chiese o nei teatri.
Divido la raccolta dei terremoti in periodi secolari più o meno lunghi, secondo il numero dei fenomeni conosciuti.
Questi periodi non hanno dunque alcuna relazione colla importanza e colla frequenza delle scosse. Esporrò infine le poche deduzioni che possono trattisi da tutta la raccolta.
CAPITOLO PRIMO
Terremoti anteriori all’Era volgare
Le più antiche memorie sui fenomeni sismici del Lazio sono naturalmente mescolate colle tradizioni leggendarie e favolose intorno alla origine di Roma. Ma hanno l’impronta di una grande verosimiglianza, perché legate alle ultime manifestazioni vulcaniche dei monti Albani: e perciò non debbono essere trasandate. Le notizie veramente storiche incominciano dal quinto secolo prima dell’Era cristiana. Ed ecco tutto ciò che ho potuto trovare.
1. — Anno 900 circa a. C. - Terremoto disastrosissimo presso il lago Albano, 10° della scala Mercalli. - Il professore Mercalli registra questo terremoto senza citare la fonte. Io credo che la notizia derivi dalla leggenda dell’undecime re di Alba Longa il quale dai vari storici fu variamente chiamato coi nomi di Elladio Silvio, Aremolo Silvio, Remolo Silvio, Romolo Silvio: poiché sembra quasi certo che nel IX secolo a. C. accadesse una grande rovina in quella città, distesa lungo la ripidissima riva settentrionale del lago, e che la reggia precipitasse nell’acqua.
Ma in due modi diversi è indicata la causa prossima del disastro; e forse vi concorsero ambedue le cause, prodotte da subitanea eruzione. Dionigi d’Alicarnasso, Diodoro Siculo e Pisone Censorino raccontarono che da un temporale turbinoso e dall’improvviso innalzamento del lago, il re e il suo palazzo furono fulminati e inghiottiti: fenomeni fortissimi in tempo di eruzione.
Invece gli storici Atifidio e Domizio attribuirono il disastro ad un terremoto.
Rispetto all’epoca dell’avvenimento non si può avere altro che una qualche approssimazione, per la grande incertezza della cronologia, almeno fino ai primi anni della repubblica.
2. — A. 642 circa a. C. - Eruzione di pietre e boati sul monte Albano - Tito Livio narra questo fatto, occorso
poco prima che morisse Tulio Ostilio, terzo re di Roma: ed è assai probabile che quella piccola eruzione fosse accompagnata da scosse, almeno sui fianchi del monte. « Devictis Sabinis, cum in magna gloria magnisque opibus regnum Tullii ac tota res Romana esset, nuntiatum regi patribusque est in monte Albano lapidibus pluisse, quod cum credi vix posset, missis ad id visendum prodigium in conspectu haud aliter, quam grandinem venti glomeratam in terras agunt, crebri cecidere coelo lapides: visi etiam audire vocem ingentem ex summi cacuminis luco ».
3. — A. 461 a. C. - Terremoto fortissimo a Roma, 7° - Nello stesso T. Livio si legge: « Eo anno coelum ardere visum, terra ingenti concussa motu est ». Non vi è indicazione esplicita di luogo: ma, secondo l’uso costantemente seguito dall’autore e da altri scrittori romani, ciò vuol dire che il fenomeno avvenne a Roma o nei luoghi molto vicini.
4. — A. 437 a. C. - Terremoti rovinosi a Roma e nelle vicinanze, - Livio, parlando della pestilenza che invase Roma, soggiunge: « Ceterum magis vis morbi ingravescens curae erat terroresque ac prodigia, maxime quod crebris motibus terrae ruere in agris nuntiabantur tecta. Deprecatio itaque a populo duumviris praeeuntibus est facta ».
5. — A. 361 a. C - Voragine di Curzio, ?° - Livio, sospettando di un terremoto, riferisce così l’avvenimento:
« Eodem, anno, seu motu terrae seu qua vi alia, forum medium ferme specu vasto conlapsum in immensam altitudinem dicitur, neque eam voraginem coniectu terrae, cum prò se quisque gereret, expleri potuisse “.
