Cell. 340 38 33 918 - Velletri
† † ANTICHE STORIE DELLE CHIESE † † |
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I Frati Minori Cappuccini arrivano a Velletri intorno al 1550, terza Famiglia Francescana, in ordine di tempo, a stabilirsi nella nostra città. La loro prima residenza fu la chiesa di Santo Stefano che si trovava nei possedimenti cittadini dei principi Ginnetti (oggi rimane sul luogo una porzione di strada con il nome del Santo, nei pressi di P.za XX Settembre, che all’epoca portava all’ingresso principale della chiesa di Santo Stefano). Cenno storico sulla Miracolosa Immagine della Madonna della Piaga
Oggi, molti veliterni non hanno mai sentito parlare della Madonna della Piaga, dei prodigi e dei miracoli ad essa attribuiti. Invece dal 1600 in poi la festa in suo onore era molto sentita in città perché il fatto è avvenuto proprio nella campagna adiacente. ORATORIO DI SANTA MARIA DEL SANGUE
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Conosciuto oggi come " 'a casermaccia", il convento di San Francesco dalla seconda metà del '800 non ha più funzioni religiose. Funzionò come convento fino al 1873, quando il Regno d'Italia promulgò la legge sulla soppressione della corporazioni ecclesiastiche. Nel 1875, subito dopo "Roma Capitale", passò sotto la giurisdizione del Ministero della Guerra che ne fece una caserma per i bersaglieri.
Il complesso fu costruito sul luogo dove, secondo alcuni antichi storici, soggiornò Francesco di Assisi nel 1222, durante il suo viaggio verso Napoli. All'epoca era vescovo della città Ugolino dei Conti di Anagni, futuro papa Gregorio IX, amico del santo umbro. Secondo la leggenda, il Santo avrebbe operato alcuni miracoli, due i più famosi: il primo, riuscì a disinfestare tutte le vigne dal parassita chiamato "magnacozze". Del secondo ne parla padre Tommaso da Celano, biografo di S. Francesco, nel "Trattato dei Miracoli", scritto nel 1252, narra del miracolo accaduto ad un giovane fratturato di Cisterna, che, portato dai genitori il giorno di San Francesco nella chiesa di Velletri, guarì improvvisamente durante il vangelo.
La pubblicazione francescana "La provincia romana" del 1967, riporta l'episodio della consegna del convento preesistente "dei Brasiliani" ai francescani, nel 1221, voluto dal vescovo di Firenze, il velletrano Mons. Giovanni Santi. Questo episodio rafforzerebbe la tesi del passaggio di S. Francesco nella città di Velletri. Nel testo vi è una descrizione del convento: ...è comodamente grande, con chiostro quadrato a pilastri, affrescato con la vita del Serafico Francesco... Vi è una loggia di larga veduta, dove vi si scorgono nello stesso tempo i monti, le colline, il piano della palude pontina ed il mar Tirreno con le isole. Vi è una sala grande, dove il Magistrato la prima domenica del mese viene a far il consiglio delle querele...
Nel convento si svolgeva anche gran parte della vita amministrativa, infatti nel chiostro si riuniva il Parlamento e, nella sacrestia della chiesa, sotto doppia chiave (una del Priore e l'altra di Padre Guardiano), si conservava il "Bussolo". In occasione delle elezioni, il Magistrato prendeva il Bussolo e lo portava al Palazzo Comunale per procedere all'estrazione a sorte dei nuovi rappresentanti della città. Al termine dell'elezione, con lo stesso cerimoniale, si riportava il Bussolo al convento e veniva rimesso sottochiave.
Entro le sue mura c'era l'"Accademia degli Estinti", ed una libreria al secondo piano, benché fosse povera, serviva per servizio tanto ai frati, quanto agli storici, essa fu creata da Fra' Bonaventura Theuli, "...dalla quale non si possono estrarre i libri sotto pena di scomunica...".
L'attività conventuale era particolarmente ricca, soprattutto nella formazione dei teologi. Qui vi studiò, tra gli altri, nella metà del 1200 il giovane Benedetto Gaetani divetato poi papa Bonifacio VIII, e tra il 1465 e il '70 Aldo Manuzio l'inventore dei caratteri "Aldini".
Secondo le memorie francescane, l'operosità accademica si sviluppò nel convento di S. Francesco soprattutto dopo il 1700. L'attività di studio continuò intensamente fino al 1800. Dal 1809 le cose precipitarono: il superiore Padre Giuseppe Umani, un anno dopo la nomina, dovette abbandonare il convento. Dopo il 1815, ripristinato il potere pontificio, i frati ripresero le normali attività, fino al 1873, anno della soppressione delle corporazioni ecclesiastiche.
Oltre alla versione francescana altri manoscritti dicono che per la costruzione di questa chiesa, Rinaldo Vescovo di Velletri (dal 1231 al 12 dicembre '54 quando fu eletto papa col nome Alessandro IV, † 25 maggio '61) prima invitò i cittadini a dare elemosine, poi nel 1246, concesse 40 giorni di indulgenza a chi aiutava i religiosi nella costruzione del convento e della chiesa, e nel settembre 1253, concesse di utilizzare per i bisogni del Convento, il ricavato dalla vendita di cose acquistate con usura o comunque male possedute, qualora non si potesse trovare il legittimo padrone. Già nel 1250 in questa chiesa iniziarono ad arrivare molti pellegrini dai paesi vicini perché conoscevano i miracoli che San Francesco aveva fatto.
Il convento come detto aveva un chiostro centrale, quadrato, affrescato con immagini della vita dal Santo, ma queste immagini erano state già coperte nel 1910, il nostro storico Augusto Tersenghi, descrive l'edificio in stato di completo abbandono, rimaneva solo "...qualche lapide sparsa qua e là nel chiostro" e "...un ricettacolo di lordure, ove l'acqua cade in ogni lato." Durante la seconda guerra il convento/caserma fu utilizzato dalla truppe tedesche, e la vecchia chiesa venne destinata a ricovero per gli sfollati. A metà degli anni '50 il Ministero la destinò all'esercito che vi svolgeva mansioni di reclutamento, e le stanze del secondo piano servirono ai dottori militari per le visite di leva.
Tra il 1960 ed il '61 la caserma fu definitivamente abbandonata ed iniziò il suo inesorabile declino, mentre la chiesa che ancora resisteva veniva riempita di scarti carnevaleschi: da luogo di culto a magazzino di fantocci di cartapesta. Senza tetto senza finestre, fatiscente e piena di erbacce la caserma è ancora là, le Belle Arti continuano a mantenerla in piedi senza alcun scopo, ed ogni lustro si stanziano soldini dei contribuenti per "attappare c' 'a buco".
VEDI NOTE DEL TERSENGHI
La chiesa eretta nel XV sec. ebbe il nome di “Madonna della Neve” per ricordare il famoso evento della nevicata d’agosto in Roma, per il quale il papa Liberio fece costruire la Basilica di Santa Maria Maggiore.
Sull’esempio romano anche in molte altre città vennero eretti templi intitolati alla Madonna della Neve.
Fu Rettoria con chierici fino al 1497, periodo in cui vi fu beneficiato Ruggero Giovannelli.
Due secoli dopo, cioè nel 1602, la chiesa venne concessa alla Confraternita delle Stimmate di San Francesco e quindi cambiò dedicazione. Il nome antico della chiesa rimase alla strada dalla quale vi si accedeva. Venne chiamata invece Via delle Stimmate la scalinata che, partendo da Via San Francesco portava alla chiesa.
Nel 1784 mentre c’erano opere di restauro furono trovate delle terrecotte decorate (etrusche e volsche), ed altri elementi ceramici ed una importantissima lamina di bronzo in lingua Volsca.
Dopo la morte dell’ultimo rettore della chiesa, Don Celestino Amati, illustre cultore d’arte, sia la chiesa, sia l’area archeologica vennero vendute nonostante che su queste ci fossero dei vincoli. Così, nel 1964, la chiesa venne demolita perché c’era l’idea di un progetto edilizio, poi per fortuna fermato: per il ritrovamento di resti archeologici del vecchio tempio di Marte.
