Cell. 340 38 33 918 - Velletri
TEATRO HISTORICO DI VELLETRI |
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INDICE Imprimatur LIBRO PRIMO Del Regno d'Italia LIBRO PRIMO Velletri Capo de' Volsci LIBRO SECONDO Arme della Città LIBRO SECONDO Affetto di Sommi Pontefici
Che la bella Italia, dominante Regina del Mondo, fosse doppo l’Universal Diluvio, nella dolce Età dell’Oro, da rampolli, anzi, da quei felici Ceppi dall’inondatione dell’acque salvatj, habitata; sono chiare l’autentiche Autorità de gl’Historici e Sacri e Profani. Basterebbe per schivar longhezza nel riferire, quella di Q.Fab.Pit. De Au. Sec. lib. I.Q. Fabio Pittore, qual facendo mentione de Popoli primi habitatori dell’Italia, Toscani, cioè, e Romani, ò vogliamo dire Latini, disse, Sub Iano cœperunt in Aureo Sæculo. Ma per più chiarezza aggiungerò quel che registra M.P.Cat. de Origin. M. Portio Catone•1, che più apertamente con queste parole lo confessa, Italiæ splendidissima origo fuit, tum tempore, tum origine gentis. Cœpit enim Aureo Sæculo sub Principibus Dÿs Iano, Camese, Saturno, gente Phœnica, e Saga, qua post inundationem terrarum prima Colonias misit. È però d’avertire (dica à suo bell’agio quello che vuole Lilio Gregorio Giraldi)•2 L. Gr. Gir. tom. pr. che Giano è l’istesso che Noe, come frà molti gravi Autori afferma Beroso Caldeo•3, Beros. Cal. de Antiq. lib. 3. Genes. c.9 il quale, doppo haverlo più volte Noe chiamato, come nell’accennare la discesa di lui dal Monte di Gordico nell’Armenia, dove per quello habbiamo dal sacro Cronista, cessate l’acque del Diluvio, si fermò l’Arca, nel descrivere l’insegnamento de sacri Riti, nel riferire la partenza dall’Armenia, & in altri particolari ancora, lo chiama Giano, per esser egli stato primo inventore del Vino; non significando Iain, in lingua Hebrea, che Vino in lingua nostra. Ob beneficium inventa vinis, & vini, dignatus est cognomento Iano. Confermò l’istesso Girberto Genebrardo, quando disse, Ab hoc vino invento Ianus fortasse dictus est, nam Iain Hebreis vinum est. Seguitato anco da Gerolamo Bardi•4, da Giovanni Becano•5, e da Antonio Fonseca Portoghese, che apertamente dice, Noe esse Ianum exitum ab Area Mense Yanuarÿ quia à Iano sic dicitum. Anzi li Greci per l’istessa caggione del Vino lo chiamarono Oenotrio, asserisce Catone, quem quidam Oenotrium dictum affirmant, quia invenit Vinum & Far. È ben vero che fù chiamato Cielo, & Ogige da Senofonte, nel descrivere la sopputazione de gl’Anni de gl’Antecessori à Semiramide potente Regina de gl’Affarij scolpita in una Colonna, dice Atavus Cælus fœnix, Ogiges, ab Ogige ad meum Avum, etc. Fù detto anco Urano, che l’istesso significa, che Cielo, che Diodoro Siculo, narrando la Posterità di lui, Uranum ex multis Uxoribus suscepisse ferunt filios, e lo conferma Lattantio Firmiano•6 dicendo, Uranum potentem virum habuisse coniugem. Anzi afferma, ch’egli fosse il primo Re d’Italia, apportando il parere d’Ennio, Ennius in Eubemero, non primum regnasse Saturnum, sed Uranum Patrem. E per ciò erra Diodoro Siculo in dire, Ex multis Uxoribus, perchè una sola n’hebbe con più nomi chiamata, come più sotto si dirà. Fù, per finirla, chiamato Vertunno•7, Protheo, e Vadimone, che l’istesso significano, dice Giovanni Lucido Samoteo per parere di Samuele Talmudista, Dictus est Protheus, idest Vertunnus, vel Vadimon, qua tria nomina idem significant, ma in diverse Lingue, perchè quello che denota Vado appresso gl’Aramei•8, significo Protho appresso gl’Egittij, e Verto appresso i Latini. Quindi ragionevolmente disse Giovanni Nauclero•9 Idem sunt Noe, Noa, Ianus, Ogiges, Vertunnus, Cælum, Sol. E s’altri nomi à Noe furono dati, ne fù caggione la varietà de’ concetti, c’haveva di lui il Mondo, per la congitione che si haveva de’ beneficij apportati da lui alle genti. Noe dunque doppo il Diluvio, veggendo ravvivato (per così dire) il Gener’humano, moltpilicati i figli, e li nepoti in gran numero cresciuti; per toglier via ogni motivo di rissa, divise à quelli i Regni, le Provincie, e le Colonie; divisione autenticata dal sacro Cronista, che disse, Ha familia Noe iuxta Populos, & Nationes suas ab his divisa sunt Gentes in terra post Diluvium. Et havendo à Semo l’Asia, à Giapero l’Europa, e l’Africa à Camo assegnato•10, come anco à varij Capi di famiglie diverse Provincie, e Regni (questo fù al computo di Giovanni Annio l’Anno C. doppo il Diluvio.) Egli, dubbioso forse, ò più tosto presago della discordia de suoi figli, pigliò l’independente cura del Mondo; il che fu accennato da Ovidio, quando disse
Me penes est unum vasti custodia Mundi.
Note
Chi diede di Latio il nome à quella Regione di quà dal Tevere; dove, come piace à Fabio Pittore nel sopracitato luogo, hebbe i suoi primi natali la Trionfante Roma, fù Saturno Caspio, chiamato per altro Nome Sabatio Saga, Figliolo di Cuso, Nipote di Camo, Pronepote di Noe, che dal Sacro Cronista vien detto Sabatcha, che perseguitato dall’empio Giove Belo, Padre di Nino, e Figlio di Nembrotte, se ne fuggì in queste nostre Contrade, e perciò in questo mi dilungo dal Bardi, il cui intendimento è, che questo Saturno sia figlio di Noe; se però non intendesse di Saturno Egittio, dico Camo, che allhora sarei seco. Che il detto Sabatio sia il nostro Saturno, lo dice Beroso, quando narra la prima fuga di lui ne monti Caspi, e trà li Battriani, & Armeni più remoti, per schivar la Tirannia del crudo Belo, Sabatius (egli dice) delitescebat in Battrianis Sagis, Torello Sarayne conferma l’istesso con le seguenti parole, Postquam paulo post, & Saturnus, qui, & Sabatius Saga dictus est, frater Nembrot Saturni Babilonici, & Patruus Iovis Beli, in Italiam concessit fugiens arma Iovis. Leandro Alberti, l’Annio, Gio. Christostomo Zanco, & il dottissimo Padre Maestro Felice Ciatti chiaro splendore della mia Francisca Religione con altri molti gravi Autori sono del medesimo parere, e trà viventi, Pompeo Angelotti fondato nell’Autorità di Monsignor Vittorij in un Sonetto dell’Istoria di lui manoscritta.
Note
Cinque furono li Popoli principali, c’habitarono il nostro famoso Latio, Latini, cioè, Equi, Hernici, Rutuli, e Volsci: lasciando da parte gl’Aborigini, i Pelasgi, i Siculi, gl’Ausoni, & altre genti, che di quà dal Tevere procurarono di dimorare, e trà li detti cinque, gli più antichi dirrei (eccettuando i Latini) fussero i nostri Volsci. Perchè al tempo di Saturno Cecolo nell’Anno Sesto del suo Impero, era Re de Toscani Osco, le cui genti dal proprio Signore, che portava per impresa un Serpente, detto Oscorzone•1; furono chiamati Osci, e fù ne gl’Anni del Mondo MMM. DCCC. XC.. Questo Osco, vogliono alcuni, che stasse nella Provenza, alle sponde del fiume Rodano, dove hora è Avignone: ma Manethone nel supplemento à Beroso, afferma che regnasse nella Toscana; ecco le sue parole, Apud Turrenos regnat Oscus, cuius insigne fuit Serpens. Hic ex Vetulonia multas Colonias seminavit. L’istesso conferma l’Alberti, & il Valeriano•2, che con il fondamento di Manethone dice Oscum, qui Tyrrenis imperavit, insigne Serpentis habuisse constat. Oscum Ægiptiorum more Serpentis insigne gestasse, & Oscos eius Colonos inde nuncupatos. Giunsero questi Popoli fino à Capua, & ad altri luoghi convicini, gl’habitatori de’ quali furono poi chiamati Osci, e quelli, che restarono nel nostro Latio antico più vicino à Roma, furono detti Volosci, e per sincope Volsci, cioè antichi Osci; perchè quella sillaba Vol, non significa che antico. Da questo Osco cominciò la scissura del nostro Latio, che con diversi Reggi, quand’hebbe uniti i suoi Popoli, fece sudar la fronte ad altro caldo, che di Sole, e sbattere più volte i denti ad altro freddo, che di Borea, à Roma crescente. Resta pur hoggi il nome della prima Colonia fabricata, ò habitata da Volsci, e se ne vedono li vestigi d’antiche rovine sotto le vigne di Sonnino, passato il celebre Monastero di Fossanova, e chiamasi per ancora senza sincope Volosca.
Note
Il sommo Monarca Dio, per dare à divedere à pazzi mortali, che tutte le cose create sono manchevoli, e che egli è solamente immutabile, hà fatto provare con chiara esperienza, che le cose più stabili del Mondo habbino havuta repentina mutatione, come s'è veduto nelle Città, Provincie, Regni, Imperij, e Monarchie; e perciò niuno dovrà maravigliarsi quando da buoni Autori si sentono registrare cose, de loro tempi che à nostri giorni non se ne sentono ne pure i nomi; onde perdono quella credenza, che ragionevolmente le si deve. Hà sperimentato il nostro Latio con tutte le genti in esso racchiuse, l'incostanza del proprio Regno, in tanto che Plinio dice, che Cinquantatre Popoli, e per consequenza Cinquantatre trà Città, e Terre, sono restati estinti, Ita ex antiquo Latio quinquaginta tres Populi interiere sine vestigiis, ne pur l'ombra ve n'è restata. E nella Palude Pontina, cominciando dal Monte Circeio alla costiera del mare vi erano vintitre Città Illustri, et apporta l'autorità di Licinio Mutiano, huomo di credito, per esser stato tre volte Console, A Circeiis Palus Pontina est, quem locum vigintitrium Urbium fuisse Mutianus Consul prodidit. Onde è di concludersi, che la Regione del Latio posseduta da Volsci, sia scemata de Colonie, e d'habitatori. perchè come dice Pomponio Mela, questo nostro Regno de Volsci terminava con i Marsi, Capuani, Sedicini, e Aricini. Non doverà dunque il Lettore restar maravigliato, se non haverà quella contezza di ciò, che potrebbe desiderare, perchè parte de' luoghi sono destrutti, parte n'hanno mutato il nome, e tutti hanno dato saggio, che tutte le cose sono deficienti, eccetto Dio. Sappia il Lettore, che nel descrivere le Città di questo Regno, io hò voluto usar brevità, e perciò in compendio hò scritto quanto hò trovato in Livio, Dionisio, Plinio, Strabone, Solino, Frontino e altri antichi Scrittori, quali si citaranno conforme al bisogno.
Cominciando con ordine Alfabetico; prima Città de' Volsci si chiamava Amiela, differenta dalla Patria di Castore, e Polluce, posta vicino à Terracina, habitata già da Laconi; ma perchè seguitavano la Setta Pitagorica, il cui insegnamento era, che non s'uccidessero Animali di qualunque sorte: furono tanto stretti osservatori di così falsa dottrina, che si lasciarono da serpenti, che ve n'erano in grandissima copia moltiplicati, mordere, avvelenare, e uccidere, onde la Città ne restò destrutta, e Plinio disse, Amiela à serpentibus deleta. Altri però dicono altramente, cioè, che il precetto di tacere lo strepito dell'armi nemiche, quale apportava spavento, e timore à Cittadini, fù caggione, che li nemici l'assalissero, e distruggessero: quindi Silio Italico disse, Evertere Silentia Amielæ e ne nacque quel Proverbio, Loqui volo, nam scio Amielas tacendo periisse.
Ansure, per altro nome detta Terracina, e Trachina, per dove scorre il fiume Ufente, dice Vibio Sequestro, Ufens Terracinæ proximus. Questa Città fù presa in giorno di festa da Fabio Ambusto per mancanza di Sentinella, ò Guardia; ma con molto fastidio, per la fortezza del sito: se ben poco doppo, ritrovandosi le Guardie de' Romani più intente à negotij mercantili, che ad esercitij militari, e ricettando liberamente i Mercanti Volsci, che certo à tal fine moltiplicavano, furono le Sentinelle ingannate, e li soldati oppressi. E' stata Città celebre, e come dice il Mazzella, edificata da Ansure figlio di Giove Belo, à cui si facevano sacrificij, anzi fù detta Anxur, dall'istesso, che ivi fanciullo, e sbarbato si adorava.
Anzo, Città già distrutta, fù presa da Tito Quintio Console nel Cons. XXXIX. ma per assedio: perchè havendo li Volsci ricevuta una gran rotta, et essendosi ritirati in Anzo, furono subito assediati, et alla fine si resero à Romani, che la fecero Colonia. Fù presa un'altra volta da Camillo, li furono tolte le Navi, parte de' quali restarono abruggiate, e parte condotte in Roma, e de gli Rostri, ò vogliamo dire Speroni, se n'ardornarono le Loggie Capitoline, onde pigliarono il nome de Rostri. Se ne vedono le rovine lacrimevoli, et il famoso Porto ripieno, delle quali se ne fabricò un Castello, hoggi detto Nettuno, con Fortezza per impedimento à Corsari, e buona parte del sito è posseduto dal nostro Convento di S. Bartolomeo.
Apiola1, quale per parere di Valerio Antiate fù presa da Tarqinio Rè, e delle rovine di essa ne fabricò il superbo Capitolio Seggio de' Trionfanti, della quale, oltre à Messala Corvino, dice Strabone, Apiola Urbs, quam Tarquinius Priscus delevit.