7. — A. 217 a. C: aprile - Terremoto disastrosissimo e maremoto nell’Umbria e nelle regioni vicine, 10°. - Un esercito romano, condotto dall’incauto C. Quinto Flaminio, fu distrutto da quello di Annibale presso il Trasimeno(1). Così Livio: « tantusque fuit ardor animorum, adeo intentus pugnae animus, ut eum motum terrae, qui multarum urbium Italiae magnas partes prostravit, avertitque cursu rapidos amnis, mare fluminibus invexit, montes lapsu igenti proruit, nemo pugnantium senserit ».
Mi sembra che una scossa cosi terribile abbia dovuto propagarsi almeno insino ai paesi più settentrionali del Lazio e forse alla stessa Roma. Tale supposizione trova buon appoggio in una strana sentenza di Plinio.
Egli dopo aver detto che: « intra eundem annum septies atque quinquagies nuntiatus Romam (terrae motus) », prosegue: « Quo quidem anno ad Transymenum lacus dimicantes, maximum motum neque Poeni sensere, nec Romani. Nec vero simplex malum, aut in ipso tantum motu periculum est: sed par aut maius ostento. Nunquam urbs Roma tremuit, ut non futuri eventus alicuius id praenuntium esset ».
8. — A. 216 a. C. - Ultima eruzione di pietre sul monte Albano, ?° - La notizia è data ancora da T. Livio: « In Albano monte biduum continenter lapidibus pluit.... Sol rubere magis, sanguineoque similis ».
Questo rosseggiare del sole si dovette forse ad una contemporanea emissione di cenere, ed è probabile che il monte ed il terreno adiacente tremassero.
(1) Per qualche antica indicazione, errata o alterata, si credette una volta che questa battaglia accadesse verso la fine di giugno: ma ora gli storici la pongono in aprile (Storia della Grecia e di Roma del Dott. G. F. Hertzeberq, T. II, Milano, 1886).
9. — A. 202. a. C. - Sprofondamento a Velletri, 10° ? - Il fatto non può ammettersi senza supporre un violentissimo terremoto locale. Livio scrisse soltanto: « In Veliterno agro terra ingentibus cavernis consedit, arboresque in profundum haustae». Lo stesso fatto era avvenuto nel territorio d’ Arpino l’anno precedente (203): «Arpini terra campestri agro in ingentem sinum consedit ».
10. — A. 198 a.C. - Altra grande voragine a Velletri, 10° ? - Quattro soli anni più tardi. « terra Velitris trium
iugerum spatio caverna ingenti desederat », probabilmente per la stessa ragione.
11. — A. 193 a. C. autunno. - Terremoti frequentissimi nelle regioni intorno a Roma, 7°. - Qualcuno ha creduto che nel brano storico seguente T. Livio parlasse di fenomeni sismici a Roma: ma è chiaro che colà giungevano solo gli annunci straordinariamente numerosi delle scosse avvertite in altri luoghi, assai vicini come pare, e probabilmente nei colli laziali e tiburtini.
« Principio anni, quo L. Cornelius, Q. Minucius consules fuerunt, terrae motus ita crebri nuntiabantur, ut non rei tantum ipsius, sed feriarum quoque ob id indictaram homines taederet. Nam neque senatus haberi, neque res publica administrari poterat, sacrificando expiandoque occupatis consulibus. Prostremo, decemviris adire libros iussis, ex responso eorum supplicatio per triduum fuit. Coronati ad omnia pulvinaria supplicaverunt, edictumque est, ut omnes qui ex una familia essent, pariter supplicarent. Item ex auctoribus senatus consules edixerut, ne quis, quo die terrae motu nuntiato feriae indictae essent, eo die alium terrae motum nuntiaret » (1).
(1) Per la grande imperfezione del calendario di Numa, sebbene più volte corretto, e per le successive arbitrarie intercalazioni, prima della riforma ordinata da Giulio Cesare il principio dell’anno restava continuamente spostato. Cosi fanno di Roma187, corrispondente presso a poco al 165 a. l’Era volgare, incominciò ai 15 di ottobre secondo il computo del calendario Giuliano. Ecco perché ho riferito all’autunno i fenomeni narrati da T. Livio.
12. — A. 192 a. C. - Terremoto a Roma per 38 giorni continui, 10°*. - È questo il più disastroso e il più lungo terremoto di Roma. Livio ne parla cosi: « Terra dies duodequadraginta movit. Per totidem dies feriae in soUicitudine ac metu fuere; in totidem eius rei causa supplicatio habita est. Ille non pavor vanus, sed vera multorum clades fuit ». (1).