Prima di entrare in Chiesa si salivano otto gradini di peperino, tutti contornati ed infine vi nasceva un loggiato che circondava tutto il rimanente della facciata della chiesa e dell’oratorio anch’esso di peperino. La Chiesa era pavimentata a quadroni, ai lati dell’ingresso vi erano due acquasantiere e due pregevoli confessionali. Nel pavimento si aprivano quattro sepolture, le prime due vicine all’ingresso erano riservate ai confratelli, mentre le altre due vicino alla balaustra ai sacerdoti membri della Confraternita e per le consorelle. Nella chiesa vi erano tre altari compreso il presbiterio, tutti con il quadro. Il presbiterio era chiuso da una balaustra con colonette di marmo bianco e sportelli di noce. Nei quattro angoli dell’ altare maggiore c’erano colonne di marmo pregiato con capitelli in marmo bianco. L’altare maggiore era isolato su due gradini con il tabernacolo in mezzo la cui porticina era ricoperta in lastra di rame dorato. Aveva il paliotto in marmo con al centro la nicchia per il corpo di Santa Euticchia donato dal Cardinale Stefano Borgia con atto del notaro veliterno Angelo Collinvitti.
Dall’epistolario privato del grande veliterno del 28 Agosto 1782: “Caro fratello …vi accludo il mandato di procura per donare alle Stimmate il corpo di Santa Euticchia. Godrò poi di sentire diligentemente descritto il rito della traslazione dalla Trinità alle Stimmate …”
Dietro l’altare vi era uno spazio sufficiente che serviva al coro dei fratelli, qui essi cantavo l’officio, vi era un quadro di S. Francesco in atto di ricevere le Stimmate incorniciato da marmi preziosi. Nel cornicione sopra il presbiterio vi era collocata l’immagine della Madonna della Neve con il figlio in braccio. La Vergine era coronata con diademi d’argento e aveva stelle sul manto. Le stazioni della Via Crucis erano in oro. Gli altari laterali invece erano dedicati ai Santi Filippo Neri e Francesco di Sales sotto quadro c’erano due ovali con il Sacro Cuore e San Giuseppe. In sagrestia si accedeva dal lato destro del presbiterio, essa era composta da tre stanze. Nella prima si poteva leggere un’iscrizione incisa su un elegante tavola lignea: “Vetustissima dieparae Virginia Imaginem cui iam inde a seculis templum hoc sub nivis nomine dicatum est miraculis fratiisque apud velitris celebrem jamdiu abscuro humilique loco posita, hic donec alidi decentiuy collecetur sac S. P. Francisci stimatum confraters religione debita supplices posvere anno ab eisdem Virginia partu MDCCLVI.”
Nella stessa stanza vi era un credenzone dove venivano conservati i paramenti per la Santa Messa e gli abiti per i Confratelli. Sul lato sinistro del presbiterio si accedeva ad un’altra piccola stanza dov'erano conservati gli utensili della Chiesa e da dove si usciva negli orti della Confraternita. Sempre sul lato sinistro c’era l’ingresso all’Oratorio dove si vestivano i Confratelli vi era in esso un altare di legno con sopra l’Immacolata Concezione, da un lato c’era una porticina che immetteva in Chiesa sulla quale era murata un’iscrizione in latino. Una scala a chiocciola portava alle stanze superiori e all’appartamento del custode.
LA CONFRATERNITA
Eretta in Velletri in occasione del Giubileo del 1600 venne confermata da Clemente VIII e aggregata all’Arciconfraternita romana dello stesso titolo. Celebrava solennemente le feste del Perdono di Assisi e di San Francesco. I Confratelli vestivano di sacco incappucciati visitavano le osterie e le bettole predicando contro la bestemmia.
Vi facevano parte professionisti e personalità cittadine solo per citare gli ultimi ricordiamo il colonnello Giovanni Battista Amati, l’avvocato Gaspare Bernabei, l’ingegner Felice Remiddi e il dottor Pietro Fantozzi famoso era il presepe che i fratelli allestivano con personaggi a grandezza naturale usando anche splendi fondali opera del maestro Aurelio Mariani. La distruzione della Chiesa alla metà degli anni sessanta ha causato la dispersione dei fratelli e la fine della Confraternita. Resta nel Museo Diocesano lo splendido stendardo processionale opera di Giuseppe Della Valle (1826) che raffigura da un lato San Francesco in atto di ricevere le Stimmate e dall’altro Francesco che presenta la regola a papa Onorio III.
Leonardo da Porto Maurizio (1676/1751 - oggi Santo) venne invitato a predicare a Velletri nel 1733 dal vescovo cardinale Francesco Barberini junior; vi tornò poi nel 1737, dove inizia una questua per erigere un oratorio da affidare alla Congregazione della Coroncina. Il frutto della sua predicazione convinse il veliterno Giuseppe Angelini, nel finanziare la costruzione di una chiesa, chiamata Oratorio della Immacolata, i lavori per mancanza di soldi si svolgono in più riprese per il periodo che va dal 1740 al 1753.
Nella nuova chiesa vi si riunivano solo gli uomini per recitarvi il Santo Rosario (per questo prese l'appellativo di "Coroncina") e si inizia la pratica della Via Crucis.
L'Oratorio andò più volte in rovina e nel 1790 l’edificio era in totale abbandono.
Con un gruppo di devoti, di benefattori, ed offerte popolari, nel 1809 si ricostruisce l’Oratorio che nel 1814 è affidato alla Confraternita degli "Amanti di Gesù e di Maria", ed in quest'occasione il Conte Latini Macioti commissionò un ampliamento d'opera come ci racconta il Bauco nel 1851 (Storia della Città di Velletri) «...dalla pia liberalità del Conte Giuseppe Latini Macioti venne aggiunta a questa Chiesa la Sagrestia, e una comoda abitazione pel Cappellano, e la provvide di arredi sacri, di suppellettili e di tutto ciò, che bisognare potea al divin culto e specialmente di un eccellente organo...»
Nella documentazione esistente nell'Archivio Diocesano c'è un vuoto cronologico di questa Confraternita, in questo periodo non esiste traccia di una grande tela ad olio di Maria e Gesù. Quindi le domande sono: era una tela ad olio oppure il Conte commissionò soltanto un'incisione? Il Macioti avrebbe fatto spostare da Vienna un grande artista per una semplice incisione? E perché non c'è traccia dell'autore del disegno ma soltanto dell'incisore Romualdo Ceracchi? (nato ed operoso a Vienna insieme al fratello Giovanni ed al padre Giuseppe).
Sembra che i Macioti per tradizione familiare fossero benefattori di Confraternite e, già nel 1618 la contessa Flaminia con testamento rogato da Zeffiro Velli il 5 maggio 1610: «…istituì erede universale di tutti i suoi beni l'Arciconfraternita della Pietà dei Carcerati di Velletri, eretta nella chiesa Parrocchiale di S. Maria del Trivio col peso di dotare ogn'anno in perpetuo una zitella povera, ed onesta con dote di Scudi 37,50, ed una veste di Scudi 6…», ma alla sua morte, avvenuta il 31 dicembre 1620, gli ufficiali della Confraternita si presentarono alla cancelleria Vescovile dichiarando di aver smarrito il testamento: «…voler a dire la sudetta Eredità col beneficio di legge, ed inventario, qual inventario con tutte le diligenze usate, non si è potuto ritrovare ne haverne alcuna notizia…»
All'interno dell'Oratorio oggi ridotto ad un rudere sono ancora visibili le grandi nicchie dove erano ospitate le "stazioni" della Via Crucis. Nel 1814 la Confraternita degli Amanti di Gesù e Maria, anch'essa fondata da San Leonardo da Porto Maurizio nel 1750, prese possesso dell'Oratorio. Nel 1854 furono ammesse a frequentare le funzioni più solenni anche le donne.
In seguito, per la pia liberalità di Giuseppe Latini Macioti, venne aggiunta a questa chiesa la sacrestia, l'abitazione per il Cappellano e fu arricchita di arredi sacri, di suppellettili, di un eccellente organo e di tutto il necessario per l'esercizio del culto.
Nel 1915, allo scoppiare della Grande Guerra, il Cardinale Diomede Falconio concede l'Oratorio per ingrandire l’Ospedale Militare collocato a S. Lorenzo con l’ordine di togliere le pietre sacre e i paramenti. Nel 1919 la Coroncina viene riaperta al culto mentre nel 1923 è concessa ai Frati di S. Lorenzo.
I bombardamenti del secondo conflitto mondiale la sfiorarono, ma non in maniera grave tanto che risistemata fu concessa dal 1961 al 1965, alla Provincia di Roma quale edificio scolastico, fu adibita a teatro per gli studenti veliterni, ma la Provincia voleva intervenire per trasformare l'antico Oratorio in Aula Magna per il vicino Istituto Tecnico "Cesare Battisti".
