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ALTRI   PERSONAGGI


[E]13a sestina, 2a riga    GUILLAUME (Guglielmo) D’ESTOUTEVILLE Cardinal Vescovo Governatore di Ostia-Velletri dal 1461 al 22 feb. 1483.
Monaco cluniacense era nato in Normandia, fu Vescovo di grandi chiese in Francia. Cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti venne investito in pectore durante il concistoro del 18 dicembre 1439 da Eugenio IV e in seguito venne nominato Cardinale Vescovo di Porto Santa Rufina, quindi decano del Sacro Collegio e Cardinale Vescovo della diocesi di Ostia-Velletri; ricoprì la carica di cardinale elettore durante i conclave che elessero Niccolò V, Paolo II, e Sisto IV, ma non era a Roma durante il periodo di sede vacante che precedette l’elezione di Papa Callisto III. Il 14 ott. 1478 Sisto IV diede in pegno al Cardinale di Velletri le tenute di Carcari e di S. Severa assieme a Vico, Casamala, Frascati ed altre, a garanzia di un prestito per le sfinite casse pontificie di 20.000 scudi d’oro.
Divenuto signore di Frascati il d’Estouteville diede mano ad importanti lavori: sistemò l’assetto viario, ricostruì la Rocca, fornì il borgo di un acquedotto, di cinta muraria ed un nucleo di case.
In Velletri a fianco del Seminario Vescovile fondato dal cardinale Giovanni Moroni, durante il Concilio di Trento, si affaccia il Palazzo Vescovile fatto costruire nella seconda metà del ‘400 dall’Estouteville, di cui oggi rimangono tre grandi finestre a croce guelfa, visibili sul Corso tra il civico 345 e il 347, questo venne ampliato nel corso dei secoli XVII e XVIII fino ad addossarsi alla facciata medioevale della Cattedrale; parti di questa struttura sono state rese visibili durante gli ultimi lavori del nuovo museo.
Fu il famoso Cardinal di Trani, il primo ad essere nominato Governatore perpetuo di Ostia-Velletri, ma in verità Paolo II nel 1470 aveva concesso al Cardinale d’Estouteville il titolo di Protettore di Velletri. Con questo titolo al d’Estouteville, Velletri vide scomparire per sempre la sua autonomia di piccolo stato.

   
 

"Card. fra Guglielmo D'Estouteville " 1483

 

PANDOLFO MALATESTA (Pandolfaccio Malatesta) (luglio 1475 - † giugno 1534) di Verucchio. Signore di Rimini, Cittadella, Sarsina e Meldola. Figlio naturale di Roberto, fratello di Carlo, padre di Sigismondo e di Galeotto Malatesta; cognato di Ranuccio da Marciano, Giberto Pio, Galeotto Manfredi, Niccolò Maria Rangoni e Annibale ed Alessandro Bentivoglio; nipote di Giovanni Aldovrandini.
Alla morte del padre Roberto nel 1482, veneziani e pontifici gli concedono la dignità onorifica di capitano generale e uno stipendio di 16.000 scudi e gli inviano 150 uomini d’arme per la difesa del suo stato.


I COLONNA Nuovi lutti e nuovi disastri vennero a sconvolgere le nostre contrade quando nella primavera del 1482, sotto il pontefice Sisto IV, scoppiò la guerra tra Ferrante re di Napoli e il Papa. I Colonna di Paliano si schierarono con il primo e con il loro importante aiuto Alfonso di Calabria, figlio del re, riuscì a portare la guerra fin sotto Roma; in questa occasione la valle dell’Amaseno fu messa al sacco dall’esercito napoletano in cui militavano anche truppe selvagge di cavalieri turchi che, dove passavano, non lasciavano che rovina e morte, e territori orrendamente devastati.
Dopo la vittoria pontificia a Campomorto, il senatore di Roma, Leonardo della Rovere, nipote del papa, diffidò i Colonna e il 12 dicembre pronunziò la confisca dei loro beni. Questi però continuarono a difendersi disperatamente sotto la guida di Prospero e Fabrizio che stavano iniziando a conquistarsi quella fama che tanto doveva poi ingrandire e dar lustro al loro nome, e morto Sisto IV (12 agosto 1484), furono dal nuovo pontefice Innocenzo VIII reinseriti nei loro diritti e nelle proprietà.