Aquino, fù una Città grande, così chiamata da Strabone, Aquinum Urbs Magna. Fù fatta Colonia dalli Triumviri, così dice Frontino, Aquinum muro ductam, à Triumviris deductam. In questa Città fù come essiliato Dolabella, riferisce Tacito, Sepositus, per tres dies Cornelius Dolabella in Coloniam Aquinatem, dove ancora fu ucciso, Occidi Dolabellam iuissit, quem in Coloniam Aquinatem sepositum ab Othone retulimus; e se bene al presente questa Città è quasi distrutta; nulladimeno è celebre per li natali del Glorioso S. Tomasso Dottor Angelico, di cui disse il Flaminio, In praelcara Patria, in vetusta, et primaria Volscorum Urbem Aquino, ex clarissimis Parentibus, iisque Principibus, è quibus etiam Mater, duorum Regum Sicilia vidilicet, et Aragoniæ Matertera fuerat, magnus hic Doctor natus est. Qui, quantus, etc.
Arce, dalla quale piglia il nome la Villa di Cicerone, chiamata Arcano, e ne scrisse à Quinto suo fratello, dicendo In Arcano fui, ibi Massidiam cum Polixeno, aquamque, quam ii ducebant, non longè à Villa bellè fanè fluentem vidi. Ne habbiamo di ciò il rincontro, perchè nel Martirologio Romano vi stà, Arcani in Latio con la festa di S.Eleuterio Martire per li 14.d'Ottobre; uno de' quali stà non molto distante da Arce, e l'altro dentro la Rocca, onde ragionevolmente si doveva dire, che Arcano sia l'istessa Terra d'Arce.
Arpino, Patria di persone insigni, come di Caio Mario, che fù sette volte Console, e di Cicerone, di cui, come si è registrato di sopra, disse Eusebio, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia, Patre Hequestris Ordinis. E Giovenale Arpinas alius Volscorum in monte solebat. Fù luogo Municipale, riferisce Sesto Pompeo, e vicino vi stava il vico detto Cerreatone, del quale fa mentione Plutarco nella Vita di Mario.
Artena, Città poco lontana da Ferentino, fù presa nel Cons. LXXXIV. essendo Console Gneo Pompeo Cosso, e Lucio Furio Medullino. Restava però intatta la Rocca, e li Romani partivano confusi, e senza vittoria, se un Servo traditore non la dava in mano de nemici, che la combattevano.
Allura, Castello così chiamato dal Fiume, che vi passa vicino, dove furono rotti, e disfatti da Caio Menenio Console gl'Esserciti de gl'Aricini, Lanuvini e Veliterni. Il Castello è distrutto; non vi è altro che una Torre alla costiera del Mare, e nella quale continovamente vi si mantengono Guardie per li Corsari. E loco in vero memorando per la presa, e morte di Cicerone datali dal monstro d'ingratitudine Popilio Lenate, dice Plutarco. E per la prigionia di Corradino figliolo di Henrico, e Nipote di Federico Secondo Imperatori, che vi era fuggito col Duca d'Austria; tanto nota l'Alberti.
Atina Città potente, quest'encomio li è dato da Vergilio,
Atina potens, Tiburque Superbum
E Valerio Martiale disse,
Quo Cive prisco gloriatur Atina
Fù Colonia di Romani fatta da Claudio Nerone, narra Frontino, ma col titolo di Prefettura, disse Cicerone nell'Oratione Pro Cn. Planco, di cui intendeva, quando scrisse, Hic est è Prefectura Atinate.
Aurunca, li cui Popoli assalirono il Contado Romano con subita scorreria, per il che senza dimora fù fatto Dittatore Lucio Furio, e ne restò vincitore; e delle spoglie se ne fabricò per Voto un superbo Tempio à Giunone Moneta: questo fù nel Cons. CVIII. essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino. Da questa Città fece partenza Dardano quando, doppo la morte di Iasio suo fratello, andò nella Frigia, come si dirà altrove. E annoverata questa Città tra Latini, ma l'haver havuto i suoi habitatori rifugio, e ricovero in Sessa Città Volsca, e datoli per qualche il Nome, mi fa scrivere, che di sicuro fosse ancor'ella Città Volsca.
Cassino, ò pure Monte Cassino, vicino dove stava la Villa di Marco Terrentio nominata da Varrone, e da Cicerone, come registra il Cluerio, dove hà li suoi principij il Fiume Scatebra. Alla radice di questo Monte hora si trova situata la Città di San Germano in Regno. Varrone è di parere, che Cassino sia stato edificato dà Sabini, & il suo Nome venga derivato da Casco, che significa antico. Fù fatta Colonia nella sconfitta de' Sanniti da Lucio Papirio Cursore, e Caio Giunio Bubulco Consoli.
Cenone, quale fù pigliato da Tito Numitio Prisco, essendo Console nel Cons. XXXVIII. Non ardì egli assalire Anzo Città ben munita, e forte; e perciò isfogò il suo sdegno contro questa Terra vicina, ma non fù ritrovata molto ricca, come li Romani si pensavano.
Circeio Città piccola, posta in un Promontorio, ò vogliamo dire Isola, dell'istesso nome, hora detto Monte Circello, quale, come narra Clitarco, circondava dieci miglia; e v'habitava Circe Maga, reputata figlia del Sole, per la cognitione, c'haveva della virtù delle Piante , & Herbe, che in quel Monte nascevano. Da questa Città Gneo Martio Coriolano discacciò li Romani, che vi stavano condotti da Tarquinio Superbo. Doppo molto tempo sopra le sue rovine fù fabricata una Fortezza, che talvolta fù sicuro ricovero à Sommi Pontefici, particolarmente à Gelasio Secondo. Al presente vi stà un Castello de i Signori Caetani, chiamato Santa Felice.
Clostra fù un Castello, di cui fà mentione Plinio, e stava vicino alla bocca del fiume Ninfeo, cosi dice il Cluerio, Clostra propè Ostium fuere Nimphei fluvÿ.
Cora chiamata Città da Servio, della quale fa mentione Giulio Ossequente, e la chiama Caura, narrando che dal suo seno scaturissero rivi di sangue, Appio Claudio, & Publio Metello Consulibus, Cauræ sanguinis rivi e terra fluxerunt. Plinio la registra edificata da Dardano Troiano: non intendo però per questo Dardano il fratello di Iasio, perchè (accostandomi per adesso al parer del Poeta) con poca accortezza haverebbe detto Vergilio, che Anchise mostrasse ad Enea suo figlio frà le future Città, che fabricar dovevano i suoi Troiani, e successori, e vi fosse anche Cora, dicendo,
Hi tibi Nomentum, & Gabies, Urbemque Fidenam,
Hi Collatinas imponent montibus arces,
Pometios, Castrumq. Inui, Bolamq. Coramq.
Hac tum nomina erunt, nunc sunt sine nomine terra.
E perciò questo Poeta vuole che Cora sia stata edificata da Corace fratello di Fiburte, e di Catillo figlioli d'un altro Catillo, nipoti d'Amfiarao, pronipoti d'Oicleo descendenti da Giove; ma di questo ne trattaremo altrove con maggior chiarezza. Li Corani assieme con li Popoli di Pometia, benche Colonie de' Romani, s'unirono con gl'Aurunci, e perciò li Romani, essendo Consoli Agrippa Menenio, e Publio Postumio fecero guerra contro detti Aurunci, & al fine si ridusse à Pometia con vittoria de Romani. Da questo Agrippa Menenio, e per l'istessa speditione si fabricò, e chiamò il Ponte Menenio, hoggi detto Ponte Menello nella via Appia, dove il Tenente Francesco Cinelli hà un delitiosa Villa. Un'altra volta, che li Romani s'inasprirono contro Volsci, pigliarono per Ostaggi Trecento teste libere de principali Corani, e Pometini: Hæc ita Consules in Volscum agrum Legiones duxerunt, Volscos consilȳ non metuentes, nec opinata res perculit; armorum immemores obsides dant CCC. Principum à Cora, atque Pometia liberos, tanto narra Livio. Fù poi desolata Cora nel tempo de primi Imperatori, che fù motivo à Propertio di scrivere:
Ultima præda
Nomentum, & capta iugera terna Cora.
E Lucano assomigliò la rovina di Cora à quella de' Gabij, e de' Veij, dicendo,
Tunc omne Latinum
Fabula nomen erit Gabios, Veiosq. Coramque
Pulvere vix tecta poterunt mostrare ruinæ
di presente si ritrova in piedi sotto la giurisditione del Senato Romano, e del Vescovato Veliterno.
Corbione, questa Città, par che si debba annoverare, con Dionisio, piu tosto trà gl'Equi, che trà Volsci, per la quale detti Equi tanto guerreggiarono, onde ne furono mandati sotto il Giogo dal Dittatore Lucio Quinto Cincinnato. Li Popoli di Corbione, se bene s'erano dati à Romani, con tutto ciò nel Consol. L. fù la Guardia Romana assalita di notte da gl'Equi, e facilmente la ricuperarono; ma da Marco Horatio Pulvillo Console fù presa di nuovo, combattendo essa ferocemente in Algido, hora Rocca di Papa; alla fine fù disfatta dà Romani. Io l'hò posta trà le Città de' Volsci, perche fù ricuperata da Gneo Martio Coriolano Capitano de' Volsci.
Coriolo2, Città non solamente buonissima, ma ricchissima; perche dalle parole d'Eutropio, Etiam Coriolos Civitatem, quam habebant Optimam, perdiderunt, altri leggono Opimam. Fù presa nel Cons. XVI. dal suddetto Gneo Martio nobile Cavalier Romano, dalla quale pigliò il nome di Coriolano; ma perche fù fatto esule dalla Patria à voto della Plebe, devenuto Capitano de' Volsci, ripigliò questa, & altre Città; insieme, e se la Pietà Materna non lo raffrenava Roma, che gravemente teneva astretta, pigliava ancora; tornando poi trà Volsci, dicono alcuni, fosse da gli medesimi ucciso; ma il Sabellico per parere di Fabio Pittore dice, che egli morisse vecchio, Eum in exilio consenuisse prodidit Fabius Pictor. L'istesso pure afferma il Zonara. Di questa Città non ve n'è vestiggio alcuno; confinava con Aricia, & Ardea, come si cava per il suo Contado pigliato nelle passate Guerre, e preteso dalle due accennate Città.
Eggetra, ovvero Eccetra, mi persuado fosse dove hora stà posto Monte Fortino de' Signori Borghesi, ò poco lontano, almeno; perche quando li Tribuni mandarono, ò condussero due poderosi Esserciti contro Volsci, dice Livio, che Spurio Furio, e Marco Horatio andarono ad Anzo verso la Marina, e Quinto Servilio, e Lucio Geganio à man sinistra verso Eccetra, e prima nel lib. 4. narrando un fatto d'armi passato trà Romani, e Volsci, dice che, fù inter Ferentinum, & Eccetras, che di già era stata saccheggiata da Fabio Ambusto.
Fabratera, li di cui Popoli fecero ricorso à Romani per particolar ambasciaria, acciò li volessero difendere dall'incursione de' Sanniti. Di presente si chiama Falvatera, ne fece mentione Cicerone con queste parole, Nam & Aquini, Fabrateria consilia sunt inita de me.
Ferentino, se bene da molti è posta trà gl'Hernici, con tutto ciò era della Natione Volsca, come asserisce Livio, che narrando nel Cons. LXXXIV. le caggioni, ch'apportavano gl'Antiati per sollevare tutta la natione Volsca contro Romani, riferisce, che dicevano, la destruttione de Verruggine, e l'haver tolta à loro la Città di Ferentino, e data à gl'Hernici, Sed Ferentinum etiam de se captum Hernicis donasse, l'istesso conferma il Glareano. La presa accennata fù nel Cons. LXXX. essendo Consoli Aulo Cornelio Corso, e L. Furio Medullino, ma doppo tredic'Anni, perche gl'Hernici erano divenuti nemici à Romani, fù presa dà Consoli Lucio Sulpitio, e Caio Licinio Calvo. Si dimostrò Città generosa, che non curando la Cittadinanza Romana, volse star ferma nelle sue antiche Leggi.
Freggelle era Città insigne, e principale de' Volsci, dal Floro chiamata Gesoriaco, Fregellæ, quod Gesoriacum, egli scrive; e da Iornande, Cesarea. Strabone la chiamò Città famosa, dicendo Fregellæ nunc vicus, olim Urbs celebris, multarumquè iam dictarum Caput. Vi s'adorava la Dea Bona, come si cava dalla seguente Memoria ritrovata trà le sue rovine, e registrata dal Grutero.
BONAE DEAE
SANCTAE
SACR.
VOTO SVSC.
MERITO LIBENS.
TERRENTIA
THALLVSA
FECIT
Fù fatta Colonia nel Cons. CXXIV. essendo Console Publio Plautio Proculo, e L.Cornelio Scapula; se bene Giulio Ossequente afferma fosse distrutta, e dice, che il secondo Console fosse Marco Fulvio, Publio Plautio, & Marco Fulvio Consulibus, Fregellæ, quæ adversus Romanos coniuraverant, diruta. Questa è stata una Città sfortunata per li disastri havuti; perchè à Volsci fù dà Sanniti tolta, e disfatta, doppo dà Romani ristaurata; non molto tempo doppo da' medesimi Sanniti con l'aiuto de Satricani ripigliata con inganno. Combattevano valorosamente i Fregellani notte, e giorno, perche si guerreggiava per le cose sagre, e per li Dei; intanto che le donne fatte coraggiose, e martiali, assieme con l'altre persone inutili, combattevano dalle fenestre; quando la falsa voce d'un banditore, che proclamò la depositione dell'armi, à chi voleva esser salvo, fece render la Città soggetta alla crudeltà de' nemici, senza che à pertinaci giovasse la resistenza, & il valore. Era di tanta stima questa Città, che Valerio Massimo narra, che Lucio Opimio, per haverla soggettata à Romani, domandò il Trionfo, Lucius Opimius, Fregellanis ad deditionem compulsis, triumphandi potestatem à Senatu petÿt. Alcuni vogliono fosse dove hora stà Ciprano, tanto accenna il Cluerio; ma il Biondo vuol che fosse dove di presente è Pontecorvo, & il Volaterrano è di pensiero che fosse ivi vicino, Fregellæ nunc, sive ex sive eius ruinis Pontes Curvus Oppidum existimatur. Et il Sigonio il modo del nuovo nome, dicendo, Rodoaldus Gastaldio Aquinas Castrum apud Pontem Curvum construxit, quod ab eo Pontem Curvum, quo in loco Fregellæ quondam inclita Romanorum Colonia fuit. Fu ancora Patria di quel Marco Sestilio, che rispose per le Diecedotto Colone, quali promisero aiuto à Romani, e di Lucio Papirio celebre Oratore.