Nel novembre 1969, in seguito ad un violento temporale, il tetto, già in condizioni precarie, crolla, inizia una serie di progetti per la ricostruzione ma nulla arriva al suo compimento. Il 15 giugno 1976 vi si sviluppò un incendio, non si è mai saputo se doloso o meno, che danneggiò ulteriormente l'edificio. Continua così, col tempo, la dolorosa distruzione di un prezioso monumento d'arte e il ricordo dello zelo d'un Santo e della fede dei nostri avi, in primis le famiglie Angelini e Macioti.
Si decreta la muratura della porta per evitare incidenti, ora la chiesa è diventata un rudere, ed oggi è proprietà privata.
La chiesa di Santa Lucia consacrata nel 1032 dal vescovo veliterno Leone II, è uno dei più antichi edifici sacri veliterni. Fu completamente restaurata verso il 1850.
Accanto al campanile, all’inizio di via Paolina, si apriva Porta Santa Lucia.
La porta, viene murata nel 1720 per limitare l’entrata in città, in occasione della peste in Francia, fu completamente abbattuta insieme al suo muro di cinta nel secolo XIX quando la zona fu collegata alla via Corriera (odierno Corso della Repubblica) attraverso via Pia, dal nome del papa Pio IX che pagò le spese per la sua costruzione.
Nel carnevale del 1869 crolla il campanile del XIV sec. verrà ricostruito in poco tempo. Campanile sfortunato, ancora a carnevale, il 20 febbraio 1986 crolla di nuovo, è stato ricostruito in stile moderno ed inaugurato il 20 dicembre 2007, e con l'occasione è stata sistemata anche la facciata.
La chiesa della Madonna del Rosario può definirsi come una delle sorprese che riserba al visitatore la campagna veliterna: si tratta di una piccola chiesa, ricca di anni e di storia, centro dell'omonima parrocchia rurale situata in accogliente posizione nella località Colle Jonci, in via Acqua Lucia, 33.
Viene edificata tra il 1734 e il 35 come oratorio privato di campagna voluto dalla famiglia patrizia dei Colonnesi. Diviene parrocchia, dopo esser stata annessa per due secoli nella giurisdizione di Santa Maria in Trivio, solamente nel 1971.
L'edificio si presenta con una struttura sobria ma densa di elementi significativi. Tipiche della tradizione veliterna sono le bordature in peperino mentre unici sul territorio sono gli inginocchiatoi esterni in corrispondenza delle finestrelle protette da grate in ferro battuto. Queste servivano per i viandanti che, trovando chiusa la cappella, volevano comunque fermarsi per pregare. Più significativamente artistici sono il rosone e i vetri piombati che bordano le finestrelle, ma anche il quadro della Madonna del Rosario con Bambino donato alla chiesa dall'autore Angelo Cesselon.
Recentemente è stata restaurata e abbellita.
Le prime notizie di questa chiesa risalgono al 1065. Dal 1617 viene gestita dai Padri Somaschi.
Inizialmente aveva un artistico rosone in marmo, un campanile a torre ed un orologio pubblico.
Più volte ricostruita, attualmente ha l'aspetto del 1825 con una facciata di finto bugnato ed un cornicione sul quale sorgono due campanili.
È il 3 maggio 1484, cioè da quando il cardinal Giuliano della Rovere (poi papa Giulio II nel 1503) fece solennemente trasferire dalla chiesa di Santa Maria di Portella (allora in rovina) in San Martino, l'immagine della Beata Vergine chiamata Madonna del Cancello, che ancora si venera in questa Parrocchia.
Nella chiesa è anche conservata dal 1817 l'immagine della Madonna con Bambino proveniente dal distrutto monastero di Santa Maria dell'Orto.
Nel 1620 arrivarono a Velletri i Monaci Basiliani dell'Abbazia di Grottaferrata ed aprirono il loro convento nella zona, oggi angolo di Via San Biagio; la loro chiesa fu intitolata alla Madonna Intemerata o di Violata.
Quando il 26 agosto 1806 il terremoto distrusse sia il Convento che la chiesa i frati abbandonarono Velletri e non vi fecero più ritorno.
L'immagine della Madonna fu trasferita nella chiesa della Tenuta di Lariano VEDI che dal suo nome prese il titolo, mentre i beni del Convento furono assegnati all'Ospedale delle donne in Velletri.
Oggi sul luogo resiste ancora uno stipite del portale d'ingresso.
Di origine antichissima fu parrocchia fino al 1583 quando venne concessa ai Padri della Dottrina Cristiana e il suo territorio venne annesso a quelle limitrofe. I frati dopo aver compiuto sulla chiesa una serie di lavori decisero di riedificarla dalle fondamenta e chiamarono per ciò l’architetto veliterno Nicola Giansimoni.
La nuova chiesa venne ideata a tre navate con facciata decorata. Al suo interno ci sono due altari uno dedicato a S. Bernardino da Siena con il quadro di S. Eligio e l’altro a S. Filippo Neri, mentre sull’altare maggiore troneggia una bella tela della Madonna tra i Santi titolari.
Con l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia i Dottrinari dovettero lasciare il Convento e la Chiesa che venne concessa all’Arciconfraternita di Maria SS.ma del Gonfalone che ancora oggi vi ha sede. Duramente danneggiata dalla seconda guerra mondiale venne ostinatamente tenuta aperta dai pochi confratelli rimasti tra essi ricordiamo Augusto Montagna e Francesco Bianchini: essi sono riusciti nonostante l’impoverimento materiale e spirituale del sodalizio a non far disperdere il grande patrimonio di fede e tradizione che da secoli custodivano.
La chiesa dovette attendere anni prima di veder partire i necessari interventi di restauro sulle gravi ferite della guerra. Nel 1981 la Confraternita supportata da un comitato cittadino con il contributo della Banca Popolare del Lazio riuscì ad eseguire i primi interventi necessari ad arrestare il pauroso distacco della timpano dalla facciata e a ricomporre l’intera orditura del tetto.
Nell’85 l’architetto Lamberto Zaccagnini disegnò le nuove finestre della navata centrale ripristinate a cura della Confraternita. Nel 1988 Mons. Fernando De Mei a sue spese fece rifare i transetti laterali. Il maestro Tullio Cipollari mise a disposizione la sua abilità artigianale per il recupero degli stucchi interni. Nel 1994 partirono i lavori a cura della soprintendenza che videro il recupero totale della chiesa: fu riaperta al culto nel 2001 il giorno dei Santi Pietro e Paolo.
L’edificio attiguo che oggi ospita gli uffici comunali merita la nostra attenzione perché esso è stato nella storia un importante luogo di studio. I frati fin dal loro ingresso in città attesero alla regola insegnando la dottrina cristiana, più tardi come stipendiati comunali iniziarono ad insegnare grammatica e filosofia. Questo loro lavoro venne ferocemente contrastato ai confratelli dagli ordini religiosi presenti in città. Quindi l’insegnamento venne affidato a turno prima ai Somaschi, poi a Minori Conventuali e poi ai Minori Osservanti.
Nel 1798 nonostante i moti repubblicani i Dottrinari continuarono a dirigere le scuole pubbliche inserendovi personale laico. Nel 1799 con il ripristino del governo papale i frati vennero reintegrati nel loro ruolo e in S. Pietro aprirono anche un convitto reso fiorente da un grande numero di giovani forestieri.
Tra il 1809 e il 1814 il periodo dell’occupazione Napoleonica i frati di nuovo con l’ausilio di personale laico continuarono a svolgere il loro ministero. Intanto l'insegnamento iniziava a diventare una sorta di università con cattedre di Diritto Romano e Francese, Medicina e Giurisprudenza. Nel 1850 con l’ingresso a Velletri dei Gesuiti i religiosi persero il loro ruolo pur rimanendo in città fino al 1874 quando le soppressioni li costrinsero ad andare via da Velletri.
Agli inizi del XX sec. i locali vennero assorbiti dal comune per la gestione di scuole materne e, solo dopo la 2^ guerra M. i locali furono risistemati nel 1955 dal comune, con l'allora sindato Domenico Parmeggiani, grazie anche all'interessamento della Contessa Pecci
(delegata regionale DC) e messi a disposizione per asili e scuole elementari, anche con la partecipazione delle Suore Orsoline (Monache della Neve) fino alla metà degli anni '80, dopodiché tutte quelle aule rimesse a nuovo oggi ospitano gli uffici.