13. — A. 191 a. C. - Forse terremoto a Roma, 3° ? - Giulio Ossequente ne dubitava: « Saxum ingens, sive imbribus, sive terrae motu leviore quam alioqui sentiretur, labefactatum, in vicum iugarium ex Capitolio procidit, et multos oppressit ».
E qui si vede che a quel tempo già qualcuno credeva alla realtà di scosse cosi leggere da non essere facilmente intese.
14. — A. 184-183 a. C. - Terremoto a Roma, ?° - Il Mercalli lo registra semplicemente cosi: « nell’anno a Roma », senza indicare la fonte.
15. — A. 179 a. C. - Terremoto a Roma e nei dintorni, 6° - Ancora T. Livio: « Ludi Romani instaurati ab aedilibus curulibus C. Servilio Caepione, A. Claudio Centone, propter prodigia quae evenerant. Terra movit: in foris publicis, ubi lectisternium erat, deorum capita, quae in lectis erant, averterunt se, lanaque cum integumentis, quae Iovi appositafuit, decidit...; Ad ea expianda nihil ultra quam ut ludi instaurarentur actum est » (Lib. XL., e. 59). E Giulio Ossequente premette: « Romae et circa plurima decussa ».
16. — A. 118 a. C. - Terremoto a Roma, 6° - Il medesimo Giulio Ossequente dice: « Terra cum mugitu tremuit ».
17. — A. 117 a. C. - Grandissima voragine a Piperno, 10° - Anche questo sprofondamento fa supporre una scossa violentissima e la notizia è data dallo stesso autore: « Priverni terra septem ingerum spacio in caverna desedit ».
18. — A. 99 a. C. - Rombo fortissimo presso a Roma.
(1) Vi fu chi prese il vocabolo composto duodequadraginta per 42 giorni, invece di 38: e poi altri, senza consultare il testo, hanno ripetuto io stesso equivoco.
Forse il rumore fu accompagnato da sviluppo di vapori visibili, perché Giulio Ossequente si esprime cosi:
« Fremitus ab inferno ad coelum fem visus, inopiam famenque portendit ».
E dovette udirsi e vedersi vicino a Roma, perché immediatamente aggiunge:
« Populus stipem, matronae thesaurum, et virgines dona Cereri et Proserpinae tulerunt. Per virgines vigintiseptem cantitatum. Signa cupressea duo Iunoni Reginae posita ».
Nello stesso anno a Norcia terremoto disastroso: « Nursiae aedes sacra terrae motu disiecta ».
19. — A. 79 a. C. - Terremoto disastrosissimo a Rieti, 10°; e probabihnente nel Nord del Lazio. - Dal medesimo Giulio Ossequente abbiamo: « Reate terrae motu aedes sacrae in oppido agrisque commotae. Saxa, quibus forum stratum erat, discussa. Pontes interrupti. Ripae labentis fluminis in aquam provolutae. Fremitus inferni exauditi. Et post paucos dies, quae concussa erant, corruerunt. Saxum vivum cum provolveretur, in praecipiti rupe immobile stetit».
20. — A. 36 a. C. - Molte scosse a Roma, maremoto a Ostia, 8°. - Per l’anno in cui Ottaviano Augusto entrò solennemente a Roma, dopo l’uccisione di Cesare, Giulio Ossequente enumerò grande quantità di avvenimenti e fenomeni tenuti per prodigiosi, tra i quali: « terrae motus crebri fuerunt... Hostiae grex piscium in sicco reciproco maris fluxu relictus ». (1)
Adunque nei nove secoli anteriori all’Era volgare il Lazio ebbe per lo meno 13 terremoti molto notevoli: cioè, 5 disastrosi o disastrosissimi, 2 rovinosi, 4 fortissimi, 2 forti, senza contare le scosse mediocri e leggere, che debbono essere state assai numerose, sebbene non ne resti memoria.
I fenomeni corrispondenti ai numeri 2, 6, 8, 9, 10, 13, 16, 18, e 20 non si trovano nel catalogo del Mercalli.
(1) Queste ed altre notizie di Giulio Ossequente vennero assegnate all’anno 42 prima dell’Era cristiana (710 di Roma): ma gli storici moderni pongono il ritorno di Ottaviano nell’anno 36 ai 13 di novembre.
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