Frusinone ancora era Città de Volsci, come si trova in Livio, qual riferisce, ch'essendo Consoli Lucio Genutio, e Sergio Cornelio, furono castigati li Frusinati, perche havevano sollevati gl'Hernici contro Romani, Frusinates tertia parte agri damnati, quod Hernicos ab eis sollicitatos contemptum'. Alcuni vogliono, che fosse questa Città espugnata, & il loro Campo venduto; ma Frontino è di parere fosse il Campo assegnato à Soldati veterani, Frusino Oppidum muro ductum, ager eius veteranis est adsignatus. E celebre hora quella Città per esser luogo di Tribunale della Provincia di Campagna, ma più per li due Sommi Pontefici, e Santi Martiri Hormisda, e Silverio.
Fucino, se da Plinio vien posto trà Popoli Marsi, da Livio è computato tra le Città Volsche; perchè essendo stato ceato Dittatore Publio Cornelio, doppo la rotta d'Anzo, riferisce Livio il fatto dicendo, Victor Exercitus depopulatus Volscum agrum Castellum ad Lacum Fucinii vi expugnatum, atque in eo tria millia hominus capta, cateris Volscis intra mœnia compulsis, nec defendentibus agros. Vien confermato dal Glareano con queste parole, intendendo de Fucino, Livius in Volscis ponit.
Gabij Città edificata da Galatio, e Bio fratelli Siculi, scrive Solino; alcuni vogliono che sia dove hora è Zagarolo, altri Galicano; ma Giovanni Gobellino è di parere, che questa Città fosse dove è hora si stà Cave. Fù Città in vero celebre, presa da Tarquinio Superbo, ma per inganno di Sesto Tarquinio suo figlio, che finse esser fugitivo dal Padre. Che questa Città fosse de Volsci, lo asserisce il Godelveio, dicendo, Gabios Volscorum Urbem septuaginta millibus passuum ab Urbe sitam, Vergilio è di pensiero, che sia stata questa Città edificata da' descendenti d'Enea.
Interanna, hoggi chiamata l'Isola di Sora, cosiddetta, perchè stà in mezzo à due fiumi; questa Terra fù nel Consolato CLIV. combattuta da Sanniti, ma non riuscendoli l'impresa, saccheggiarono il Contado; ne fa mentione Cicerone quando dice, Cassino salutatum veniebant, Aquino, Interamna. Vi stava un Castello vicino chiamato Succusano; quindi disse Plinio, Interamnates Succusani, qui et Lirinates vocantur".
Lanuvio, viene annoverato trà le Città Volsche, è però differente da Lavinio, come si deduce da più luoghi di Livio, e d'altri Autori. Era posseduta da Romani, ma fù poi ricuperata da Coriolano nel Cons. XVII. E stata honorata dalli natali di due Imperatori Antonino Pio, e Commodo Antonino. Alcuni pensano, che fosse dove hoggi si vedono le rovinde d'un Castello disfatto chiamato San Genaro.
Lautula era un Castello vicino à Terracina trà il Monte, e il Mare, dove si fermò quella Compagnia de' Soldati, che si licentiarono da Capoa, essendo Console Caio Martio Rutilio: qual Compagnia, ò vogliamo dire Essercito senza Capo, se ne scorse senz'ordine à predare, e saccheggiare il Contado d'Albano.
Longola3, sin dove furono perseguitati gl'Antiati da Postumio Cominio, essendo Console. Volendo li Longolari far fronte à nemici, uscriono fuora coraggiosamente, ma, come scrive Dionisio, furono forzati à ritirarsi dentro le mura: è pensiero fosse trà Anzo e Ardea. La ripigliò Coriolano per li Volsci: di presente non se ne vedono ne anco li vestiggi.
Metio latinamente Ad Metium, non molto distante da Lanuvio, Non procul à Lanuvio Ad Metium is locus dicitur, Castra oppugnave est adorsus, dice Livio. Fù per il fuoco dato dato à ripari presa, e saccheggiata da Furio Camillo Dittatore, poco avanti repigliasse Sutri dalle mani de Toscani. Credeno fosse dove al presente dicono la Castella: luogo prima chiamato Castel Muzzo, come per un Instromento di Feudo fatto da Leone Vescovo Veliterno ad un certo Demetrio Console, e Capitano, sotto Marino Secondo, detto Iuniore Sommo Pontefice. Ma Diodoro Siculo lo chiama Ad Martium dicendo Volsci Bellum ipsis moverunt, Tribuni igitur Consulares delectu Militum, et copiis in apertum deductis, Ad Martium quod vocant. Castra posuere CG. ab Roma Maciis. E Plutarco narrando quell'istesso di Livio, e Diodoro, lo chiama parimente Ad Martium, dicendo, Dictator tertium Camillus dictus Legiones cum Tribunis Militum à Latinis, et Volscis obsideri, delectum habere non iuniorum solum, sed maiorum natu quoque coactus est, ac longo flexu Martium Monte exercitum circumducto, Castra à tergo hostium clam est metatus. Il Cluerio vuole, che il Colle Martio fosse vicino à Velletri, onde mi dò à credere, che sia il Colle dei Magnafichi, detto hoggi Colle di Marmi, distante dal preteso Lanuvio mezzo miglio, nel quale si trovano bellissime Antichità.
Mezze in Latino dette, Ad Medias, era un Castello de' Volsci posto trà il Foro Appio, e Terracina, come si cava dall'Itinerario Gerosolimitano.
Mucamite, dal Sigonio detto Ulcamite, questa Città hebbe la medesima fortuna, et nell'istesso tempo, che Longola, avanti alla presa di Coriolo, non ve n'è minimo vestigio, ne hò potuto trovarne altra memoria.
Norba, di presente Norma chiamata, fù fatta dalle prime Colonie de Romani con Velletri, scrive il Flavio, Dehinc Velitras, et Norbam in Pontino ex primis Coloniis. Fù Fortezza de Volsci, e perche riguardava verso il mare, stando posta in un Monte, li Romani la stimarono come Rocca in difesa della Città di Pontia. Fù nel Cons. CXI. saccheggiata con subita scorreria da' Pipernesi.
Piperno, ò Priverno, per dove scorre il fiume Amaseno, cosi conferma Vibio Sequestro dicendo, Amasenus Privernatium, Città insigne, amica di Velletri, Patria di Camilla Regina, e valorosa Guerriera; la di cui Historia ha scritta il Padre Teodoro Valle Domenicano Privernate, nella quale si contengono cose molto honorevoli per la Patria, estratte da varij Autori, perciò nel far mentione di questa Città io non mi diffondo, anzi lascio sotto silenzio le sue grandezze.
Polustia, cosi chiamata da Dionisio, è posta vicino à Longola, di cui scrisse, Duxit Polustiam non procul à Longula dissitam. Dal Sidonio è detta Polusca, Adduxit autem Exercitum ad alteram Civitatem Volscorum, quæ Polusca vocatur, spatio antem non longè à Longula distat. Non stava molto lontanza da Anzo per Velletri, fù pigliata da Romani, ma poi da Gneo Martio ricuperata con Satrico, Longola, Coriolo, et altre molte.
Pometia Città, che stava poco lontana dal Mare nel tratto di Terracina per la Palude Pontina; che per la fertilità de suoi campi, come per Antonomasia di quelli si disse, Territorium Pometinum. E percio al tempo di Ligurgo Legislatore de' Spartani, passando per queste contrade i Lacedemoni, si fermarono negl'accenati Campi, dalla fertilità de quali s'indussero ad imporgli il bel nome di Feronia, com'anco alla Feronia Dea un superbo Tempio edificarono, tanto narra Dionisio, Cumquè delati essent ad Pometinos Campos Italiæ, quò primum venerunt, appellasse Feroniam, memores, quod eos huc, illuc per mare ferri contigerat: Templo quoque construxisse Divæ Feroniæ, cui vota fecerunt. Con le spoglie di questa Città Tarquinio Superbo pensava edificare il famoso Tempio di Giove.
Pontia era una Città fabricata nell'Isola dell'istesso nome dirimpetto à Terracina, quale fù fatta Colonia de' Romani, e fù nel Cons. di Lucio Papirio Cursete, e Caio Iunio Bruto.
Sacriporto Città, o Castello vicino à Segni; forse delle sue rovine se n'è fabricato Gavignano, dove come narra Orosio, Silla, e Mario il giovene figliolo del Console crudelissimi nemici fecero sanguinosa battaglia, e vi morirono de' Mariani 25.mila Soldati, Silla etiam, et Marii adolscentis maximum tunc prælium apud Sacriportum fuit, in quo de Exercitu Marii cæsa sunt viginti quinque milia. E Lucano Poeta disse:
Iam quot apum Sacri eccidere cadavera portum.
Sàtrico fù Piazza d'Armi de gl'Antiati, fù presa da Furio Camillo, essendo la quarta volta Dittatore, fù poi abbruggiata da Latini per sdegno contro detti Antiati, che non volsero esser con loro uniti à far guerra contro Romani, tutta la Città restò disfatta, eccettuato il Tempio della Dea Matuta4. Fù risarcita da Volsci nel Cons. C.V. ma da Romani, essendo Consoli Marco Valerio Corvino, et Gneo Petilio. Fù di nuovo abbruggiata, restandovi pure in piedi il suddetto Tempio; ma perche poco doppo fù presa da Sanniti, Lucio Papirio Cursore l'espugnò, e ricuperò, dice Orosio, Idem deinde Papirius Satricum, expulso inde Samnitico præsidio expugnavit, et cæpit. Tengono alcuni fosse dove al presente stà Conca Ferriera famosa del S.Officio di Roma, e con qualche raggione, perche Livio narrando la partenza delle Leggioni Volsche,dice che si movessero da Anzo, à Satrico, da Satrico à Velletri, da Velletri à Tuscolo, Ab Antio Satricum, ab Satrico Velitras, inde Tusculum Leggiones missas: distanza in vero per le giornate d'Esserciti, che marciano, molto convenienti, se bene altri con giusto compito di miglia, vogliono che sia dove stà Campo morto Castello distrutto, perche da Anzo à questo luogo, d'onde à Velletri, e poi à Tuscolo, non passano otto miglia di strada, ch'appunto fanno una giornata de Militia, et à questo parere più facilmente mi sottoscritto, riportandomi però à maggior chiarezza.
Segni Città situata nel Monte Lepino, dice Columella, Qua Marrucini, qua Signia Monte Lepino. Fù Colonia di Tarquinio Superbo, non già da lui fabricata, come altri pensano, ma ben si (come dice Alicarnasseo) applicata à Tito Tarquinio suo figliolo, in quella guisa, ch'ad Arunte Tarquinio l'altro figliolo assegnò Circeio, come se ne fossero stati fondatori, Has ambas cum duobus filiis, ut conditoribus dicasset, Circeios Arunti, Tito Signiam, securus iam de Regno, etc. Nella sollevatione procurata da Lucio Annio Setino, e Lucio Numidio Circeiense, fù unita Segni con Velletri, à non consentire con l'altre Colonie. Fù Patria di S.Vitaliano Papa, come si legge nel Martirologio Romano. Era de' Signori Sforza; ma di presente è dell'Eminentis. Cardinal Antonio BABERINO Nipote dignissimo di URBANO Ottavo Pontefice vivente Ottimo Massimo.
Sessa, ò Suessa, chiamata ancora Sessa Pometia; non già quella Pometia accennata di sopra, ben sì da Cittadini di quella, che per un tempo v'habitarono, fù così chiamata; com'anco per l'istessa caggione fù detta Arunca; tanto dimostra l'Alberti. Fù saccheggiata da Tarquinio, essendo Rè Servio Tullio. In questa Città dimorarono in Esilio li figlioli di Anco Martio IV. Rè de' Romani. E ben vero, che da moderni Autori molte cose di Pometia s'applicano à Sessa, per la denominatione, che da quella ottenne. Lucio Sacco hà diffusamente con molta eruditione descritta questa sua Patria.
Sezze, se bene il suo moderno Scrittore hà à schivo la natione Volsca, per lo che la mette frà Latini; con tutto ciò molti Autori, e particolarmente il Cluerio la chiama Antichissima, e la pone trà Volsci. Il Perotti, dice, Setia Urbs est Campania, et il Schradero scrive, Setia antiquissimum Volscorum Oppidum, cosi ancora Iodoco Hondio. Titinnio Comico in honor di Sezze compose un Opra intitolata Setina, vien citato da Nonio Marcello in più luoghi nel libro che fà de Proprietate Sermonum. Gioseppe Ciammaricone Setino ha descritta eruditamente questa sua Patria5, à quello rimetto il Lettore.
Sora, rattiene per ancora il nome, che fusse de Volsci, lo dice Livio, Sora agri Volsci fuit, et il Sabellico lo conferma, narrando la sua presa, Consules Dictatoris Exercitu ab Bellum usi Soram de Volscis vi cæperunt, perche fù presa all'improviso da' Romani, ma con l'Essercito del Dittatore Furio Camillo, essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino; quindi scrisse Livio, Soram ex hostibus incautis adorti cæperunt. Si diede poi à Sanniti nel Consolato C.XXXV. per lo che ne venne un crudel fatto d'armi vicino à Lautula, col peggio de' Romani; ma poi per tradimento d'un Sorano, fù da' Romani ripresa, ch'altrimente vi voleva un lungo, e penoso assedio. Giovenale la chiama Città bonissima, dicendo Optima Sora. Fù detta ancora Saura. Di questa patria era Caio Attelio, che nel Consolato CC.XXXVI. fù Pontefice Massimo, e Valerio Sorano ancor egli Sacerdote. Fù formidabile à Romani, registra il Floro, Sora (quis credat) et Algidum terrori fureunt. E Ducato de' Signori Buoncompagni. In questa Città hà havuto i suoi natali l'Eminentiss. Cesare Baronio Scrittore celeberrimo d'Annali sacri, che per le sue qualità meritò dal Som. Pontef. Clemente Ottavo la sacrata Porpora Cardinalitia.