   
 

" Arme dei Colonna di Paliano "

 

GIOVANNI MOCENIGO (1409 - †1485) Doge veneziano, figlio di Leonardo e Francesca Molin, fratello del doge Pietro Mocenigo. Secondo alcuni fu prescelto più per gli alti meriti acquisiti dal fratello che per i propri ma, al contrario, il “Da Mosto” riporta cronache in cui esso è visto come «homo quieto, human, liberale, destro e giusto», dando invece una buona impressione sulle sue effettive capacità.
Venne eletto all’ottavo scrutinio, il 18 maggio 1478, grazie all’appoggio di alcuni autorevoli parenti. Il suo fu il settantaduesimo dogato e iniziò sulla fine della lunga guerra con i turchi (1463-1479). La sproporzione di forze obbligò la Serenissima ad una onerosa pace nel gennaio 1479 che la costrinse a cedere alcune roccaforti e a pagare pesanti tributi per poter commerciare liberamente nell’impero turco. Firmata la pace, giunse inattesa la peste che, dopo aver falciato la maggior parte del popolo veneziano, si portò via anche la dogaressa, Taddea Michiel, morta il 23 ottobre dello stesso anno.
Anche il doge s’ammalò ma riuscì a sopravvivere. Nel 1480 intanto, aumentò la tensione sulla terraferma. Ferrara e gli altri stati, non potendo ostacolare la Serenissima, perché ormai potenza affermata, cercarono delle pretese su Rovigo, ed Ercole I d’Este spalleggiato dal re di Napoli mosse le truppe sul Polesine. Grazie ad un’alleanza d’interesse con Sisto IV (per il nipote Girolamo Riario) Venezia entrò in guerra e sconfisse il duca d’Este; la stretta su Ficarolo mostrò subito che Venezia era capace di grandi sforzi e con la sua caduta l’esercito veneziano non ebbe più ostacoli per la conquista dei territori d’oltre Po, che un mese dopo erano completamente sotto il potere della Serenissima. Ferrara stessa nel novembre 1482 fu sul punto d’esser presa, ma fu salvata da Sisto IV, che abbandonò Venezia per unirsi alla Lega; ed il 7 agosto 1484 con la pace di Bagnolo, Ercole I riprese Adria, Ariano, Ficarolo, Melara, Castelnuovo e Castelguglielmo, mentre Rovigo ed il Polesine rimasero alla repubblica veneziana. Il doge Mocenigo però, sempre più vecchio, nell’estate 1485 venne colpito una seconda volta dalla peste e questa volta non riuscì a sopravvivere. Morì il 14 settembre e venne sepolto in tutta fretta ed in segreto a seguito dello svilupparsi del contagio nella città.

   
 

"Il Doge Giovanni Mocenigo" di Gentile Bellini

 