"Valle" perché rispetto all'ARX, cioè il punto più alto della città (Piazza del Comune, Via Ottavia etc.) la zona si presenta appunto come una piccola valle dove però sorgevano numerose chiese: la chiesa di San Silvestro o San Giuseppe, la chiesa dei Santi Pietro e Bartolomeo, la chiesa della Madonna della Neve, la chiesa e monastero del SS.mo Nome di Gesù delle monache carmelitane, il convento dei padri Dottrinari, il Conservatorio delle Povere Zitelle (oggi istituto delle suore Orsoline), e la Cappella della scuola "Ignorantelli" poi del Gesù quando la scuola fu dedicata al Cardinale Raffaele Monaco La Valletta (1889/96)
Quindi una Valle Santa o Santa Valle, e non come molti pensano: una Santa di nome Valle.
Sotto Innocenzo IV (1243-1254), il monastero di S. Maria fu restaurato e da questo stesso Pontefice fu concesso, alla chiesa, l'indulgenza di quaranta giorni per tutte le feste di Maria SS.ma. Ciò denota la devozione, e come il popolo frequentasse questa chiesa, che si trovava tra le vigne. Alessandro IV (1254-1261), con atto pubblico che si conserva nell'archivio capitolare, mise sotto la sua protezione e di San Pietro questo stesso monastero e gli concesse molti privilegi.
Nel 1351, secondo il Theoli, questo monastero, tenuto dalle Monache Benedettine, incorporò i beni delle suore di Santa Martina, dello stesso ordine, le quali abbandonarono la città, per i continui tumulti che succedevano a causa delle guerre.
Nel 1443, le Benedettine di S. Maria dell'Orto, come le consorelle di Santa Martina, lasciarono, per le stesse ragioni, questo loro monastero, cedendolo, con licenza di papa Eugenio IV (1431-1447), ai Frati Eremiti di Sant' Agostino della congregazione di Lombardia.
Un altro rifacimento della chiesa di S. Maria dell'Orto e del monastero si ebbe sotto Alessandro VI (1492-1503). Questo Pontefice, per soccorrere ai bisogni dei lavori che si facevano, ed aiutare la comunità, unì a questa chiesa la cappella di San Gregorio, con le sue rendite, ciò che avvenne il 25 settembre 1495.
Gli Agostiniani vi restarono fino al 1810, quando furono scacciati dal governo francese.
Nel 1814 durante la restaurazione del governo pontificio, non essendo più tornati gli Agostiniani, il convento e tutti i loro beni, per disposizione di papa Pio VII, vennero, nel 1815, affidati al Seminario diocesano. Due anni dopo, la chiesa fu anche privata della bella tavola dell'Annunziata, che fu portata in S. Martino.
Il Convento e la chiesa, rimasti così abbandonati, già alquanto deperiti, finirono di rovinare.
Nel 1851, la cappella, coll'affresco del Crocifisso, fu riparata ed ingrandita da alcuni privati devoti, ed è quella che noi ora vediamo, restaurata dai danni subiti nell'ultima guerra.
Nel 1976, il Crocifisso, staccato dal muro, fu restaurato e posto nella cappella dell'Immacolata in Cattedrale.
Ultimamente anche l'affresco del Crocifisso con metodi moderni fu tolto dalla cappella, per essere restaurato, ed ora si trova nel Museo Diocesano.
La prima notizia della chiesa di San Lorenzo risale al 1065.
Nel 1460 il 25 luglio la chiesa fu concessa ai Frati Minori Osservanti, poi con il ricavato dalla vendita dei beni della parrocchia i frati iniziarono la costruzione del convento adiacente che fu appoggiato al lato sinistro della Chiesa, e fu fatta un'apertura per avere comunicazione con essa.
Fino all'anno 1692 nello spiazzo antistante davanti la chiesa esisteva il vecchio cimitero che non aveva più il muro di cinta, caduto in rovina.
Perciò: "...per non vedere più i cani trasportare fuori dal cimitero le ossa dei morti" il Comune fece eseguire la traslazione dei cadaveri entro la clausura del convento.
Lo spazio dell'ex cimitero diventò in seguito, l'attuale "Piazza Ignazio Galli".
Il convento francescano divenne col passare degli anni uno dei più belli della Provincia.
Dopo quattro secoli, nel 1874, convento e chiesa divennero proprietà dello Stato, e precisamente proprietà del Fondo Edifici di Culto (FEC), del ministero dell'interno.
In Italia il FEC ha circa 700 edifici tra chiese, conventi e monasteri incamerati a seguito delle leggi eversive del 1890 e la conseguente soppressione di molti ordini religiosi. Lo Stato italiano concede l'uso alle diocesi per le chiese in cui si svolge ancora il culto. Altre sono ormai sconsacrate.. Nei locali dell'ex convento, rimessi a nuovo ed ampliati, si installò la Regia Scuola Normale Maschile, il Convitto Comunale e le Elementari.
Durante la seconda guerra mondiale la chiesa riportò danni alla facciata e al tetto che furono riparati rispettando le caratteristiche architettoniche preesistenti.
Sotto l'altare è stata ritrovata una lastra di marmo (esposta al museo Civico) raffigurante scene del vecchio e nuovo testamento.
Nella Chiesa vi sono ancora conservate molte memorie delle antiche famiglie veliterne.
L'origine della Confraternita del Gonfalone di Velletri, si perde nella notte dei tempi. Riconosciuta canonicamente nel 1348 probabilmente già esisteva, fu Papa Clemente VI con il breve "Splendor Paternae Gloriae" a legittimarne le pratiche di devozione e di culto. Lo stesso Pontefice concesse ai confratelli la Chiesa di Santa Maria del Pontone sita vicino alla "Portella" nella zona di Via Metabo. Nel 1398 un forte terremoto distrusse la chiesa e i confratelli che per mancanza di fondi non poterono provvedere alla sua ricostruzione chiesero a Bonifacio IX la concessione di altra sede. Con il Breve del 5 dicembre 1440 papa Eugenio IV concesse ai fratelloni la Chiesa di S. Giovanni in Plagis (allora situata nei pressi dell'attuale Coop). In più avevano in cura la struttura dell'Ospedale e la chiesa di S. Giovanni Battista.
Anni dopo mediante un istromento rogato dal notaio Angelini il 28 dicembre 1588, i Fatebenefratelli che si occupavano dell'Ospedale, iniziarono ad esercitare i loro diritti sulla chiesa di S. Giovanni Battista inglobata nell'ospedale, svolgendovi alcune pratiche devozionali e di culto. I Padri non si poterono opporre perché sapevano di essere ospiti e non proprietari.
Questa pacifica convivenza andò avanti fino al terremoto del 26 Agosto 1806 quando andata in rovina la chiesa di San Giovanni in Plagis i confratelli si trasferirono con "armi e bagagli" in San Giovanni Battista. La chiesa era stata restaurata grazie alle offerte raccolte dai religiosi questo diede adito alla stipula di una nuova convenzione tra le parti, essa prevedeva la divisione delle competenze e delle spese per la custodia dell'immobile.
Iniziano dal 1849 durissimi scontri tra i Confratelli del Gonfalone e l'Ordine dei Fatebenefratelli per l'uso della chiesa. I Religiosi dimentichi di quanto stipulato nel 1588 sollevarono perfino il quesito a chi appartenesse la Chiesa annessa all'Ospedale sostenendo che era di loro proprietà e che quindi era loro intenzione impedire ai Confratelli di svolgere in essa i divini offici. Pretese assurde che la Confraternita respinse andando in giudizio, e comprovando la legittimità delle richieste. Solo il 30 agosto 1859 si arrivò ad una prima soluzione del contenzioso. Il documento stabiliva la divisione delle pratiche di culto dei religiosi e della Confraternita, le spese di manutenzione erano a carico della Confraternita per due parti e per una a carico dei religiosi.
Dopo questo fatto i Religiosi e i Confratelli tornarono ad una convivenza civile. Con la nascita del Regno d'Italia e la conseguente soppressione degli ordini religiosi le cose cambiarono.
I Confratelli furono cacciati da San Giovanni Battista il 25 luglio 1876 con la scusa che il loro salmodiare dava fastidio ai ricoverati del vicino ospedale.
Si trasferirono allora nella Chiesa dei SS. Pietro e Bartolomeo dove ancora hanno sede.