Le Spose, era un Castello nella via Appia distante da Cisterna tre miglia in circa, cosi registra il Cluerio, Locus igitur iste Ad Sponsas tria circiter millia passum à tribus Tabernis abfuit Romam cunctibus. Tengo di certo (stante la correspondente lontananza) che questo sia il luogo detto la Civitate6, posseduta dal Cap.
Cesare Lucarelli, overo il luogo chiamato Sole Luna del Cap. Cesare Filippi già Sergente Maggiore in Ferrara, perche in questi luoghi ambedue vicini, e posti in detta via, vi si seggono gran rovine d'antichi Edificij, e vi si trovano molte belle memorie.
Sulmone, hoggi detta Sermoneta, differente da Sulmona ne' Peligni Patria d'Ovidio. Di questa ne fa mentione Plinio, e Virgilio ancora, quando dice,
Coniicit: basta volans noctis diverberat umbras,
et venit adversi in tergum Sulmonis, ibiquè,
Frangitur, ac fixo transit præcordia ligno.
Et un'altra volta introducendo la spietata vendetta, che fece Enea per la morte di Pallante, scrive che abbruggiasse vivi otto Gioveni, quattro di Sermoneta, e quattro d'un'altra Città, nelle sponde del Fiune Ufente, dice,
Sulmone creatos
Quattuor hic iuvenes, totidem quos educat Ufens.
Torri Bianche, era un Castello lontano tre miglia da dove sbocca il Fiume Ninfeo, poco distante da Clostra, cosi dice il Cluerio, Alterum igitur istum locum ad Turres Albas tria milliam passuum ab Nimphei Ostio abfuisse crediderim.
Tre Taverne, hora chiamate Cisterna ce' Signori Caetani, e se bene alcuni pensano, che il luogo delle Tre Taverne sia hora Ninfa, con tutto ciò il Cluerio è d'altro senso, e dice, Ipsa Tre Tabernæ apud Asturam Flumen fuisse derpehenduntur, ubi locus nunc vulgo Cisterna. Dove Severo Imperatore fù da Heraclio ucciso, narra Paolo Diacono; e Zosimo, parlando di Severo, dice, Quo ille pergens, cum ad locum cuimdam venisset, quem Tre Tabernas vocant, ab infidiis, quas ibi Maxentius locaverat, comprehensus necatur, inserta laqueo Cervice. Fù doppo da Lodovico Bavaro Imperatore nel M.CCC.XXVIII. abbruggiata, dice il Villani, ma al presente, è populata molto, abbondante, e bella Terra.
Verruggine, di cui disse Livio, Verruginem in Volscis eodem Exercitu receptam. Fù presa da' Romani, e fortificata nel Consolato LX. per il che li nostri Volsci ne fecero strepito grandissimo, fù però ricuperata; ma al Consolato di Gn. Cornelio Cosso, e Lucio Furio Medullino, fù perduta di nuovo. Era una buona Fortezza per li Volsci, mentre ne fecero quel risentimento, che si narra.
Volosca, prima sede dirrei de Volsci, di cui habbiamo detto di sopra, e se ne vedono le rovine, delle quali si crede da molti, che se ne fabbricasse Sonnino Terra ancor ella Volsca. Queste, et altre Città, Terre, e Castelli erano de Volsci, c'hanno per la voracità del tempo perduti i vestiggi, et il nome. E perciò bisognarà, che il Lettore si contenti, e s'appaghi delle accennate; a queste aggiungerò Velletri, del quale principalmente si scrive. S'è fatta mentione in questo Capitolo di molte Colonie, se il curioso vorrà sapere la differenza di esse, e quali havevano Ius Romanum, e quali Ius Latii7, legga Vvolfango Lazio, Biondo Flavio, et altri Autori da me lasciati per brevità, che ne haverà compita contezza.
Note
↑ Apiolae fu distrutta secondo la leggenda dal re Tarquinio il Superbo, ed era situata nei pressi del Monte Savello, tra Pavona ed Albano Laziale.
↑ La cittadella volsca di Corioli è di incerta ubicazione, anche se si ipotizza che potesse trovarsi nell'attuale frazione di Monte Giove presso Genzano di Roma. Venne conquistata durante una campagna militare contro l'insediamento volsco di Antium, guidata dal console romano Postumio Cominio Aurunco.
↑ Longula, insediamento volsco, fu conquistata nel 493 a.C. dal console Postumio Cominio durante la sua spedizione contro i volsci di Antium.
↑ La Dea Matuta era un'antica divinità romana, dea dell'aurora e protettrice delle partorienti; in suo onore l'11 giugno si celebravano le Matralie. Il tempio presso Satricum venne frequentato anche dopo la distruzione della città, narrata dal Teoli e prima di lui da Dionigi di Alicarnasso.
↑ Nell'opera del 1641 Descrittione della città di Sezza colonia latina di Romani.
↑ L'attuale frazione di Le Castella del comune di Cisterna di Latina.
↑ Lo ius Latii era uno "status" o condizione giuridica, a metà strada tra la piena cittadinanza romana (ius romanum) e la mancanza di cittadinanza romana (peregrinus). I centri abitati che godevano dello status di ius Latii potevano godere di piena indipendenza in merito all'amministrazione interna con la possibilità di eleggere propri magistrati ma erano tenuti a fornire a Roma un determinato contingente di uomini armati.
Chi gittasse i fondamenti, e alzasse della Città di Velletri, le prime mura, per la molta antichità di essa, non v'è Autore, ne Scrittore, che ne faccia parola: li danno ben sì titolo d'Antica, Bella, Inclita, Nobile, Celebre, Insigne, Potente Ricca, Populosa, Abbondante, e con altri molti Encomij l'inalzano; ma il primo Fondatore niuno l'assegna. Il nostro Sig. Conte Gioseppe Barsi, persona, che per l'antichità della Patria, hà consumati più giorni, nella compendiosa Descrittione di Velletri data in luce nel 1631, dimostra non haverne potuto trovar il Principio, dal che maggiormente la sua antichità argomenta, come di cosa immemorabile.
Si persuadono alcuni Virtuosi, che Velletri sia stata edificata da Atlante Italo, chiamato Kitim, ò Cetim, Pronipote di Noè, Nipote di Iapeto, e Figlio di Iavano, come s'è accennato di sopra; nel principio del Regno di Mancaleo XIV. Rè de gl'Assirij, che fù, come si deduce per la sopputazione di Beroso, DC. LIX Anni, ò con il Samoteo DC. LXX. doppo il Diluvio universale; pensiero, che io stimo di buon fondamento per quanto hò potuto raccogliere da qualche rincontro. Perchè venendo Atlante vittorioso dalla Spagna, e dalla Sicilia, per haverne discacciato Hespero suo fratello; giunto in questo elevato Colle alla falda d'un Monte più vago, e riguardevole di qualsivoglia spatiosa campagna; è da credere, che vi edificasse la Città, e gl'imponesse il nome di Eletra, che così chiamavasi la sua Primogenita, che fù moglie di Corito, e madre di Dardano fondatore di Troia; sicome l'altra figlia chiamata Roma (già s'è accennato di sopra) e in quella guisa, ch'essa vien detta Vesta, Elia, Velia; e Eneti, Veneti, così Eletra, col tempo fù detta Veletra, ò Beletra, che così la chiama Stefano Greco, per essere cosa ordinaria appresso Greci del B, per V, scambievolmente servirsi. Havendo poi Dardano ucciso Iasio suo fratello, per la pretensione, c'haveva nella dignità di Corito (Dionisio è di senso, che Iasio, e fosse senza moglie, Iasius mansit celebi, e che morisse percosso dala fulmine perchè hebb'ardimento di pensare lascivamente in Cerere dicendo Iasius fulmine periit attentata Cereris pudicitia) edificare alcune Colonie nel Latio, se ne fuggì nella Frigia, à cui impose nome Dardania, dal cui sangue per retta Linea hebbe i suoi natali Enea Troiano, come dimostrano l'autorità di Manethone, Archiloco, Dionisio, Vergilio, e con altri molti antichi, e moderni Scrittori, d'Ovidio, che apertamente dice
Dardanon Electra quis nescit Athlantide natum,
Scilicet Electra concubisse Iovem
Huius Eryctionius, Tros est generatus ab illo,
Assaracus creat hic, Assaracusquè Capim
Proximus Anchises, quo cum commune parentis
Non dedignata est nomene habere Venus
Impercioche doppo, che Dardano dalla prima Moglie nomata Criseide Figlia di Pallante, hebbe havuti due figlioli, Ideo e Diamante; da Bostea Figlia di Tenero, hebbe due altri figlioli, uno chiamato Zacinto, che diede il nome all'Isola del Zante, e l'altro Erittonio, che pigliando l'Impero doppo il Padre, volse, ch'Erittonia quella Provinca si chiamasse. Da Erittonio,e Calliroe Figlia di Scamandro, overo, come piace ad Apollodoro, da Astioche figlia di Simeonte, ne nacque Troo. Questo, perchè ampliò la Città fabricata dall'Avo, volse, che dal suo nome si chiamasse Troia. Da Troo, e Acalide figlia d'Eumede, overo da Calliroe, dice, Apollodoro, ne nacquero Ilio, che diede il nome alla Fortezza di Troia, con Euridice figlia d'Adrasto, generò Laomedonte, per il cui mancamento di parola, Hercole, non l'Egittio, ma il Greco, espugnò la Fortezza di Troia, perchè li negò la sua Figlia Hesione promessali per haverla liberata dalla Balena. Anzi alcuni tengono, che perciò Laomedonte ne restasse morto, e Priamo suo figlio fatto priggione, e riscattato à grossa somma di denari de' vicini. Darete Frigio narra, che questo risentimento fatto da Hercole fosse, perche, andando egli con i Compagni à far preda del Vello d'Oro nell'Isola di Colcos, dando di capo nel Porto di Sigeo, Laomedonte non lo volse ricevere, ma con molt'asprezza lo discacciò, del che sdegnatosi Hercole, nel ritorno pigliò Troia, diede Hesione per moglie à Telamone suo compagno; e fatta la preda, uccise ancora Laomedonte. Da Laomedonte, e Strime figlia di Scamandro, ne nacque Priamo, che fù ucciso da Pirro figlio d'Achille nella Guerra Troiana. Priamo con Hecuba figlia di Cisseo Rè di Tracia, come narra Vergilio per parere di Euripide, ò pure di Dimante, dice Servio per sententia di Homero, generò Hettore tanto celebrato da Scrittori per la sua fortezza. Da Assaraco fratello Germano di Ilio, e Clitodora figlia di Laomedonte, overo da Hieramnome figlia di Simeonte, nacque Capis. Da questo, e da Naiade Ninfa, ò pure da Temide figlia d'Ilio, nacque Anchise, il quale con Venere generò Enea. Ecco dunque la retta linea di Hettore, e Enea congionti in quarto grado, e veracemente discendenti da Dardano figlio di Corito detto ancor Giove, e di Eletra.
Di dove partisse Dardano originaria radice de' Rè Latini, li Fautori, e SCrittori sono conforme alle loro passioni, diversi ancora nè pareri, esplicando quelli versi di Vergilio,
Atquè equidem memini, fama est obscurior Annis
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris
Dardanus, Idæas Frigiæ penetravit ad Urbes
Giovanni Annio vuole, che quelli Popoli, da' quali parti Dardano, si chiamassero Arunti, e non Aurunci, che stassero nella Toscana, vicino à Viterbo, e che da quel luogo egli partisse per la Samotracia. Altri molti l'istesso confermano circa la Regione; ma variano nel luogo. Giovanni Villani afferma, che partisse da Fiesole, e questa opppinione è dal Claramontio applaudita, mentre chiama Dardano Fiesolano. Sopra di che dico esser vero, che il Regno di Corito fosse in Toscana; ma che la Regia fosse Cortona, come il Ciatti afferma, overo Corneto, com'altri pensano, poco importa al mio intento. Mi maraviglio ben si del capriccio del Villani, quale quanto sia vero, si potrà raccogliere dall'altre falsità, che dice; trattando di simili antichità; cioè che Lavinio fosse vicino a Teracina, e pure è distante più di quarantacinque miglia; che Turno fosse Rè de' Toscani, e pure era Rè de' Rutuli; e che Ardea sia hoggi Cortona, e pure li vestigi di questa famosa Città, celebrano il suo sito nel Latio vicino Roma. Li difensori dell'oppinione per la Toscana asseriscono, che gl'Aurunci del Latio per ancora non havevano havuto il loro principio, per haver fondata la di loro Città Ulisse, overo Ausone suo figlio, e si fanno forti con il seguente verso di Vergilio,
Hinc illum Coriti Tyrrena ab Sede profectum
Cioè, che partito dal Regno di Corito suo Padre, ch'era nella Toscana, se ne gisse nella Frigia ad acquistare nuovi Regni. Con tutto ciò io trovo, che gl'Aurunci erano Popoli antichissimi del Latio, e che dal Latio Dardano partisse, come nel Latio hebbe i suoi natali. Che questi Popoli fossero antichissimi, lo conferma Donato, dicendo, Auruncos Antiquissimos Populos Italia ab Aurunca Civitate; ma senza ragione soggionge, Quam Auson filius Ulyssis, et Calipsus ædificavit. Essendo Ulisse coetaneo d'Enea; e Latino, di cui sono quelle parole, di più anni di Ulisse, non poteva ragionevolmente far mentione d'Aurunca; Vergilio dice in questo luogo per bocca di Latino Rè, che gl'Aurunci non facevano Historie, ne Annali, ma si servivano delle Traditioni, e Relationi fatte da vecchi à posteri, e perciò soggionge, Auruncos ita ferre senes. Se Ausone, overo Ulisse suo Padre, fosse stato il loro fondatore, non vi sarebbono stati ne anco li vecchi, non che le loro Traditioni, e forse ne anco le Città. Che fossero Popoli nel Latio, oltre à quanto si è detto di sopra con Livio, lo conferma un Toscano, che è il Fabrino, con queste parole, Aurunca era una Città Antichissima nel Latio, e il Lorito, ch'espressamente à favor nostro l'autenticò, dicendo, Aurunci sunt veteris Latij, quod à Tiberi Circeios usque erat, Incolæ. Ma per maggior prova del mio intento, mi servirò dell'istesso Vergilio, ch'introducendo Ilioneo à spiegar l'imbasciata à Didone, e la caggione del viaggio, e dove s'andava, dice, ch'era nel Latio, nel quale i suoi posteri dovevano regnare,
Tendere ut Italiam læti, Latiumquè petamus
E poco più sotto dice,
Saturniaque Arua.
chiamandosi il Latio Saturnia, come s'è accennato. Doppo un'altra volta rappresentando l'istesso Ambasciatore mandato da Enea al Rè Latino, dice,
Hinc Dardanus hortus,
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo.