[C] 5a sestina, 3a riga    SISTO IV (Francesco della Rovere) (Celle Ligure 21 luglio 1414 - Roma, †12 agosto 1484) Papa dal 1471 alla sua morte.
Francescano, si laureò in teologia a Padova nel 1444 (chi dice a Bologna e chi a Pavia). Insegnò in varie università dell’epoca prima di diventare ministro generale dell’ordine dei frati minori (1464-1469). Nel 1467 fu creato cardinale da Paolo II, alla cui morte (1471) fu eletto papa. Quando venne insignito per prima cosa ricambiò subito gli elettori: Latino Orsini diventò camerlengo e Francesco Gonzaga ricevette l’abbazia di San Gregorio.
Sisto IV perseguì una politica di rafforzamento del potere della Chiesa; sfrenato nepotista, collocò i nipoti in posti chiave arrivando ad eleggerne tre al cardinalato: Giuliano Della Rovere (poi papa Giulio II); Pietro Riario (secondo alcuni suo figlio) che sembra puntasse a succedergli nel papato; Girolamo Riario che poi attaccò al chiodo la porpora per sposare una figlia del duca di Milano e ricevere dallo zio Sisto il dominio delle signorie d’Imola e Forlì. Quest’ultimo fu uno dei capi nella congiura dei Pazzi, che puntava ad uccidere Lorenzo de’ Medici e suo fratello Giuliano per sostituirli a Firenze: il piano originale prevedeva il crimine durante il pranzo organizzato a Villa Medici di Fiesole, tramite l’uso di veleno che Jacopo de’ Pazzi e il Girolamo avrebbero nascosto in una delle libagioni destinate ai due fratelli. L’occasione del pranzo era data dall’elezione a protonotaro apostolico, del nipote di Sisto, il diciottenne Raffaele Riario Sansoni, ignaro delle trame dei congiurati.
Sisto IV fu il Papa del rinnovo urbanistico della Roma rinascimentale, fra le opere ricordiamo Ponte Sisto che doveva avvicinare la parte più antica della città, Via Sistina nel rione di Borgo per facilitare l’accesso a San Pietro e la più nota Cappella Sistina. Adeguatosi a quanto aveva indicato Paolo II, celebrò il settimo giubileo nel 1475, ma si registrò poca affluenza di pellegrini causata dai molteplici scontri e tumulti sulla penisola, dagli allagamenti del Tevere e dalla peste che costrinse lo stesso Sisto a lasciare Roma. Così il giubileo si protrasse fino a Pasqua del 1476 vedendo in San Pietro la presenza di molti principi: Ferdinando re di Napoli con la moglie, Giovanni duca di Sassonia, Cristiano I re di Danimarca e Caterina di Bosnia che poi donerà il proprio regno alla Santa Sede. Fu in questa occasione che il Giubileo venne denominato per la prima volta «Anno Santo». Sisto nel 1478 acconsentì all’inquisizione spagnola, emanò una bolla che istituiva un inquisitore a Siviglia, sotto pressione politica di Ferdinando II di Aragona, proponendo il priore dei Domenicani di Santa Cruz, Tommaso di Torquemada che, severo e fanatico, divenne il simbolo della tortura.
Nelle questioni religiose, Sisto IV istituì la festa dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria (8 dicembre).
Ingrandì la Biblioteca Vaticana, aiutato dal bibliotecario Platina (pagato con 10 scudi d’oro mensili, 3 domestici, un cavallo e uno scudiere), chiamò alla sua corte i più grandi pittori e scultori del tempo: il Verrocchio, Botticelli, il Pinturicchio, il Perugino, il Ghirlandaio, Melozzo da Forlì. Fece altresì costruire l’ospedale di Santo Spirito ed un albergo per i nobili malati caduti in miseria.
Sull’omosessualità di Sisto IV il cronista dell’epoca Stefano Infessura (1440-1500) scrisse nel 1484 nel suo Diario in latino un’infinità di fatti documentati e di pettegolezzi infondati: «Costui, fu amante dei ragazzi e sodomita, infatti cosa abbia fatto per i ragazzi che lo servivano in camera lo insegna l’esperienza; a loro non solo donò un reddito di molte migliaia di ducati, ma osò addirittura elargire il cardinalato e importanti vescovati.
Infatti fu forse per altro motivo, come dicono certi, che abbia prediletto il conte Girolamo, e Pietro, suo fratello e poi cardinale di san Sisto, se non per via della sodomia?
E che dire del figlio del barbiere? Costui, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e, come dicono, di un importante vescovato; costui, si dice, voleva elevarlo al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino, ma Dio vanificò il suo desiderio».
Sisto morì il 13 agosto 1484, a 70 anni. Fu sepolto con abito francescano nella basilica vaticana e riposa nel sepolcro bronzeo di Antonio del Pollaiolo.
Alla sua morte ci furono diverse pasquinate terribili tipo questa:
        « Sisto, sei morto alfine: orgia di sozzi pianti
        ti dan ruffian, cinedi, meretrici e baccanti.
        Sisto, sei morto alfine: ingiusto, infido, giace,
        chi la pace odiò tanto in sempiterna pace. »
Ma terminiamo qui, oltre non fa parte della nostra storia e non è nostra curiosità snodare dubbi che si trascinano da oltre cinque secoli.

   
 

"Papa Sisto IV" (Francesco della Rovere)

 

LITTORIA Nome fantasioso dell’eroina nel cantico, preso in prestito dalla città delle paludi pontine che fu fondata il 30 giugno 1932 e inaugurata il 18 dicembre 1932 (fino al 1946), oggi Latina.
LITTORIO è un aggettivo che significa letteralmente “del littore”.
I littori erano una speciale classe di servitori civili dell’antica Roma che, sia in età repubblicana sia in quella imperiale avevano il compito di proteggere i magistrati dotati di imperium.
All’inizio i littori erano scelti dalla plebe, anche se, per gran parte della storia di Roma, sembrano essere stati soprattutto liberti. Tuttavia, erano senza dubbio cittadini romani, dato che dentro Roma indossavano la toga.
Dovevano essere forti e capaci di lavori fisici, erano esentati dal servizio militare ed agli inizi dell’età imperiale ricevevano un salario fisso di 600 sesterzi; erano organizzati in corporazione.
Il littore portava con sé i fasces, che erano composti da 30 verghe e una scure, quest’ultima tenuta nei fasci solo fuori del Pomerium (confine sacro della città di Roma), in quanto al suo interno nessuno poteva condannare a morte un cittadino romano, tranne il dittatore
Il termine riapparve sul finire del XIX secolo quando vennero creati i Fasci Siciliani, un movimento di lavoratori della terra che si battevano per i loro diritti. Compare poi in diversi contesti, legati all’Italia fascista.