Concludiamo citando che la tavola rappresentante la Madonna del Gonfalone patrona del sodalizio seguì la Confraternita in tutti i suoi spostamenti. Augusto Tersenghi cita la tavola presente nella chiesa dei Santi Pietro e Bartolomeo e la riconduce al XV secolo. Essa ha una iconografia particolare, la Vergine ha il capo reclinato a sinistra mentre tiene in grembo il Bambino seduto con le gambe incrociate, sotto il velo della Madonna inginocchiati in preghiera coperti dal sacco bianco i confratelli. Tutto iscritto in una cornice tribolata con alla base la scritta recante il titolo MATER GONFALONIS. La tavola è dal 1980 in deposito al Museo Diocesano dove venne portata perché la Chiesa dei SS. Pietro e Bartolomeo non era sicura.
Dopo il forte terremoto del 1398 in cui anche la Chiesa di Santa Maria del Pontone (sita vicino a “portella” in zona Mètabo) viene distrutta e i Confratelli del Gonfalone non avendo fondi per la ricostruzione chiesero a papa Bonifacio IX la concessione di un’altra sede.
Ma la concessione arrivò ben quattro papi dopo con il breve del 5 Dicembre 1440 del papa Eugenio IV che concesse alla Confraternita la Chiesa di S. Giovanni in Plagis (sita nell’attuale Piazzale Coop).
I Confratelli anche con la loro devozione nosocomiale non riuscivano a mantenere da soli i locali adiacenti adibiti a ricovero per gli infermi per le spese ospedaliere e per l’affitto.
Decretando un aiuto chiamarono il notaio Crispini che con istromento del 30 Luglio 1297 riconosceva benefattori i coniugi Gugliemi i quali corrispondevano tutto il necessario per il mantenimento della struttura. Ma nel 1578 dopo la morte dei Guglielmi i confratelli non soddisfatti della gestione dell’erede chiamarono a Velletri i frati di S. Giovanni di Dio detti i Fatebenefratelli, i quali accettarono di curare anche la struttura.
Dieci anni dopo visto che i religiosi frati soddisfacevano sia la confraternita che i bisogni agli infermi il Cardinal Alessandro Farnese decise di concedere la gestione della struttura di S. Giovanni Battista ai religiosi mediante un istromento rogato dal notaio Angelini il 28 Dicembre 1588.
I frati ebbero così in uso la Chiesa di S. Giovanni Battista, l’orto e i locali annessi dove aprirono una farmacia nel 1593.
Due anni dopo la stipula dell’atto i Confratelli iniziarono ad esercitare i loro diritti su S. Giovanni Battista dato che da tempo vi svolgevano le pratiche di venerazione e di culto. I frati non si opposero perché sapevano di essere ospiti e non proprietari.
Questa pacifica convivenza andò avanti fino al terremoto del 26 Agosto 1806 quando andata in rovina la Chiesa di S. Giovanni in Plagis i confratelli si trasferirono con “armi e bagagli” in S. Giovanni Battista: bagagli rappresentati anche dagli oggetti della Sacra Rappresentazione della Passione del Venerdì Santo nel Teatro in piazza (oggi P. Caduti sul Lavoro). Quando nel 1765 nonostante le rimostranze di Stefano Borgia il teatro venne abbattuto la Confraternita proseguì ancora questa tradizione fino al 1852 con una processione che partiva dalla Chiesa di S. Giovanni.
Essendo la chiesa da poco restaurata grazie alle offerte raccolte dai frati, si diede inizio alla stipula di una nuova convenzione tra le parti, essa prevedeva la divisione delle competenze e delle spese per la custodia dell’immobile.
Iniziano così dal 1849 durissimi scontri tra i Confratelli del Gonfalone e l’Ordine dei Fatebenefratelli per l’uso della chiesa. I Religiosi dimentichi di quanto stipulato nel 1588 sollevarono perfino il quesito a chi appartenesse la Chiesa annessa all’Ospedale sostenendo che era di loro proprietà, e che quindi era loro intenzione impedire ai Confratelli di svolgere in essa i divini offici.
Pretese assurde da ambo le parti, con pareri legali e ricorsi perfino all’ordinario diocesano perché intervenisse con la sua autorità.
Passarono 10 anni e preso atto che non si potevano sostenere le vie di giudizio i religiosi posero una serie di clausole conciliatrici che non vennero però accettate dalla Confraternita. Solo il 30 Agosto 1859 si arrivò ad una prima soluzione del contenzioso.
L’atto condiviso stabiliva la divisione delle pratiche di culto dei religiosi e della Confraternita, le spese di manutenzione erano a carico della Confraternita per due parti e per una a carico dei religiosi.
Dopo questo fatto i religiosi e i confratelli tornarono ad una convivenza civile.
Con la nascita del Regno d’Italia e la conseguente soppressione degli ordini religiosi le cose cambiarono.
Nel 1870 i frati persero la gestione diretta del nosocomio ma continuarono a lavoraci come stipendiati.
Nel 1875 la struttura venne di nuovo ricostruita come la si vedeva fino a tutto il 1943.
I Confratelli furono cacciati da S. Giovanni Battista il 25 Luglio 1876 con la scusa che il loro pregare e cantare i Salmi dava fastidio ai ricoverati del vicino ospedale. E quindi si trasferirono nella Chiesa dei SS. Pietro e Bartolomeo dove ancora hanno sede.
Nel 1903 i Fatebenefratelli lasciano il posto alle suore Figlie di S. Anna.
Tutto andò distrutto durante il bombardamento del 22 Gennaio 1944, sia l’Ospedale che la Chiesa con il famoso quadro di Alessandro Turchi detto l'Orbetto, "La Madonna col Bambino e i santi Francesco e Chiara" inizio 1600 (di cui ci rimane solo la foto).
Dopo la guerra queste suore lasciano il posto alle Serve di Maria Riparatrice che lavorarono per alcuni decenni nella nuova sede ospedaliera di Via Orti Ginnetti.
Dichiarata basilica il 2 marzo 1804 da Pio VII, si presume innalzata in età paleocristiana, verso il 327, ai tempi di papa Silvestro, in onore di San Clemente I, papa e martire, sulle rovine di una basilica romana o del tempio di Marte citato da Svetonio, presenza avvalorata da una favissa, rinvenuta nel 1925 durante i lavori per la costruzione del portico, contenente ex voto fittili.
La prima testimonianza dell'esistenza della cattedrale risale alla fine del V secolo. Si tratta di una lettera con data 496 di papa Gelasio al vescovo Bonifacio (492-496) in cui ordinava la riconsegna di un servo che si era rifugiato nella cattedrale al padrone, il nobile Pietro, dopo che egli avesse giurato che non lo avrebbe punito.
All'XI secolo risalgono le canoniche sulla piazzetta laterale costruite ad un piano, sopra il porticato con i pilastri di tufo e di peperino; al 1512 gli stipiti della porta d'accesso laterale, formati da due lesene di marmo bianco decorati da bassorilievi raffiguranti arredi liturgici (messale, croce, brocca per lavabo, aspersorio) alternati con teste di Serafini e coronati da rosette (stemma del cardinal vescovo Riario), scolpiti da Trojano da Palestrina.
Alcune basi di colonne sono visibili sotto il pavimento della chiesa. Esternamente sono ubicate due cisterne: sotto la pavimentazione stradale davanti all'ingresso laterale e in un giardino privato nei pressi dell'abside.
La notevole quantità di acqua ha fatto ipotizzare la presenza di terme nelle vicinanze.
L'aspetto attuale è quello del 1664, al termine dei lavori per la ricostruzione seguita al crollo del campanile provocato dalla caduta di un fulmine che semidistrusse la chiesa nel maggio 1656.
Velletri, a differenza dei centri vicini, non fu mai feudo ma prestigiosa sede vescovile, unita dal 1150 a Ostia. Il legame con la Santa Sede permise di salvaguardare l'autonomia della città dalle mire delle famiglie feudali e le donazioni di vescovi di raccogliere testimonianze e artistiche di grande livello in parte conservate nel Museo capitolare.
Sotto l'abside è la cripta, nucleo più antico della chiesa, costruita nel 1250 durante il pontificato di Alessandro IV. Il 21 maggio 1254 vi vennero traslate le reliquie dei Santi Eleuterio (vescovo) e Ponziano (papa) dal monastero di Tivera e donati da papa Gregorio IX, abbazia distrutta dai Normanni un secolo prima, l'evento è ricordato da un affresco dipinto sulla parete d'ingresso da Luciano da Velletri, l'intonaco mancante in quest'affresco dei Santi Eleuterio e Ponziano è stato ingoiato secoli fa dai malati: era ritenuto miracoloso, sciolto nell'acqua come oggi l'aspirina.
La Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie nella Cattedrale di Velletri si trova nella navata sinistra della chiesa a ridosso del piano del presbiterio.
In stile barocco viene costruita nel 1637 per volontà della Comunità cittadina e rappresenta un punto di arrivo e, nel contempo, quello di partenza di un cammino di fede e speranza legato alla devozione verso la Vergine Maria.
La Cappella è sormontata da una cupola ornata di stucchi realizzati in fasce concentriche con figure di angeli intercalate a simboli mariani. Tutta la cupola è un inno alla Vergine e termina con un cupolino ornato con la colomba dello Spirito Santo. La Cappella venne completata con un bell’altare marmoreo nel 1682 dall’arciprete Silvestro Cinelli.
Al centro della mostra architettonica dell’altare è scavata la nicchia che accoglie la tavola sulla quale è dipinta la Madonna in trono con il Bambino seduto sulle sue ginocchia.; opera tardo trecentesca attribuibile ad un artista di scuola senese od orvietana, venne coronata dal Capitolo Vaticano nel 1682. Nel 1685 il quadro fu ricoperto da una veste argentea donata dalla Magistratura e dal popolo veliterno. La cortina che chiude la nicchia è opera dell’argentiere romano Pietro Belli che la realizzò nel secondo decennio del XIX secolo.
Nelle lunette delle pareti laterali vi sono due dipinti in affresco raffiguranti l’Annunciazione e l’Incoronazione della Vergine.
La Cappella subì un radicale restauro intorno agli anni 1830/35 per iniziativa dell’arciprete Luigi Landi Vittori.
In seguito ai bombardamenti del 1944 la Cappella subì non pochi danni specie nel tetto. È stata restaurata sia nell’immediato dopoguerra che negli anni ottanta del XX secolo.
Ci si chiede spesso perché il popolo veliterno sia rimasto tanto colpito da quel dolce volto dipinto da un ignoto artista trecentesco, uno dei tanti che si guadagnavano da vivere peregrinando di città in città e lasciando come segno del loro passaggio figure di Madonne e di Santi.
La realtà è che, nel tempo, il popolo si rende conto che le sue preghiere spesso vengono esaudite e che rivolgersi con fede alla Madonna dà sicurezza e forza nell’affrontare le gravi difficoltà della vita.
Poi c’è il ricordo di come la città sia rimasta quasi indenne in occasione delle grandi calamità, spesso cicliche, che hanno colpito il territorio.
Ecco come nasce il Santuario per la cui costruzione e il suo abbellimento non si risparmia nulla affinché la Vergine Madre di Dio chiamata con l’appellativo di Madre della Divina Grazia abbia una “casa” degna di ospitarla.
Nei secoli in questo piccolo Santuario hanno pregato Papi e uomini potenti ma è la gente che mostra quotidianamente e in umiltà il suo amore per Maria, certa che le sue preghiere saranno ascoltate.
Velletri ha conservato nei secoli intatta questa sua devozione verso la Madre celeste e lo dimostra ogni anno con la partecipazione entusiasta e profondamente sentita alla processione in suo onore il primo sabato di maggio; questa processione ancora oggi è un momento corale di preghiera e, se qualcuno si meraviglia che una città intera possa partecipare in modo così intenso ad un avvenimento religioso non sa che Maria Madre della Divina Grazia non è ospite nella nostra Città, ma è la sua Prima Cittadina e come tale è venerata ed onorata.
Uno dei luoghi più antichi dedicati al culto della Madonna a Velletri è l'Immacolata Concezione di Maria. Esso si trova nella basilica di S. Clemente ed è la seconda cappella della navata di destra. Si tratta di un luogo importante per la sua storia ma soprattutto per il motivo che gli diede origine.
Quando nel 1483 muore il cardinale Guglielmo di Estouteville vescovo e governatore di Ostia e Velletri, il cardinale Giuliano Della Rovere titolare della Basilica di S. Pietro in Vincoli sceglie la nostra cattedra, religioso francescano era una delle figure più carismatiche del collegio cardinalizio dell'epoca. Giuliano Della Rovere nipote di quel grande papa che fu Sisto IV volle realizzare molti importanti interventi che ancora oggi ci ricordano il ventennio del suo episcopato.
A larghe linee rivediamo le opere che il Della Rovere volle far realizzare nella chiesa cattedrale di Velletri che sull'architrave del portale della sagrestia conserva lo stemma episcopale di questo futuro grande papa. Per prima cosa partecipò alla traslazione dell'immagine della Sacra Famiglia dalla chiesa di S. Maria della Portella a quella di S. Martino, ma quello che più conta sono gli interventi realizzati nella Cattedrale.
La sua presa di possesso coincide purtroppo con lo scoppio della peste, che durò fino al 1486, le fonti archivistiche ricordano questa epidemia per la sua virulenza, tanto che numerosi furono i decessi, la testimonianza c'è anche all'interno della stessa cattedrale nel monumento funebre del giovane Peregrino Orsini (oggi nel museo diocesano). Il giovane morì ucciso dal ferale morbo nel 1485, proprio la peste fu il motivo della costruzione della prima grande cappella della cattedrale che fino a quel momento presentava una serie di altari sacelli in nicchie absidale delle quali restano solo quelle all'inizio della navata di sinistra vicino il portale laterale.
La cappella dell'Immacolata Concezione, venne eretta a spese della cittadinanza a partire dal 1486, come ex voto per la cessata pestilenza, motivazione nella lapide posta ai piedi della Madonna con Bambino (ora in copia sull'altare con l'originale nel museo diocesano).
L'altare è composto da quattro colonne con capitelli corinzi che sorreggono un timpano sul quale è sistemata un'altra edicola con timpano curvo che racchiude la statua del battesimo di Cristo. Sotto l'architrave si apre una cornice marmorea che contiene la copia del quadro di Antoniazzo Romano.
Al centro del pavimento lo stemma marmoreo del Cardinale Alderano Cybo che in origine era al centro della navata e poi qui trasportato nel 1822. La cappella dell'Immacolata è il primo grande ampliamento fatto sulla basilica antica ancora racchiusa nella sua planimetria rettangolare delle tre navate concluse dalla tribuna.
Dovrà passare oltre un secolo per assistere all'abbattimento delle grandi cappelle e alla completa mutazione dello spazio interno della chiesa. Sempre all'epoca del cardinale Della Rovere, venne aggiunta una nuova ala al complesso della cattedrale quella della sagrestia, essa venne costruita a nord ortogonalmente al muro perimetrale della navata di sinistra, venne concepita con grandiosa solennità come denotano le sue dimensioni, un ambiente coperto da due volte a crociera ben illuminato corredato da un altro vano posteriore.
Delle originali decorazioni restano solo gli stemmi sugli architravi dei portali di accesso, su quello principale si trova anche l'iscrizione con il titolo presbiterale del Della Rovere.
La testimonianza più bella resta però la tavola della Madonna con il Bambino meglio conosciuta come " 'a Concetta" opera preziosa di Antoniazzo Romano (Antonio di Benedetto Aquilio degli Aquili). Fu uno dei pittori principali della scuola romana del Rinascimento nel periodo che va dal 1460 al 1510. Antoniazzo fu influenzato agli esordi della sua carriera dal Beato Angelico, da Benozzo Gozzoli e soprattutto da Piero della Francesca e da Melozzo da Forlì.
Velletri conserva di questo grande artista tre opere la più antica è proprio la Madonna commissionatagli da Giuliano Della Rovere in seguito al Voto fatto dalla Città di Velletri per supplicare la fine della pestilenza che come abbiamo detto flagellò la città dal 1483 al 1486; è una copia della celebre icona bizantina della chiesa di Sant'Agostino in Roma ed è una delle più valide testimonianze dell'attività di Antoniazzo Romano come copista di icone mariane. La seconda è la Madonna con bambino venerata in origine sull'altare della cappella sotterranea della cattedrale la terza è la bella Madonna della Carità nella chiesa di S. Apollonia.
La devozione all'Immacolata concezione è importante pari a quello della Madonna delle Grazie, ancora una testimonianza che Velletri è città di Maria.
Varie notizie giunte sino a noi ci permettono di risalire all'epoca della costruzione della chiesa di S. Maria Assunta in Cielo detta comunemente Santa Maria del Trivio (per la posizione lungo un incrocio di tre strade), ed ai successivi interventi.