Perchè l'Oracolo, come l'istesso registra, tanto gl'haveva promesso, dicendo,
Dardanide duri, quæ vos à Stirpe Parentum,
Prima tulit Tellus, eadem vos obere læto,
Accipiet reduces antiquam exquirite Matrem
Hic domus Æneæ cunctis dominabitur oris,
Et nati natorum, et qui nascentur ab illis
Giovanni Fabrino spiegando queste parole, scrive, Perche Apollo haveva commesso loro espressamente, che dovessin venire ne' paesi del Latio, donde haveva havuto origine Dardano. E se ben Vergilio dice,
Tyrrenum ad Tiberim, et Fontis vada sacra Numici
Non si deve già intendere, che doveva Enea tornar in Toscana; perchè Tyrrenus Tiber, vuol denotar, che scorre nel Mar Tirreno, così spiga l'Ascentio, Ad Tiberim Tyrrenum, idest, qui influit ad Mare Tyrrenum, in qual senso anc'Ovidio lo chiamò fiume Toscano, quando disse, Tuscum rate venit in amnem. Si stabilisce tutto questo con le sopr'accennate parole di Vergilio, cioè, Et Fontis vada sacra Numici; il Fonte ò Fiume Numico scorre nel Latio, vicino ad Ardea, così dimostrano li Scrittori. Matteo Veggio lo mette vicino Laurento, Città ancor'ella nel Latio, dicendo,
Laurentumq. petit vicina Numicius undis,
Servio dice, che fosse un fiume grosso, nel quale fù ritrovato il Cadavero d'Enea, ma poi si seccò, e perciò vien detto Fonte, e non Fiume.
Da questo dunque si deduce, che nel Latio Dardano nascesse; dal Latio partisse per la Frigia, sicome nel Latio ritornò la sua prole, dico, Enea. Il possesso finalmente del Regno corrobora il tutto: perchè Enea, e suoi Posteri furono Rè de' Latini, e non de' Toscani; dunque se ritornò nel Latio, dal Latio, nel quale hebbe i suoi natali, partì. Altrimente, e gl'Oracoli introdotti dal Poeta, sarebbero stati fallaci, e gl'Ambasciadori buggiardi, se le promesse fossero state della Toscana, e il possesso del Latio, di cui intendeva l'istesso quando disse,
Terra antiqua potens armis, ac ubere glebæ
Et à dire il vero non vi è stata Gente più feroce, et armigera, de' Popoli del Latio; ne vi è campagna più fertile, e feconda di quella nostra, di cui disse il Sabellico, Ferax Terra, omniumquè frugum præstantia nobilis. E se bene Vergilio disse, Tyrrena ab Sede profectum, l'Ascensio in questo luogo dice, Qui profectus est ab hac Regione, à Sede Coriti, illius Oppidi, quod est ad mare Tyrrenum, e questa fù partenza di pretensione di regno, no di Sito. E quantunque Servio in questo verso,
Italiam quæro patriam, et genus ab Iove summo
dica parlando di Enea, che respondeva à Didone Regina di Cartagine, Tria ergo quarit, Provinciam, scilicet, Italiam, Patriam Coritum Tuscia Civitatem, undè Dardanus fuit, etc. Con tutto ciò il Badio nell'istesso luogo dice, Ego quaro Italiam patriam, è d'adiettivo, e non di sostantivo. Altra prova più efficace sarebbe quella di Varrone, quando da noi fedeli se li dovesse dar credenza. Narra questo Autore, che partendosi Enea da Troia già abbruggiata, e distrutta, mettendosi in Mare con i suoi compagni per la volta d'Italia, sempre fù accompagnato dalla Stella di Venere, infin tanto, che gionse alle riviere di Laurento, dove abbassate le vele, gettate l'ancore per far ivi il suo albergo, disparve la Stella; dando à divedere à quelli, che ciechi si lasciavano dal Demonio ingannare, che quella era la Terra à loro per Fato promessa, Ex eo quo à Troia est profectus Æeneas, Veneris per diem Stellam semper vidisse, donec in Laurentium agrum veniret, ubi non est amplius visa; quarè cognovit Terras esse fatales. Tanto scrive Varrone. Ma se voglio allontanrami dal Poeta, e dire con gl'Historici, che Dardano sia stato il fondatore di Cora, mi sarà più facile à provar il mio intento. Così dice Plinio, Solino, e Martiano Capella seguitati dal Salmasio, che dice, Plinius Coram à Dardano Troiano orti, Martianus Capella, Coram Dardanus, atqui ille habet à Solino. E se bene Corito regnava nella Toscana, egli quasi Essule dal Padre, credo dominasse nel nostro Latio, da dove fece partenza.
Dal Latio dunque partì Dardano, e forse in quella guisa, ch'al parer di Giovann'Annio, Iasio fatto Corito edificò alcune Colonie nella Toscana, chiamandole con queste quattro lettere, C.O.R.T. che egli conforme alla superstitione di quelli tempi, chiama sacre; Dardano ad onta del fratello, altre Colonie, si potrebbe pensare ch'edificasse nel Latio, dove haveva fautori, e parteggiani, dando à quelle il nome con l'istesse lettere CORT, perche oltre à quello si è detto di Cora pretesa già edificata da lui, distante da Velletri otto miglia: più vicino alla Città nel territorio Veliterno, una di presente rattiene il nome CORTE, nella quale si son trovate, e si trovano bellissime antichità di Marmi, Statue, Mosaici, e altre cose di memoria, che dimostrano quello ch'il tempo ha divorato, e li Scrittori non hanno registrato. Altri belli Ingegni pensano, che Velletri sia stata edificata da Saturno primo habitatore, e fondatore del Latio; sopra di che io vado osservando chi sia questo Saturno, per non caminare in compagnia di molt'altri nella spatiosa strada de gl'errori, e persuadendomi gir sicuro, e veloce, non sia forzato d'arrestar il passo. Saturno nostro dunque non è quel Re Candiotta, ò Cretense, come da molti si presuppone, chiamato per altro nome Aptera, overo Abderide; e vogliono provare il principio, e fondatione delle proprie Patrie con la fuga, e nascondimenti di lui; cosa contraria all'oppinione di molti buoni Scrittori antichi, e moderni; e lontane dall'assignatione de' tempi, perche Saturno Cretense fù nell'età del Ferro, è il nostro Saturno è nell'età dell'Oro, di cui disse Vergilio,
Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat
come s'è accennato di sopra. Quello cominciò à regnare in Creta nel MMM. DC. XCVIII. del Mondo, D. e più anni Anni doppo la morte di Nino, che fù nel MMM. CXCVII. e regnò, come scrive Eusebio, XLII. Anni, e hebbe per soccessore Lapis; questo fù al tempo di Nino, e venne in Italia à trovar Giano il prim'anno di Semiramide nell'Anno MMM. CXCVIIII. Quello fù persona empia, e scelerata, che s'incredulì contro il Padre, fece guerra à Fratelli, e uccise i proprij Figli. Questo riverì i suoi Maggiori, schivò fuggendo l'ira de' suoi Cugini, e Parenti, e honorò Barzane suo figlio in Armenia, qual fù superato da Nino; e honorò l'altro suo figlio in Italia chiamato Sabo, creandolo Prencipe de' Sabini. Quello si chiamava Aptera, overo Abderide. Questo Sabatio Saga. Quello venne dall'Isola di Creta. Questo dà Monti Caspi. Quello finalmente morì Cinquecento, e più Anni doppo Noè, e questo nostro Saturno morì Otto, ò Sedici Anni avanti Noè. Tutto ciò si deduce da Beroso, tanto dimostra l'Annio, così tiene l'Alberti, il Ciatti, l'Angelotti, e altri. Fù dunque il nostro Saturno Sabatio Saga, che diede il nome al nostro Latio, essendo in esso entrato per il fiume Tevere, come s'è detto di sopra. Sono alcuni che non stimando per vero tutto ciò che di Saturno s'è accennato; si ridono in sentire ch'egli per isfuggire lo sdegno, e crudeltà di Belo, si nascondesse nelle montagne, con l'autorità di Vergilio, e di Ovidio, l'uno de' quali dice,
His quoniam tutus latuisset in oris
e l'altro,
Dicta fuit Latium terra latente Deo
perchè questi non fanno mentione de Monti, et ora, come vuol Cicerone, significa Regione, e Parte del Mondo, e non luoghi montuosi, Omnibus hominibus, qui ubiquè sunt quacumquè in ora, ac parte terrarum. Et un'altra volta disse, Globum terræ fixum in medio Mundi universi duabus oris distantibus. Et il Calepino l'istesso afferma per sentenza di Plinio, Plinius ora appellatione ferè semper Regionem litoralem appellat, e maggiormente l'esprime Sesto Pompeo, con quelle parole, Ora extremæ partes terrarum, idest maritimæ dicuntur; per finirla Vergilio ancora dimostrò l'istesso quando disse,
Arma virumquè cano Troia qui primus ab orbis,
Soggiongono che Saturno non stette nascosto, ma si palesò a Giano suo Bisavolo, che se ne stava nel suo Gianicolo, hoggi per il color dell'arene chiamato Montorio, dice Giovanni Rossino, Hodiè à flavis arenis Mons aureus nominatur, et corrupto vocabulo Montorius. Nè meno haveva una tal necessità, perchè Belo primo suo persecutore era morto, e morto il suo figlio Nino, e essendo egli partito dall'Armenia, non dava più materia di persecutione, come ne anco di sospetto à Semiramide, che regnava. Anzi participando egli il Regno d'Italia con Giano, viveva sicuro, tranquillo, e perciò quella parola, Latere, de gl'accennati Poeti, dicono, ch'intender si debba in riguardo delli persecutori, perche s'allontanò da gli occhi loro, ne sapevano dove egli dimorasse; non già, che realmente si nascondesse, ne c'havesse necessita dell'asprezza de' Monti per celar la sua persona. Io, però, per non discostarmi dalla volgata oppinione, mi faccio lecito dire, che il nostro Saturno si nascondesse in qualche monte; il che parmi volesse accennar Vergilio, quando disse,
Is genus indocile, ac dispersum Montibus altis.
perche l'istesso nome di Saturno tal nascondimento dimostra; così dice Gioseppe Scaligero, Saturnum Tuscum esse nomen, et Siriaca lingua significare latentem. Gerolamo Marafiote asserendo, che Giano regnasse in Cuma, dice che ivi fosse ricevuto Saturno, e che in Cuma principiasse il nome del Latio; pensiero molto discostante dalla commun'oppinione. Il Padre Valle, e il Ciammariconi fondati nelle parole del Gonzaga, vogliono, che Saturno si nascondesse nella montagna di Bassiano; sentimento, che per non trovarvi rincontro di sorte veruna, non mi par punto verisimile, non che vero. Ecco la mia raggione: Ovidio riferisce, che Saturno venisse in barca con le sue genti, che si chiamavano Sagi, per il Tevere, dicendo,
Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem.