TUTTO   INIZIÒ   CON   LA
CONGIURA   DEI   PAZZI

Il più antico e famoso resoconto sull’avvenimento, fu steso in latino da Angelo (Agnolo) Poliziano, amico fraterno del Magnifico, che fu coinvolto direttamente, prima in chiesa e poi in tutti gli altri fatti della città.
Quando nel 1469, morì Piero il Gottoso de’ Medici, Firenze fu “guidata” dai figli Lorenzo e Giuliano, che avevano 20 e 16 anni. Lorenzo seguiva la vita politica con lo stesso criterio di suo nonno Cosimo, cioè senza ricevere incarichi diretti ma controllando tutte le cariche mediante uomini di fiducia.
Non si sa se l’idea della congiura sbocciò a Firenze nel casato dei Pazzi o a Roma, dalla mente di Papa Sisto IV. In ogni caso, l’idea di sopprimere i signori di Firenze attirò una sfilza di avversari, che si prepararono per una cospirazione vera e propria. Quindi i Pazzi e il Papa erano in stretto accordo, ma l’idea di una congiura non era ancora chiara, anzi le due casate fiorentine, benché rivali, erano imparentate con il matrimonio di Guglielmo de’ Pazzi e Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo, dal 1469. La scintilla del dissidio di solito è indicata sulla spartizione dell’eredità di Beatrice Borromei, moglie di Giovanni de’ Pazzi, perché una legge privava le figlie dall’eredità in assenza di fratelli, quindi i cugini Pazzi esigevano tutti i beni, ma Lorenzo con un cavillo evitò una notevole crescita del loro patrimonio.
Fu presumibilmente nel 1477 che la congiura si concretizzò, principalmente per opera di Jacopo e Francesco de’ Pazzi. Ad essi si unì Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, già scavalcato dai Medici che avevano scelto un loro congiunto, Rinaldo Orsini, per la cattedra fiorentina, e quindi anche lui aspirava alla spartizione di Firenze. Ma la guida suprema di Firenze sarebbe dovuta toccare a Girolamo Riario.
Sisto IV, oltre a tutti i territori pontifici, procurò altri appoggi: la Repubblica di Siena, il re di Napoli, la città di Todi, Città di Castello, Perugia ed Imola. Il Papa mise la condizione di evitare spargimenti di sangue, ma questo venne totalmente ignorato dai congiurati: i due Medici dovevano essere cancellati fisicamente.
Si ingaggiò per compiere l’attentato Giovan Battista da Montesecco, capitano mercenario al servizio dei Riario e, una volta compiuto il fatto, Jacopo de Pazzi avrebbe incitato Firenze ad insorgere, mentre le truppe di Imola e di Città di Castello, guidate da Lorenzo Giustini erano pronte ad invadere il territorio.
Sabato 25 aprile 1478, nell’occasione del pranzo in Villa Medici a Fiesole per l’elezione a Cardinale del diciottenne Raffaele Riario Sansoni, inconsapevole di tutto, si decise che era il momento migliore per il complotto; e qui ci fu il primo intoppo: un malessere inatteso di Giuliano rimandò il tutto al giorno seguente, durante la messa domenicale in Santa Maria del Fiore, officiata dall’ignaro Cardinale Riario.
Il secondo ostacolo fu il rifiuto categorico del Montesecco di compiere un omicidio in un luogo sacro, perciò al suo posto furono assoldati in tutta fretta due preti, Stefano da Bagnone e il vicario apostolico Antonio Maffei di Volterra, che si presero la briga di uccidere Lorenzo; mentre per l’assassinio di Giuliano erano incaricati Francesco Pazzi e Bernardo Bandini Baroncelli.
Nel momento dell’Elevazione, mentre tutti erano in ginocchio, si scatenò l’agguato: il Bernardo e il Francesco, estratte le spade, che tutti portavano anche in chiesa, si avventarono contro il giovane Giuliano colpendolo diciannove volte, e mentre il fratello cadeva in un lago di sangue, Lorenzo, scortato dall’inseparabile Angelo Poliziano e da altri amici, veniva ferito solo di striscio al collo dai maldestri preti, così riuscì a rifugiarsi in sacrestia, dove si barricò dietro le pesanti porte. Il Bandini ormai in ritardo, sfogò la sua ira su Francesco Nori, che si mise tra l’omicida e Lorenzo, immolando la sua vita.