Sappiamo da documenti conservati nell'Archivio notarile che nel 1444 essa era retta da un arciprete di nome Giovanni De Grecis: dalla stessa fonte apprendiamo che un certo Pietro, maestro Comacino, nel 1494 assunse il lavoro di costruzione della nuova sagrestia; successivamente il cardinale di San Pietro in Vincoli in Roma, Giulio della Rovere, futuro Giulio II, allora vescovo di Velletri, ordinò la demolizione del portico della chiesa per ampliare la via adiacente troppo angusta, cosa però che fu eseguita dal successore, cardinal Oliviero Carrafa nel 1505.
Nel 1622, essendo il vecchio edificio quasi fatiscente sia per gli anni sia a causa di un fulmine che vi si era abbattuto, venne incaricato Carlo Maderno (1556-1629) di demolire quanto ancora restava e di progettare una nuova chiesa a croce latina a navata unica, con cupola centrale, cappelle laterali e sontuosa facciata.
La costruzione, però, ben presto fu sospesa per mancanza di denaro e solo nel 1759 l'allora vescovo, il cardinale Raniero D'Elci, dietro ripetute istanze del clero e dei cittadini, chiamò l'architetto Carlo Murena, allievo del Vanvitelli, e gli affidò
l'incarico di completare l'opera. Questi per contenere la spesa fu costretto a modificare il progetto originario sostituendo agli antichi pilastri che dovevano servire di sostegno alla cupola centrale, altri nuovi a modo di sott'archi, rilevando così la divisione dell'abside, ed ottenendo due aperture ai lati, ove in origine sarebbero partiti i bracci della croce latina.
Così modificata la chiesa venne aperta al culto il 28 giugno 1762 dal cardinal Giuseppe Spinelli che era succeduto al munifico D'Elci, pur mancando ancora del prospetto che, con un contributo comunale di 500 scudi, venne realizzato nel 1833 su disegno dell'architetto Giuseppe Andreoli, "non ricco certamente di buone linee, ma tuttavia decoroso", facciata neoclassica appena sporgente dalla parete di fondo con al centro un fregio inserito tra semicolonne ioniche.
Nel 1860 le pareti bianche dell'interno vennero decorate a finti marmi e la volta dipinta, più tardi fu rinnovato anche il pavimento usurato con marmi a due colori.
In questa chiesa si possono ammirare numerose opere d'arte: presso l’altare maggiore, accompagnata da due figure allegoriche in stucco, troviamo la grande tela del XVIII sec. con l' “Assunzione di Maria Vergine” del pittore senese Giovanni Sorbi mentre, nella prima cappella a sinistra, risplende l'opera barocca del pittore Sebastiano Conca, la “Madonna con Bambino e i Santi” (Sant'Antonio da Padova, San Domenico, San Giovanni Battista) dalle tinte brillanti; nella seconda cappella a sinistra Giuseppe e Maria escono dal Tempio dopo aver ritrovato Gesù.
La Torre del Trivio, costruita nel 1353, come viene ricordata da un'iscrizione incisa su di una lapide murata a nord, è un'opera in stile gotico-lombardo dei famosi “maestri Comancini”.
Alta cinquanta metri circa, si compone di un basamento rialzato a pianta quadrata da cui si sviluppano quattro piani scanditi da doppie bifore e monofore evidenziate da cornici dentellate in marmo.
La bicromia del rivestimento, data da file alternate di rettangoli di selce scura e mattoni, è interrotta da ornamenti in maiolica verde e gialla che, oltre ad avere una valenza estetica, simboleggiano la luce emanata dalla fede. In alto spicca la meridiana posta nel 1872 su disegno di padre Raimondi.
Torre della città, costruita con tetto a cuspide ottagonale, scandiva il tempo e i richiami con il suono delle sue campane, venne poi annessa alla chiesa, ne è degna nota la lapide aggiunta nel 1742, dove un'iscrizione testimonia come nel campanile si godesse dell'immunità ecclesiastica.
Nella parte bassa della Torre del Trivio, sul lato sud si trova una Madonna in marmo al centro di una cornice ovale, opera risalente agli inizi del seicento, chiamata la Madonna Addolorata detta comunemente la Madonna dei Carciofi dai nove capolini di carciofi che appunto decorano il capitello su cui si erge l'immagine (qui non tutti sono in accordo sostenendo che si tratta di rose e non di carciofi), motivo ripreso anche dall'artistico portalampade in ferro battuto di Sandro De Marchis che nasconde le lampade che illuminano la Madonna. L'edicola di recente è stata restaurata su iniziativa dei veliterni Ponzo e Petrignani.
Nel limitare della Decarcia di S. Maria nel centro storico di Velletri si trova la bella chiesa di S. Apollonia V. M., una vera meraviglia del barocco. Le notizie su questo grazioso edificio sacro risalgono alla prima metà del XVII secolo quando essa venne eretta dai frati del Terzo Ordine di S. Francesco.
Dimorarono prima a qualche miglio dalla città presso la chiesetta di S. Maria degli Angeli, concessa loro dalla confraternita della Misericordia, nella quale secondo la tradizione si era fermato S. Francesco di passaggio nella nostra città.
Sotto Urbano VIII nel 1631 i Terziari si portarono nel convento di S. Apollonia per la cui costruzione lo stesso papa aveva fatto devolvere le entrate che appartenevano al convento dei PP. Trinitari di S. Lucia di Palestrina.
Nessun'archivio ci fornisce il nome dell’architetto addetto alla costruzione, ma sappiamo bene però l’autore delle pregevoli decorazioni a stucco che Ettore Novelli ricondusse a Paolo Naldini, lo stesso stuccatore della galleria dell’ormai distrutto palazzo Ginnetti in piazza Cairoli.
Il Novelli, apprese questa notizia dalle “Vite di pittori” del Pascoli il quale parla della presenza del Naldini a Velletri per una commessa ricevuta dal cardinale Ginnetti nel suo palazzo. La fonte settecentesca parla di una chiesa all’interno della quale Naldini lavorò dopo aver realizzato quella meraviglia che era la galleria Ginnetti.
Ettore Novelli confrontò gli stucchi perduti con quelli di S. Apollonia e vista la straordinaria somiglianza li assegnò con certezza allo stuccatore romano, che li eseguì contemporaneamente a quelli del palazzo Ginnetti, tra il 1647 e il 1648.
La chiesa venne benedetta e consacrata il 15 agosto 1633 dal vescovo Giuliano Viviani suffraganeo del cardinale Domenico Ginnasi vescovo di Ostia e Velletri.
Nel XVIII sec. i fratelli Orazi, attivi a Roma e dintorni nelle chiese dei francescani, dipingono il soffitto della chiesa di Sant'Apollonia.
I padri francescani, prima di prendere possesso della nuova chiesa, ricevettero in dono dal loro generale P. Ludovico Ciotti una bellissima immagine della Madonna con il Bambino che venne tolta dalla basilica romana dei SS. Cosma e Damiano. Essa venne posta sul terzo altare a destra di chi entra e venerata con il bellissimo titolo di Madonna della Vita. Si tratta dell’unica opera rimasta del periodo romano del grande maestro marchigiano Gentile da Fabriano. Nel 1913 per preservarla da eventuali furti venne portata nell’aula capitolare ed oggi esposta nelle sale del museo diocesano. Nel 2004 è stato possibile, dopo più di ottant'anni, porre sull’altare una copia fedele del prezioso quadro restituendo così alla città un'importantissima pagina del suo passato.
La facciata della chiesa è riconducibile al 1762 ed è inquadrata da lisce paraste ai lati, presenta un portale con timpano curvilineo sormontato da un finestrone.
Esternamente semplice e povera di decorazione ben si accorda con la regola di povertà dell’ordine francescano per cui venne eretta. La navata è unica in pianta longitudinale. La chiesa presenta sette altari che nel corso dei secoli hanno più volte mutato dedicazione. Il più antico documento d'archivio è un inventario manoscritto redatto in occasione della visita pastorale del cardinale Ludovico Micara. L’autore dice che tre altari erano concessi in juspatronato, uno ai Corsetti come abbiamo detto dedicato alla Madonna della Vita, il secondo ai Comparetti dedicato a S. Domenico ma senza l'immagine del santo e il terzo ai Pietromarchi dedicato a S. Antonio mentre gli altri quattro erano di proprietà della confraternita della Carità Orazione e Morte.