Se per il Tevere se n'entrò Saturno à trovar Giano, come è credibile ch'à piede egli se ne venisse per nascondersi con le sue Genti nell'asprezza della Montagna di Bassiano distante da Roma, forse Quaranta, e più miglia, come pensano li citati Autori? Concludasi dunque, che in altro monte più vicino à Roma Sabatio Saga con i suoi Sagi si nascondesse, e per li rincontri, che si diranno, posso persuadermi fosse il Monte di Velletri, al quale lasciò il nome di Sagiola, che poi per la mutatione della prima lettera fù detta Fagiola. Sagiola, cioè habitatione, e stanza de' Sagi; (perche Ola, conforme si deduce dall'Hebreo, significa Tabernacolo, e Habitatione) di dove discendendo, si tiene c'hedificasse la Città di Velletri; onde non sia maraviglia, se havendo Saturno insegnato alli primi habitatori di Velletri il modo di far Sagrificij, di potar le vite, coltivare i Campi, e far tutte le cose sopraccennate. Doppo la morte di lui gl'alzarono un Tempio con la sua Statua, e l'adorarono vanamente per Dio, cosi disse l'Abbate Uspergense, Pro quibus meritis ab indocili rustica multitudine Deus appellatus est. L'adorarono si per Dio, non con nome di Saturno, ma di Sango, o Sago, registrato da Livio, mentre narra i prodigij di quell'Anno, e dice fosse toccato dal fulmine, del quale più diffusamente si discorrerà à suo luogo. Da questo si doverà concludere, che da Velletri, ò dalla sua Montagna habbia avuto il suo principio il nome del Latio, sia di Provincia, come dice Ovidio, ò di Città da Saturno fabricata, come afferma Marciano Capella, e Papia, che dice, Latium Urbs Italiæ à Saturno condita. Stimo perciò volontario il pensiero del Clavelli, quale vuole, che Saturno edificasse cinque Città, cioè il suo Arpino, Aquino, Atino, Alatri, e Anagni, e apporta per raggione, e prova una certa antica somiglianza, che in quella guisa, che per parere d'Ilino Rabino, Semo primo figliolo di Noè edificò alcune Città, dandogli il nome con la prima lettera del suo, che è la S. e furono Siponto, Salerno, Surrento, Sannio, e Siena la vecchia, così Saturno le cinque accennate Città edificasse col nome, c'hà per principio la lettera A, prima ne gl'Alfabeti di tutti i linguaggi. Si che lascino di vantarsi Roma, Rieti, Piperno, et altre Città, mentre il lor nome non cominciando per A, non possono affermarsi edificate da Saturno. Ma s'inganna il Clavelli, e ogn'altro per lui, se intende del nostro Saturno Sabatio Saga; siccome se il suo sentimento è di Aptera Cretense, se gli puol concedere, perche il nome comincia per A, et à noi poco importa, mentre si raggiona di più antico Saturno. Soggiongo, che gl'antichi Heroi imponevano alle cose il nome, e non la loro prima lettera, che se ciò fosse vero, molte Città haverebbono pretensione à più alto principio di quello se li deve. Consideri il Lettore quante Città cominciano per S, e quante per A, e quanti Autori ancora registrano la fondazione di Saturnia, cioè Roma, e poi giudichi quanto sia verace, e ben fondata quest'oppinione del Clavelli. Io mi confesso molto appagato delle due accennate oppinioni circa il principio di Velletri, e per li rincontri da me apportati, mi par c'habbiamo toccata qualsivoglia sodezza: ma però non mi contento di questo, e con più chiari rincontri stimo più alto il principio di questa Città, e dico, che l'edificassero alcuni di quelli, che vennero in Italia con Noè. Perche gionto questo secondo Adamo, Noè giusto nel Gianicolo per il Tevere, ivi fece la sua stanza, e stabilì il suo albergo; ma perche li suoi seguaci Nipoti chiamati Gianigeni, ò Gianidi, erano molti, mi si fà credibile, che parte di loro morsi dall'humana curiosità procurassero d'esplorare anco il paese della parte destra del fiume; cosa molto verisimile, e per la novità del luogo e per l'amenità del sito, e per la suavità dell'aria contraria affatto à quella di Trastevere, dove erano sbarcati, e dimoravano; onde con una, ò più barche di quelle, nelle quali erano venuti da Fenicia, facessero tragitto all'altra sponda del fiume, e caminando, e scorrendo il paese, gionti alla vista del Colle, e Campagna di Velletri, dove, come piace ad Antonio Magino, cominciava il piano della palude Pontina; quale veduta, e considerata vaga, amena, e fertile, stabilirono di fermarvi il piede, e farvi il loro domicilio, che dal primo Esploratore fù chiamato Veletro, ò Beletro, ch'altro non suona in lingua Latina, che Vetustus Explorans, nome composto da Vel, ò Bel, e Ietro : Vel e Bel, al parere de gl'Espositori della lingua Hebrea significa Vetustus, in lingua Latina, e Ietro suona Explorans; congiungendo dunque queste due parole con la sincope del I, over del E, componevano Velitro, ò Beletro, che in nostra favella dirà Antico Esploratore. E percio ad imitatione, et emulatione de gl'altri Gianigeni questi nostri edificarono altre Colonie vicine denominate da Giano, nelle quali i posteri alzarono il Simulacro di lui, come quelle, ch'erano nella Toscana col nome di Araini, per quanto registra il Valeriano, Quidam Ara Iani Simulacro asculpi solitæ sint, quid id facturi putent, quod Ianus Aras duodecim Etruriæ Coloniis sacrasset. Delle nostre una se ne conserva di vestigi, e di nome nel territorio Veliterno, e chiamari sin al giorno d'hoggi Araiano & Ariano, dalle cui rovine, doppo che fù demolito, e destrutto da' Velletrani, fù ritrovata una statua di Giano Bifronte con sembianze di Giovene, e di Vecchio, la di cui testa si conserva nel Claustro del nostro Convento, e è la qui intagliata. Et un altra Testa pure Bifronte somigliante à questa conserva tra molt'altre belle antichità il Cavalier, e Dottor Theocrito Micheletti, qual fù ritrovata poco distante dal suddetto luogo. Che cosa significhi la duplicata sembianza di Giano, sono varij li pensieri de' Virtuosi, come sono diverse l'intelligenze. S. Agostino registrato dal Vines, dice, che col rappresentarsi Giano Bifronte, si dimostrava la di lui gran prudenza, che consiste in prevedere le cose future, e contemplar le passate, Alii hunc Regem Bifrontem fuisse referunt, quod fuerit prudentissimus, pravideritquè procul ventura, et nespexerit praterita, onde il Cedreno disse Præteritorum, ac futurorum notitia fuisse præditum, eum à Romanis Bifrontem pingi. Il Mddendorpio vuole, che le due faccie di Giano significassero la congitione di lui delle cose del mondo, Quippè qui utriusquè ante, et post Diluvium Orbis certissimam rationem sciebat. Herodiano intende per le due Faccie il principio, e fine dell'Anno. E S. Cipriano lo conferma con queste parole, Ipse Bifrons exprimitur, quod in medio constitutus, Annumincipientem pariter, et recedentem spectare videatur; e perciò Plinio dice, che Numa Pompilio fece alzar la Statua di Giano Bifronte, c'haveva Trecento sessanta cinque deti, rappresentanti Trecento sessanta cinque giorni dell'Anno, Præterea Ianus geminus à Numa Rege dicatus, qui pacis, belliquè argumento colitur, digitis ita figuratis, vi trecentorum sexaginta quinquè dierum nota, per significationem Anni, Temporis, et Ævi se Deum indicaret. Il nostro Mancinelli havendo considerato, che Giano vien chiamato tal volta Sole, è di senso, che le due faccie dinotino il princpio, e fine del Giorno, dicendo,
Sit propter Bifrons occasum Solis, et ortum,
Per Ianum Solem monstrari namquè tulere,
Qui exoriens aperit Lucem, clauditque cadendo
Giovanni Rosino considerando, ch'il Tempio di Giano fù fabricato doppo la pace fatta trà Romani, e Sabini per le Vergini Sabine rapite, dice, che le due faccie di Giano significano li due accennati Popoli insieme uniti, per Romolo, e Titio Tatio loro Reggi, Ut significaretur duos Populos coiisse in unum. Altri intendono il principio, e fine della vita humana, che più chiaramente per il sopraposto intaglio s'esprime. E chi ne forma un concetto, e chi un'altro, conforme all'intelligenza di ciascuno. E ben vero, che talvolta Giano si dipinge Quadrifronte, cioè con quattro faccie, dice Macrobio, e Pomponio Leto lo conferma con queste parole, Ianus Quadrifrons erat, et apportandone la raggione con il significato dice, Hic quatuor Anni tempora significabat, e perciò il nostro Mancinello con buona raggione prese à dire, che denotava ancora le qattro Parti del Mondo, essendo Giano talvolta chiamato e mondo, e Cielo, tanto scrive,
Est Ianus quadrifrons partes ob quattuor Orbis,
Est etenim Mundus, quod Cælum dicitur ipse.
Dalla parte verso Ponente distante meno di quattro miglia dalla Città vi era l'altra Colonia, ch'ancora rattiene il nome, e chiamasi Prisciano, dove era il Tempio di Giano Prisco, cosi detto à differenza de gl'altri chiamati Giani Iuniori, come s'è accennato di sopra. Dalla parte di Mezzo Giorno ve n'è un'altra col nome di Carciano, cioè Città di Giano, perche Char, in lingua Hebrea non significa altro che Città in lingua nostra. Verso Levante vi è un altro luogo chiamato di presente il Colle del Cavaliere della Fameglia Catelina, che si deduce dalla parola Moosia, ò Maresa, l'una delle quali significa Habitacolo, e l'altra Heredità, ch'altro non dimostra, che luogo dove s'adorava Giano; et in tutti quest'accennati luoghi si vedono rovine sotterranee, e vi si trovano belle antichità, e frammenti, che danno materia di credere con qualche sodezza quello, che si pretende che sia. Si corrobora tutto questo con la moltitudine delle Monete, ò Medaglie di Giano, che giornalmente sparso si trovano nel nostro territorio Veliterno, delle quali per dimostrare la diversità, tre solamente n'hò fatto intagliare. Più dell'altra antica stimo la seguente, tanto per la forma, quanto per il metallo, datami dal Dottor Plinio Babbo. Somiglianti à questa ne hà due il Dot. Angelo de Prosperi, ritrovate nell'antica Villa del nostro Cesare Ottaviano Augusto, l'hò avuta dal Dottor Regolo Coluzzi rirovata in altra parte del nostro territorio. Quest'ultima da me stimata di minor antichità, sì per il metallo, come per il rovescio, mi è stata data dal Capit. Francesco Calcagni, e nella Nave apertamente si scorge.
Il Dottor Nicola Santorecchia Protonotario Apostolico, et Arciprete della Catedrale trà molt'altre belle Medaglie, ne conserva otto di Giano tutte differenti di grandezza, di metallo, e di forma; benche tutte lo rappresentino Bifronte da una parte, e dall'altra mostrino la Nave. Dalle quali si puol argomentare la stima, che li Velletrani accecati nella superstitiosa Gentilità facevano di Giano. Da quanto sin'hora s'è detto sopra al particolare di Giano, mi sarà lecito argomentare, che l'antichità di Velletri avanzi, ò almeno pareggi qualch'altra pretesa da moderni Scrittori. Perche Mirsilo Lesbio volendo dimostrare, che li Turreni popoli particolari, e principali della Toscana, (questi popoli stavano vicino alle sponde del Lago di Bolseno, dice l'Annio, Sed ea est, Volturrena, cioè antica Turrena, circà Volsinos, e doppò altre parole, Cives Volturrent in quorum parte eadem sunt Volsinienses, non molto distante dalle Grotti, dove stà un vago sito chiamato con nome corrotto Tugliena, e vi si trovano ben spesso bellissime antichità, oltre alle rovine de gl'Edificij, che da Lavoratori si scoprono alla giornata; onde possono persuadersi gli habitatori delle Grotti essere de gl'avanzi di quella famosa Città distrutta. Altri hanno diverso sentimento) Che questi popoli, dico, erano antichissimi, et originarij da quella Regione, dice esser ciò vero, perchè erano ne' Dei e ne' Riti differenti. Perchè l'altre genti di Toscana adoravano Giano e Vesta, da loro chiamati Vadimone et Horchia, Quandoquidem, queste sono le parole del Lesbio, vetustissimis differunt Diis, et moribus, etc. Nam cunctis Tuscis Dii, et Dea sunt Iuppiter, et Iuno, soli Turreni volunt Ianum, et Vestam, quos lingua sua vocant Ianib Vadimona, et Labith Horchiam. Questo Giano adoravasi da Velletrani per quanto s'è detto di sopra, dunque bisogna confessare esser Velletri Città antichissima. L'istesso Annio à questo argomento fatto per il Latio, ò Roma Latina risponde, che non erano adorati Giano, e Vesta come Dei municipali, e principali, perche nel Latio tali erano Saturno, et Opis, altramente chiamata Rhea, e n'attesta Varrone de Lingua Latina. Et io servendomi della sua risposta mi farò lecito di dire, che sicome li Toscani tutti adoravano altri Dei, eccetto li Turreni, Vadimone, et Horchia, cosi, s'altri Popoli del Latio adoravano communemente Saturno, et Opis, li Velletrani nulladimeno, con alcun'altre genti ancora adoravano Giano per Dio principale, come dall'accennate memorie chiaramente apparisce.
Sono stati alcuni, che curiosi dell'Antichita m'hanno interrogato, perche caggione Vergilio havendo composto il suo Poema in honor d'Augusto Ottaviano ne' giorni del suo Impero, sapendo, che l'origine, e natali di lui fossero da Velletri, non n'habbia fatta mentione? e pure la Patria del suo Mecenate, e Protettore, non deve tacersi, e tanto più, che Velletri era, et è Città insigne, di Popolo famoso, quanto è il Volsco, et in Regione principale, quant'è il Latio. A dire il vero è cosa di grandissima maraviglia un tal silentio, et io non saprei addurne altra raggione, che l'humana passione, che talvolta serve per Occhiale del Galileo, e tal volta per Benda, e che ben spesso trasforma lo Scrittore in Lince, e ben spesso in Talpa. E per non dimostrarmi tale ancor'io, eccone l'Autorità di più.
Nola è stata, et è una Città illustre nella Campagna Felice, et in quella Regione ha havute poche pari à suo tempo, Vergilio dovendo raggionar di quella nel suo Poema, doppo haver fatta mentione di molte Città, di Nola non ne raggiona; ma nel silenzio la sepelisce. Aulo Gellio Autore di consideratione, apporta la raggione di mancamento cosi manifesto, e riferisce haver letto, che Vergilio haveva una delitiosa Villa vicina à Nola, havendo bisogno d'acqua per vaghezza del luogo, e per sua commodità, la domandò à Nolani, quali liberamente (non s'accenna il perche) glie la negarono, del che Vergilio di tal maniera restò sdegnato, et insieme offeso, che pensando di levare dalla memoria de gl'huomini il nome di Città tanto celebre, scancellò dal suo Poema il nome di Nola, e perche era forzato à farne parola, in vece di Nola, scrisse, Ora: ecco le parole del Gellio, Scriptum in quodam Commentario reperi versus istos à Virgilio ita primùm esse recitatos, atquè editos: Talis erat Capua, et vicina Veseuo Nola Iugo. Postea Virgilium petiisse à Nolanis aquam, uti ducerat in propinquum Rus, Nolanos beneficium petitum non fecisse, Poetam offensum, nomen Urbis eorum, quasi ex hominum memoria, ex Carmine suo derasisse, Oraquè pro Nola mutasse, atquè ita reliquisse. Et vicina Veseuo Ora Iugo. Servio narra un'altra cosa simile pur contro di Nola nell'espositione del seguente verso del Poeta.
Et quos Malisfera despectant Mœnia Bella
Dice questo Commentatore, che in vece di Bella, doveva star Nola, ma havendo i Nolani negato à Vergiolio l'albergo, ne restò molto cruccioso, e sdegnato, onde dal suo Poema scancellò il nome di Nola, e vi scrisse Bella, Multi Nolam volunt intelligi, et dicunt iratum Virgilium nomen eius mutasse propter sibi negatum hospitium, et ita apertè noluisse dicere, sed ostendere per Periphrasim, nam illic punica Mala nascuntur.