Nella Cattedrale la confusione fu sovrana, Giuliano de’ Medici e Francesco Nori erano distesi a terra morti, Lorenzo, dietro le porte bronzee della sacrestia, era medicato dall’amico che gli succhiò la leggera ferità per paura che il pugnale fosse avvelenato; i fedeli, racconta lo storico, scapparono gridando ai loro concittadini che i fratelli Medici avevano avuto un attentato. Il Cardinale Raffaele Riario Sansoni si era nascosto nell’altra sacrestia: il Salviati insieme con i suoi sostenitori si era recato al Palazzo Pubblico con tutta l’intenzione di attuare un colpo di stato, ma qui vi trovò il Gonfaloniere di Giustizia, Cesare Petrucci, a pranzo con tutti i membri della Signoria. Il Petrucci valutando la situazione fece suonare a stesa le campane in modo che i fiorentini corressero alle armi per poter fermare gli assalitori. La città era sconvolta, ma poche ore dopo il Magnifico si affacciò al balcone del suo alloggio ed il popolo rinfrancato si mise alla caccia degli attentatori, che fu feroce e fulminea: Francesco de’ Pazzi e l’Arcivescovo Salviati furono subito impiccati alla terza finestra della Loggia dei Lanzi. Jacopo de’ Pazzi veniva impiccato, con il suo congiunto Renato, non responsabile della congiura, ed i due preti subirono la stessa sorte pochi giorni dopo ed i loro corpi gettati nell’Arno.
Le truppe del Papa e delle altre città che aspettavano intorno a Firenze, al tocco delle campane a stesa si insospettirono, lo stesso Bernardo Bandini riuscì a fuggire dalla città per portare la notizia del fallimento a Lorenzo Giustini, per cui le truppe visto il disastro si ritirarono. Bandini si rifugiò a Costantinopoli, ma venne snidato e portato a Firenze per essere giustiziato. Quando fu verificata la partecipazione al complotto di Giovan Battista da Montesecco, sebbene non avesse aderito all’attuazione dell’intrigo, e dopo aver rivelato i particolari della trappola, compreso il coinvolgimento del Papa, che indicò come il maggiore responsabile, gli fu data una morte da soldato, trafitto con la spada. In tutto a Firenze furono uccise ottanta persone, ed una macabra “fotografia” della vendetta dei fiorentini è giunta fino a noi: il giovane Leonardo da Vinci, fece uno schizzo particolareggiato di un corpo dei congiurati penzolante dalla finestra del Palazzo della Signoria.
Il Magnifico non fece niente per calmare la furia popolare, fu vendicato senza che le sue mani si sporcassero di sangue. I Pazzi vennero tutti arrestati ed esiliati e i loro beni confiscati. Fu proibito che il loro nome apparisse sui documenti ufficiali e vennero eliminati tutti i loro stemmi dalla città.
Da quel momento Lorenzo de’ Medici diventerà “la bilancia” nella politica italiana in virtù delle sue doti diplomatiche. Lorenzo quando seppe che Giuliano aveva avuto un figlio illegittimo, Giulio de’ Medici, da Fioretta Gorini, figlia del corazzaio Antonio, lo prese con sé, dandogli anche un’ottima educazione ecclesiastica, sostenendo il suo cammino che l’avrebbe portato al soglio pontificio come Clemente VII nel 1523, primo pontefice mediceo.
Ultimamente è stata scoperta una lettera cifrata che proverebbe il coinvolgimento nella congiura del Duca d’Urbino, Federico da Montefeltro.


 



Copia N°...                   Finito di stampare nel giorno bisestile del 2008

 


Bibliografia

Moreno Montagna - “Passione Nostrana” poema cavalleresco
                                           ... e storia e personaggi della battaglia di Campomorto, 1482


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