Nel 1842 Costantino Campori lasciò un terreno alla confraternita affinché, con i suoi fruttati, si commissionasse una statua di S. Giuseppe da collocare in una delle cappelle della confraternita e la stessa dovesse essere sistemata per accogliervi la statua con le rendite. Per tutto era deputato sig. Casimiro Pietromarchi, il quale dopo tre anni che amministrava le rendite diede rinuncia all’incarico. L’incarico fu portato a termine da Gioacchino Favale che quando terminò la statua fece anche la prima processione con la macchina donata dal Campori.
Nella visita di Giovanni Melchiorre Bosco (S. Giovanni Bosco 1815 - 1888) a Velletri, in questa chiesa dell'antica Via Bandina vi celebrò messa davanti alla Madonna.
Dopo tantissime vicissitudini, restauri, guerra, bombardamenti, burocrazia e trasloghi, la confraternita provvide a sue spese al ripristino di alcuni altari laterali tra i quali quelli di S. Giuseppe e di S. Apollonia, mentre quello dedicato a S. Pio X fu voluto e finanziato dall’omonima banca che, fino alla fusione con la Popolare di Terracina, qui faceva celebrare la santa messa in suffragio dei soci defunti.
Nel 1969 in occasione del IV centenario della fondazione della confraternita venne realizzato il pavimento in marmo della chiesa, mentre nel 1991 in occasione del V centenario della Madonna fu realizzato quello del coro.
Il confratello Paolino Ricci, a sue spese, fece restaurare l’altare di S. Maria Goretti.
Nel 1952 grazie alla perizia del confratello ing. Ferruccio Tata Nardini, ispettore onorario alle antichità e belle arti, la sacra immagine della Madonna della Carità fu sottoposta ad un intervento di restauro.
Nel 1957 la sacra immagine venne trasferita nella chiesa di S. Martino a causa dei pericoli di crollo della chiesa, poté tornare solo nel 1959 a lavori ultimati.
Ultimamente sono stati eseguiti nuovi interventi di restauro che hanno mirato al consolidamento della facciata, del tetto e delle coperture sottostanti. Opere realizzate con finanziamenti comunali e con il contributo di privati.
LA SACRA IMMAGINE DI NOSTRA SIGNORA DELLA CARITA'
Sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Apollonia è posta una Madonna fatta dipingere dalla nobildonna Agnese di Castelluzio per volontà testamentaria. Il suo esecutore Angelo Sorci, il 10 maggio 1491, diede commissione alla bottega di Antonio Aquili meglio conosciuto come Antoniazzo Romano. Il popolo veliterno prese subito a venerarla e, col passare del tempo, identificandola col titolo del sodalizio, prese a chiamarla Madonna della Carità.
Tra le lettere componenti l’epistolario privato del cardinale Stefano Borgia si trova menzionato un presunto movimento degli occhi della sacra immagine avvenuto nel 1796. Il porporato stesso però invitava alla prudenza dicendo che poteva essere stato un riflesso del cristallo che proteggeva l’immagine.
Il Convento del Carmine si trova all'inizio del secondo colle dello sperone nord-ovest del Monte Artemisio nella città di Velletri: ora in pieno centro storico, ma nell'epoca della sua costruzione era addossato alla chiesa dedicata a Sant'Antonino, risalente al 1065 e sovrastante le mura perimetrali.
Nel 1533, a causa della poca disponibilità economica ricavata dalle rendite, la chiesa venne venduta alla Confraternita della Misericordia dei Padri Carmelitani, nel successivo anno, con l'aiuto della comunità dei fedeli, si iniziò la costruzione di un Convento/cimiteriale, e la Confraternita tenne in piedi solamente la cappella della chiesa di Sant'Antonino, che poi nel 1600 venne dedicata a San Giovanni Decollato: in questa cappella venivano sepolti i frati della confraternita e i condannati a morte; la parte restante della chiesa fu demolita ed incorporata nei locali del convento.
A partire dal 1835 la Confraternita venne soppressa e l'attività passò in mano alla Compagnia della Buona Morte.
Nella Battaglia di Velletri nel 1849 il convento fu ridotto a stalla per la rimessa dei cavalli e i muli dei Garibaldini entrati in città.
Quando nel 1870 Velletri l'unica Città legata per secoli allo Stato Pontificio entra a far parte del Regno d'Italia, e, si inizia la costruzione del Cimitero comunale, il complesso conventuale del Carmine diviene proprietà demaniale e fu subito impiegato a Caserma militare e magazzino.
Successivamente, per un breve periodo i locali furono risieduti anche dalla Guardia di Finanza, e nel 1911, questi locali già sede degli uffici governativi, ospitarono anche l'ufficio del Registro e l'Archivio Notarile fino al 1960.
Il Convento del Carmine si trova nell'attuale Piazza Trento e Trieste, nome che prese dopo la guerra (alle ore 16 del 3 novembre 1918, l'incrociatore Audace, seguito da 6 cacciatorpediniere della Marina Militare, attracca al molo San Carlo di Trieste tra la folla in delirio, la storica data sarà incisa su una Rosa dei Venti collocata in cima al molo, chiamato da allora "Audace". Velletri unica dopo Trieste adotterà una Via dedicata al 3 Novembre ma l'ignoranza di chi ci ha governato qualche anno fa l'ha rimodernata in Via 4 Novembre); inizialmente Piazza Sant'Antonino, poi la piazza assunse il nome del Carmine in omaggio a tale ordine di frati, nome che ritiene fino ad oggi (come dice il Tersenghi nel Saggio di Topografia del 1930).
In un rapporto, Aloysius Gardellini parla della Processione della Madonna del Carmine "…che si svolgeva nella domenica dopo il 16 luglio… …mentre si celebrava ancora l'Ottavario" (dice poi, parlando dell'anno 1754, che l'Ottavario arrivava fino alla festa di S. Giacomo o S. Anna 25 o 26 luglio).
Il complesso ha un grande chiostro quadrangolare coperto con volte a crociera che, sul lato ovest, presenta delle lunette affrescate con storie dell'ordine Carmelitano. Una vasta sala rettangolare a pianterreno fungeva da refettorio, e mostra nella lunetta della volta a botte ribassata la rappresentazione del profeta Elia su di un carro di fuoco che sale al cielo (al profeta Elia risale infatti, secondo la tradizione, l'Ordine dei Carmelitani dell'antica Osservanza) e, nelle due lunette di fondo, la Vergine tra Santi e Martiri in cui è raffigurato il dono dello scapolare ai carmelitani, a testimonianza della particolare protezione conferita dalla Vergine al suo portatore; e infine la rappresentazione dell'Ultima Cena.
Il complesso più volte restaurato, è in stato di abbandono, ora si sta cercando di recuperarlo per le nuove generazioni.
Il Monte Carmelo, in Palestina, fin dal tempo dei Fenici (chiamati Filistei nella Sacra Bibbia) fu meta di anacoreti; lassù si ritirarono, dopo la morte di Gesù, alcuni cristiani aspiranti alla perfezione dei consigli evangelici e sul Carmelo dedicarono il primo Tempio alla Vergine che perciò si chiamò Madonna del Carmelo o del Carmine.
Ma il Carmelo divenne insufficiente a contenere tutti quelli che si raccoglievano intorno ai primi Carmelitani e si ebbero così molti eremiti devoti alla Vergine sparsi in Palestina prima, e poi in Egitto ed in tutto l'Oriente. Verso il 1150 finalmente si organizzarono a vita comune e si ebbero dei monasteri carmelitani che, col ritorno dei Crociati, si moltiplicarono anche in occidente e precisamente in Sicilia ed in Inghilterra. L'approvazione dell'Ordine fu concessa dal Papa Onorio III nel 1226 ed una conferma più solenne veniva data nel 1273 con Concilio di Lione che aboliva tutte le nuove Congregazioni, facendo però rimanere in vita solo Domenicani, Francescani, Carmelitani e Agostiniani.
A questo punto giova ricordare due fatti prodigiosi. Il 16 Luglio 1251 appariva la Vergine Santa a San Simone Stock d'origine inglese, che da qualche anno reggeva le sorti dell'Ordine inglese e, porgendogli lo Scapolare, dicengli: "Prendi, o figlio dilettissimo, questo Scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita. Ecco un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza e di pace con voi in sempiterno.
Chi morrà vestito di questo abito, non soffrirà il fuoco eterno."
Foto:
(•) Archivio Università del Carnevale
(•) Alvaro Marcelli
Cenni tratti da:
(•) Archivio Diocesano Velletri (coadiuvato da Fausto Ercolani)
(•) Beatificazione e canonizzazione P. Philippi Velitris (1818)
di Aloysius Gardellini
(•) Santiebeati