Perugià è stata, et è ancora Città famosa, et una delle dodeci prime Colonie dell'antica Toscana, che per il valor dell'Armi doveva movere il Poeta à farne mentione, con tutto ciò trattando della Guerra di Enea, registra molti Popoli de Città Toscane, e lascia sotto silentio Perugia. Il Padre Ciatti apporta egli la raggione con queste parole, Et avvegna ch'altrove io mostrato habbia ciò facesse Virgilio per non offendere l'orecchie d'Ottavio Augusto, à cui egli le sue Eneade scriveva, ed il quale con odio immortale de Perugini, fece il funestissimo Sacrifitio di trecento miserabili vittime de Cittadini Perugini, come à suo luogo dirassi, e per colpa di cui Perugia fù arsa, e distrutta. Questo dice nel Pr. Tomo dell'Hist. di Perugia Lib. Terzo; dove apporta un'altra raggione, che per brevità tralascio: ecco chiare le passioni del Poeta; defetto ordinario d'alcuni Scrittori, quali per qualche mondano, ò indegno interesse, tacciono le glorie altrui, ò pure le sminuiscono, overo con qualch'aggionta disdicevole denigrano il candore d'una Patria insigne, d'una Città Illustre. Danno sperimentato da Velletri, ch'essendo Città, nobile, e degna d'esser nominata da un Poeta, che cantava le glorie di quell'Imperatore Velletrano, à cui erano indirizzate le sue fatighe; e pure appassionato le ricopre con il manto del silentio. Mi riservo le raggioni per altro luogo più al proposito.
Quanto li Velletrani sieno stati bellicosi, et armigeri, bastaranno Dionisio, e Livio à testificarlo, che nell'Opre loro in più luoghi registrano le battaglie di Popolo cosi feroce, e martiale, che per CC. anzi CCC. e più Anni tormentò la fortunata Roma: e perciò raggionevolmente Genebrardo disse: Volsci, qui bellum cum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum, per ducentos annos continuarunt. E Livio, di cui sono le parole di Genebrardo, registra dodeci, e più Trionfi riceuti da Capitani vincitori de' Volsci dicendo, Volsci, qui bellum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum per CC propè Annos, incredibili pervicacia, et continuis motibus protulerunt, de quibus supra duodecim Triumphi sub acti sunt. Erano così pronti all'Armi, et cosi coraggiosi li Volsci, che parevano dal Fato destinati à Romani, non per altro, che per eternamente mantenergli un continuo travaglio, Præter Volscos, velut forte quadam, propè, et in æternum exercendo Romano Militi datos, dice l'istesso; et Iornande chiama li Volsci nemici continui, dice quotidiani, de' Romani, Pervicacissimi tamen Latinorum Aequi, et Volsci fuere, et quotidiani (sic dicerim) hostes. L'istesso afferma il Sabellico, Volsci, et Aequi æterni Romani nomini hostes, cosi dissero in Senato gl'Ambasciadori Latini. Anzi l'istesso Sabellico narra, che non si poteva caggionar maggiore spavento nel petto de' Romani, quanto il veder'uniti assieme li Volsci nell'Armi, Nullius Gentis opes magis quàm Volscorum Romano formidolo fas esse, si in unum conspirent. E perciò furono stimati Feroci sopra ogn'altra Natione, Quid Volscis ferocius? disse chi haveva forse sperimentato l'altrui valore. Narra à questo proposito Livio la maraviglia di molti in vedere, che cosi presto ne' conflitti tanto sfortunatamente continuati, doppo le perdite, anzi disfacimenti d'Esserciti intieri, in un batter d'occhio, per cosi dire, congionti con gl'Equi, ancor loro Popoli del Latio, risarcissero i Campi, e ne formassero de nuovi più copiosi, e formidabili; la stimava però cosa miracolosa. Dice in oltre, che furono cosi continuate, e tanto numerose le Guerre de Volsci, che leggere solamente i Volumi, ne' quali stavano registrate, apportava fastidio à Lettori: e perche altri di ciò havevano tacciuto le raggioni, egli l'apporta conforme al suo parere, e dice, che questo avveniva, perche negl'intervalli delle Guerre cresceva la gioventù, e conforme richiedeva il bisogno, cosi si rinovavano gl'Esserciti con la scelta di gioveni, overo perche non sempre gl'Esserciti si formavano de' medesimi Popoli; benche l'istessa Natione facesse Guerra; overo, perche allhora trà Volsci, et Equi era una moltitudine di Teste libere; e queste coraggiose givano contro Romani, Non dubito præter satietate m tot iam Libris affidus Bella cum Volscis gesta legentibus illud succursurum (quod mihi percensenti propiores temporibus harum rerum Aucoters Miraculum fuit) undè toties victis Volscis, et Aequis suffecerint milites, quod eum ab antiquis tacitum, prætermissumquè sit, cursus tandem ego rei præter opinionem, quæ sua, cuisquè coniectanti esse potest, Auctor sim, simili veri est, aut intervallis Bellorum, sicut nunc in delectibus fis Romanis, alia, atquè alia Sobole innorum, ad Bella instaurando toties usos esse, aut non ex iisdem semper Populis Exercitus scriptos, quamquam eadem semper gens Bellum intulerit, aut innumerabilem multitudinem liberorum Capitum in eis fuisse locis, e poi conchiude, Ingèns certè Volscorum Exercitus fuit; tanto dice Livio. Io per me non resto già appagato dell'accennate raggioni di Livio, perche anco degl'altri Popoli nemici à Romani l'istesso dir si potrebbe, essendo solito nelle Guerre servirsi degli Ausiliarij, Amici, e Confederati; far scelta trà la gioventù nativa de Soldati più habili alle fatiche, et al maneggio dell'Armi: e servirsi degl'intervalli ancora, quali erano cosi brevi, che talvolta non giongevano all'Anno; anzi che per le autorità registrate di sopra, erano giornali. Quindi direi la caggione, per la quale tante volte, e tante li Volsci mossero guerra à Romani, che giunsero all'estrema strettezza, essere, perche la Natione Volsca era più dell'altre copiosa de genti, e perche le vittorie de' Romani descritte da' Fautori non erano cosi celebri, e franche, come si registrano; cosa ordinaria de tali, che per ingrandir le vittorie d'una Natione, e le perdite dell'altra, non fanno differenza d'aggiongere all'uno, uno zero, ò due; e perciò è necessario dire con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine, e raggionevolmente, perche Gneo Martio Coriolano volendo vendicarse de' Romani con l'Armi straniere, dice Dionisio, che solamente da Capitano cosi bravo fù giudicata la Natione Volsca uguagliarsi nella potenza à Romani, Unam Volscorum potentiam parem Romanis inveniebat. Si rende, da quanto si è detto sopra di ciò, manifestamente chiaro, essere con nulla, ò piccola raggione apportata l'autorità di Livio, che dica, Volsci nec in Bello fideles, nec in Pace constantes: propositione non già di Livio, ma da altri forse inventata, se però non si volesse per questa intendere quella dell'istesso Livio nella Deca pr. al lib. 4 dove registra le parole, non uscite dalla sua mente, ma dalla bocca d'un Capitano zelante chiamato Vetio Messio, mentre riprendeva li suoi soldati Volsci di trascuraggine, e freddezza nel combattere, e gl'animiva à farsi la strada col ferro, già che stavano dalli Soldati del Dittatore Aulo Postumio circondati; e pigliar esempio da lui, come fecero, dicendo, Iam orbem voluentes suos increpans clara voce: Hic præbituri, inquit, vos Telis hostis estis indefensi, inulti? Quid igitur Arma habetis? Aut quid ultrò Bellum intulistis? In otio tumultuosi, in Bello segnes? Quid hic stantibus spei est? An Deum aliquem protecturum vos, rapturumquè hinc putatis? Ferre via facienda est re. Se bene la Pugna non hebbe quest'esito, che si sperava corrispondesse all'ardire. E perciò non deve pigliarsi per autorità di verace sentimento quello, che usci dalla bocca d'un Nationale amoroso, che cosi anco l'ingiurie dette da' Padri affettuosi a' proprij figli sarebbono ignominiose. E se furono tali, quali questo moderno Autore li stima, domandiamolo à Dionisio, che vi dirà, che Tito Sicinio ricevè de' Volsci famoso Trionfo, perche haveva liberata Roma da grandissimo spavento. Et ad Aquilio non si concedè, che l'Ovatione, perche debellò gl'Hernici, Sed Sicinio, qui à maiore terrore Urbem liberasse videbatur, deleto Volscorum iniurioso Exercitu, Duceq. cæso, Triumphus concessus est, et invectus est Urbem prælatis spoliis, captivis currum præcedentibus, equis tractus insignibus aureis faleris, cultus, ut mos est, Regio; Aquilio contigit Ovatio. Si puol descrivere Trionfo più pomposo di questo? concedutoli solamente per haver destrutto un Essercito de' Volsci, che fù risarcito di subito? anzi da Livio, à cui più facilmente si doverà credere, si cava, che questo Trionfo fosse senza vittoria particolare, ma di pare conflitto, ecco le sue parole, Sicinio Volsci, Aquilio Hernici, (nam ii quoquè in Armi erant) Provincia evenit. Eo Anno Hernici devicti, cum Volscis æquo Marte discessum est. Io non voglio in questo luogo far lunga tessitura delle Guerre de Volsci, perche sarebbe un usurpare il commun valore d'un Regno intiero, per una Città sola; ne meno intendo narrare le Guerre Moderne di Velletri fatte con Città, e Terre vicine, e Prencipi confinanti, che numerose sono; ma solamente di quelle antiche, nelle quali particolarmente li Velletrani si ritrovarono come Popoli di Città principale, et insigne de Volsci, mentre Roma era crescente nell'Impero: quantunque in tutte le Guerre della Natione Velletri si ritrovò pronta, ma non in tutte registrata. Lascio dunque da parte il timore, c'havevano li Latini, e gl'Hernici dell'Armi Volsche; il valore di Coriolano, Attio Tullo, Vetio Messio, e d'altri coraggiosi Capitani, le guerre di Anzo, Piperno, Terracina, Sessa, e d'altre Città Nationali; le occisioni fatte da' Romani, e da' Volsci; le Città dall'una, e l'altra parte saccheggiate; le copiose, e ricche prede scambievolmente fatte; gl'incendij da' Volsci dati, e ricevuti; li danni fatti a' Romani, et à Popoli confederati; li conflitti pari; le vittorie de nemici; le prospere, et adverse fortune di Natione cosi guerriera, replicando con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine. E quelle solamente scriverò, nelle quali Velletri vi trovarò espressamente involto, come Città potente, di cui disse un'Autore, Velitræ Oppidum antiquitate, et potentia clarum. La prima Guerra de' Volsci contro Romanila fecero li Velletrani, non già nel tempo di Tarquinio Superbo, quando intende Livio di sopra accennato, ma nell'Impero di Anco Martio Quarto Rè de'l Romani, più di Cento Anni avanti, cosi registra Dionisio; perche terminata la Guerra de Veienti, li Velletrani cominciarono loro ad infestar Roma, con saccheggiargli il proprio territorio, per lo che fù di mestiere, che Anco Martio spedisse numeroso Essercito per far resistenza al valore, e furor de' Volsci, come fece; dal quale scacciati i Soldati, che depredavano, acquistata la nostra Campagna, assediata la Città con fortificazioni, e ripari, voleva dar l'assalto, ma à preghiere de' Cittadini, che s'obligarono di risarcire gli danni fatti, e dargli in mano li Soldati colpevoli, si fece tregua, e poi si stabilì la pace, con rinovatione d'amicitia trà Velletrani, e Romani, Nec à Volscis pacata sunt omnia, et Obsessisq. Velletris, et a Vallo circumdatis, toto agro potitus Urbem ipsam parabat invadere, sed cum grandævi Oppidorum supplices progressi pollicerentur se iuxta Regis existimationem, illata damna persoluturos, et fontes dedituros ad supplicium, rebus per inducias restitutis, infædus eos recepit, et amicitiam. Di Tarquinio Superbo Velletri ne fece poca stima, perche doppo aver questo Rè Tiranno usata una crudeltà incredibile contro Turno Herdonio Coriolano huomo ricco, di gran seguito, e molto esperto nell'arte militare, con farlo gittar dentro una cupa voragine, sotto falso pretesto, ch'egli congiurato havesse contro li Nobili de' Latini, per lo che gli fede da' servi metter di nascosto molt'armi di quelli tempi nel proprio albergo; usato, dico, questo tradimento, voleva il crudele l'amicitia de gl'Hernici, e de' Volsci, et esser di questi Popoli, com'era de' Latini, dichiarato Signore. Tutti gl'Hernici si resero pieghevoli alla tirannia di Tarquinio, ma non già li Volsci, perche da gli'Antiati, et Eccetrani in poi, Velletri con l'altre Città tutte, come libere non fecero conto, ne di Tarquinio, ne del suo Impero, Tatquinius gentis Imperio potitus Legatos misit ad Volscos, et Hernicos, eorumquè amicitiam, et societatem expetens, Volscorum duo tantum populi assenserunt, Heccetrani, et Antiates; Hernici universi societatem decreverunt; questo registra Dionisio. E vero, che nel Consolato Undecimo, essendo Consoli Q. Clelio Siculo, e Tito Largio Flavo, ò l'Anno avanti, volendo Mamilio Ottavio favorire le parti di Tarquinio Superbo suo socero, già discacciato da Roma, procurò la confederatione de molti popoli contro Romani, frà quali vi furono ancora li Velletrani, forse perche Capo di questa sollevatione era il detto Ottavio parente, ò discendente da gli Ottavij di Velletri, alla di cui richiesta fecero i Velletrani quello, che non havevano fatto per un Rè regnante. Tanta era l'autorità di questo Ottavio, che Fenestella dice, che sollevasse trenta Popoli, de' quali egli con Sesto Tarquinio fù fatto Capo; e Dionisio scrive, Ex his omnibus populis dilectu iuniorum habito, tantum copiarum contractum, quantum Octavio Mamilio, et Sexto Tarquinio satis visum est, penès quos erat imperium. Fù disfatta però questa Lega o Sollevatione de' Congiurati, perche si fece una Guerra crudele, nella quale restò morto Marco Valerio fratello del Publicola; Tito Ebutio Maestro de' Cavalieri ne restò ferito; e Mamilio malamente offeso nel petto, e poi ucciso da Tito Herminio; e li Latini, et altri confederati universalmente sconfitti nella Riva del Lago Regillo, Tantusque ardor fuit, ut eodem impetu, quo fuderant hostes Romani Castra caperent. Hoc modo ad lacum Regillum pugnatum est, nel fine del racconto dice Livio. Questo Ottavio Mamilio, se bene era primate trà Latini, con tutto ciò era Volsco di Natali, perche era descendente da Telegono figlio d'Ulisse, e Circe, generato, et allevato nell'isola Aeea, detta poi Circeio dalla suddetta Circe, cosi vuole Ditte Cretense, Per id tempus Telegonus, quem Circe editum ex Ulisse apud Æææm Insulam educaverat; e da questo figlio fù per sinistro caso Ulisse inavedutamente ucciso. Nel Consolato XV. Aulo Virginio, e Tito Veturio, li Volsci, e particolarmente li Velletrani, ò perche i Romani non volsero restituirgli il Contado preso l'Anno avanti, ò per abbassare gl'avanzamenti della Republica, fecero nuova, e numerosa levata di gente, quando li Sabini, e gl'Equi facevano per altra parte l'istesso; e mentre s'incaminavano all'impresa, s'oppose à quelli Veturio; et à nostri Virginio, che se ben era di numero de Soldati inferiore con tutto ciò, senza dar tempo à più grave apparecchio, andò veloce ad incontrar il campo de' nostri, havendo prima dato il guasto alla Campagna. Si venne à giornata, e perche li Volsci erano Superiori di forze (ma inferiori di fortuna) beffeggiavano li Romani, nulla stimando l'Armi nemiche; anzi tenendo certa la vittoria dal canto loro, stavano accampati senz'ordine. Ciò visto, e considerato da' Romani, scorgendoli ancor fermi, e pigri, senza punto allestirsi alla pugna, come non aspettassero l'impeto nemico, e si fossero scordati della solita bravura, gli corsero repentinamente addosso, che fatti vili, e codardi voltarono al nemico, che feriva, le spalle, e corsero fuggendo per ricovero, e scampo à Velletri. Li Romani più freschi, aiutati dalla Sorte, che gl'acompagnava, con maggior vigore li seguitavano, et entrando con meschianza e vincitori, e vinti, e Romani, e Volsci, in Velletri, fecero più cruda strage, che nel Campo fatta non havevano, et à quelli solamente si condonò la vita, che gettate l'armi in terra, ricorrevano alla pietà Romana. Fù in quella guerra tolto il territorio Veliterno, perdita di gran consideratione, et alla Città fatta Colonia, furono mandati nuovi habitatori, non sò se per uccisione fatta de' Soldati Cittadini, ò per tenere la Città in freno. Castrum exutum hostem Velitras persecuti uno agmine victorem cum victis in Urbem irrupere, plusque ibi sanguinis promiscua omnium generum cæde, quam in ipsa dimicatione factum, paucis data venia, qui inermes in deditionem venerunt. Volscis devictis Veliternus ager adeptus, Velitras Coloni ab Urbe missi, et Colonia deducta, cosi scrive Livio, ma Dionisio, Fidentes enim (dice) maioribus copiis, et obliti superiorum cladium ut primum Romanos videre, Castra contulerunt cum eis, progressiquè in aciem, post acrem pugnam maiore clade accepta quam reddita, in fugam versi sunt, simulq. Castra vi capta, Velitræ expugnatæ Nobile gentis Oppidum, dalle quali parole di Dionisio si scorge la differenza nelle passioni di questi due Scrittori, mentre non pigri, e timorosi li Volsci, ma arditi, e pronti furono li primi à muovere coraggiosamente le Squadre, e solleciti à menar le mani; e se restarono perditori, non fù senza molto sangue de' nemici Romani. Doppo qualche guerra fatta con gl'istessi, restarono li Volsci intimoriti, non già dall'armi Romane, ma dalla Peste, che fece in poco tempo in tutte le loro Città, e Terre grandissima strage, e più per quello, che fece in Velletri, dove nel Cons. XVII. essendo Consoli Tito Geganio, e Publio Minutio, furono da Roma mandati nuovi habitatori, che se non havessero havuto tal flagello, di sicuro non sarebbbero restati li Velletrani di far quello, à che la natura martiale gl'eccitava, così dice l'istesso, Ni Volscos iam moventes Arma pestilentia ingens invasisset, ea clade conterritis hostium animis, ut etiam ubi ea remississet terrore aliquo, et Velitris auxerunt numerum Colonorum Romani. Ma non finirono per ciò le Guerre. Perche nel Consolato XX. essendo Consoli Tito Sicinio, e Caio Aquilio, si guerreggiò contro Romani, invadendo il loro territorio li nostri Volsci congionti con gl'Equi, e perche si mossero ancora gl'Hernici, contro quelli andò Caio Aquilio, che di tal maniera gl'intimorì, che se ne fuggirono veloci sparsi in diversi luoghi, e lasciarono la loro campagna in preda à nemici, Nemine audente congredi (dice Dionisio) Sicinio venne contro Volsci, e con il nervo dell'Essercito gionse in Velletri, dove come in Città principale della Natione stava Attio Tullo con bellissimo, e copiossissimo Essercito, Sicinius in Volscos missus cum robure copiarum in Veliernum agrum irrupit, nam ibi erat Tullus Actius Volscorum Dux cum florentissimo Exercitu volens Romanorum socios debellare primum, sicut Martius in initio fecerat. Voleva seguitar l'impresa di Martio il Capitano, perche vinti, e debellati gl'amici, e confederati de' Romani, gli si rendeva facile di atterrare col suo poderoso Essercito la Romana Repubblica; si guerreggiò poco distante dalla nostra Città verso la montagna in luoghi disastrosi, e pieni di sassi, molto fastidiosi per li Cavalieri dell'una, e l'altra parte, Fuit autem locus medius, in quo pugnandum erat Tumulus saxosus, et salebrosus, ubi Equitatus neutris esset usui. Si combattè per qualche buono spatio del giorno, senza vantaggio, e questo veniva per la dissuguaglianza del sito, ch'apportava hora à Volsci, et hora à Romani notabile giovamento, intanto, che non lasciava prendere la vittoria più all'una, ch'all'altra parte, Itaque ad multum diei Marte æquo certatum, quia loci natura inæqualis, nunc hos, nunc illos innabat; s'incrudeliva la guerra, li Romani riempivano le Fosse con rami d'arbori, et altre materie, et Tullo coraggiosamente con una squadra de' suoi più valorosi scorreva, e soccorreva ove vedeva maggior bisogno; faceva egli gloriose prodezze, ma alla fine ne restò ferito, e morto, Occurrit Tullus Actius cum valentissimis, et audacissimis edens multa præclara facinora, erat enim pugnator robustus, et manu promptus, sed Imperio parum idoneus, ibi labore fessus, opplessusq. vulneribus cecidit; tanto riferisce Dionisio, e lo conferma il Sabellico con queste parole, In Veliterno Agro cum Tullo Actio iusto, cruentoq. Bello concursum, ibiq. Actium Tullium fortiter dimicantem pluribus vulneribus acceptis, mortem occubuisse, etc. Continovarono le Guerre de' nostri Volsci con scambievoli fortune, quali non racconto, perche voglio registrar solamente le particolari de' Velletrani, come fù quella al tempo del Dittatore Cornelio Cosso, che se bene fù Guerra mista di più Nationi, cioè Volsci, Latini, et Equi, vi s'aggiunsero specialmente le Genti di Circeio, e di Velletri, dice Livio, Volscorum Exercitus fuit, etc. Ad hoc Latini, Hernici accesserunt, et Circeiensium, et Coloni à Velitris. Havendo il Dittatore fatto Maestro di Cavalieri Tito Quintio Capitolino andò di persona all'oppugnatione di Essercito cosi formidabile; s'accampò in luogo avantagioso, e doppo gl'augurij superstitiosi, e sacrificij vani fatti à falsi Dei, si presentò la mattina per tempo avanti à suoi Soldati, che di loro arnesi s'armavano per la futura battaglia, per la quale aspettando stavano attenti il segno propostoli per ordine dell'istesso Dittatore. Questo con breve concione per darli coraggio, et animo al ben ferire, gli diede speranza della vittoria, e gli promisse, per li felici augurij havuti, il favore de' Dei. Finalmente doppo haver dato al Maestro de' Cavalieri gl'ordini necessarij, si diede principio alla zuffa. Furono in questa battaglia li Cavalieri Romani li primi à dar con impeto sopra la Fanteria de' Volsci, à quali cagionarono tanto scompiglio, e disordine, che n'apportò timore fino all'ultima schiera; onde li Soldati, che dovevano con l'armi in mano difendere la vita, la libertà, e la Patria, gettate l'armi altrove, si davano in fuga. Durò il conflitto fino alla notte, ne furono fatti molti prigioni, de' quali la maggior parte fù riconosciuta essere de' Latini, et Hernici; e perche non erano gente vili, e della plebe, si concludè che simili Soldati non potevano essere stipendiarij, ma franchi. Vi furono trovati alcuni Capi principali della gioventù nobile, ch'apportarono chiarezza, che li Volsci erano stati in questa sollevatione aiutati dalla Republica. Furono parimente riconosciuti alcuni di Circeio, e di Velletri, e mandati tutti à Roma, manifestarono à Senatori la loro sollevatione, Pars maxima captivorum ex Latinis, atquè Hernicis fuit, nec hominum de plebe, ut credi posseti, mercede militasse, sed principes quidam Iuventutis inventi, manifesta fide, publica ope Volscos hostes adiutos, Circeiensium quoquè quidam cogniti, et Coloniæ à Velitris, Romam omnes missi. La colpa maggiore di questa sollevatione fù de' Velletrani; quindi volendosi scusare, e richiedendo li prigioni, tutti hebbero da' Padri Senatori aspra risposta, ma più cruda, et aspra li Velletrani, et Circeiensi, Tristia responsa reddita, tristior a Colonis, e questo, perche essendo loro Cittadini Romani, havessero acconsentito, e con l'Armi, e col Conseglio alli danni di Roma, ch'era lor Patria, Quod Cives Romani Patriæ oppugnanda nefanda Consilia iniissent, seguita Livio, e perciò con poco gusto furono dal Senato mandati via gl'Ambasciatori senza li richiesti prigioni. Non lasciarono però li nostri Volsci il naturale ardire, ma più inaspriti l'Anno seguente radunarono un'altro Essercito con la confederatione de' Lanuvini più copioso, e poderoso del primo. Questa levata di gente cosi repentina fù da' Romani sentita, e stimarono li Senatori, che fosse stata caggionata da' Velletrani, onde dissero, che se fossero stati castigati nella passata guerra, di sicuro non haverebbono suscitate nuove fattioni in dispreggio della Romana Repubblica, Id Patres rati contemptu accidere, quod Veliternis Civibus suis tamdiù impunita defectio esset. Si risolvè da' Senatori la Guerra contro Volsci; e se bene li Tribuni erano di contrario parere, nulladimeno erano cosi temuti li Volsci, e particolarmente li Velletrani, che tutte le Tribu ad onta de gl'istessi Tribuni approvarono contro Volsci la Guerra; et aspettando la creatione de' nuovi Tribuni con potestà Consolare, furono (trà gl'altri compagni restati alla Guardia di Roma) eletti Spurio, e Lucio Papirij. Questi condussero direttamente l'Essercito à Velletri, Insequenti anno Spurius, et Lucius Papirii novi Tribuni Militum Consulari potestate Velitras Legiones duxerunt, dice l'istesso. Furono li nostri aiutati da' Prenestini, con li quali sempre passò buona amicitia; si venne al fatto d'arme con la solita fortuna de' Romani; e perche la battaglia fù vicino à Velletri, li Volsci scorgendo il pericolo, che li soprastava, si missero con maturo consiglio in fuga verso la Città, dove e li Velletrani, e li Prenestini hebbero sicuro ricovero, Ita ut propinquitas Urbis hosti, et causa maturioris fuga, et unum ex fuga receptaculum esset. Era ben munita, e forte la Città di Velletri; perciò stimando li Romani, ch'il combattere non apportarebbe sicurezza di vittoria, ma più presto pericolo di perdita, fecero altra risolutione, Oppidi oppugnatione Tribuni abstinuere, quia et anceps erat, etc. Se ne scrisse perciò à Senatori in Roma, incolpandone più li Prenestini aussiliarij, che li Velletrani principali, et à quelli intimarono la guerra col conseglio de' Padri Senatori, e del Popolo. Li Prenestini coraggiosi congionti con li Volsci amici, et in particolare con li Velletrani, formato un buon'Essercito, pigliarono à viva forza Satrico de' Volsci, ma Colonia de' Romani, usando contro li defensori Romani grandissima crudeltà, che caggionò nel cuore de' Senatori dispiacere non poco, onde crearono subito Tribuno militare la settima volta Marco Furio Camillo. Nacque in Roma nell'istesso tempo un certo che di seditione, e fù per la strettezza, e rigore, che s'usava contro debitori, essendo Consoli C. Sulpitio Camerino, e Spurio Postumio, che risaputa da' Prenestini, e certi, che le discordie della povera Plebe non havevano permesso il descrivere l'Essercito; dichiararono i Capi della Guerra, e fatti animosi, con l'armi in mano, diedero il guasto alla Campagna Romana, e giunsero senza ritengo alcuno predando fino alla Porta Collina, con tanto gran timore de' Romani, che s'uguagliò à quello ricevuto da' Galli, quando giunsero al Capitolio. Fù per questo dichiarato Dittatore Aulo Sempronio, che radunato buon'Essercito, procurò di subito incontrar l'inimico, come fece nel Piano d'Allia, luogo celebre, ma infausto per la rotta, ch'una volta vi riceverono i Romani; si venne alla zuffa, nella quale restarono perditori li Prenestini, in tanto, che furono necessitati fuggire alla sicurezza della loro Città, e vi perderono alcuni Castelli della loro Signoria, senza che molto si contrastasse. Il Dittatore doppo haver ricevuta la vittoria, condusse il suo Essercito à Velletri, come Città confederata de' Prenestini, che doppo non molto battagliare, per non ritrovarsi ben munita, fù espugnata, Deincepsquè haud magno certamine captis, Velitras Exercitus ductus, ea quoque expugnata, et alla fine di Preneste ancora l'istesso fù fatto, come Livio narra, Tum ad caput belli Præneste ventum, id non vi, sed per deditionem receptum est. Si conservarono nell'innato ardimento li nostri Velletrani, perche essendo nata gara in Roma trà li Tribuni, e li Patritij per la pretensione, che quelli havevano di fare eleggere un Console Plebeo, onde si trattennero l'Elettioni de' Supremi Magistrati da cinque Anni in circa, e si lasciarono in abbandono li più importanti affari della Republica. Da questo li nostri Velletrani divenuti più altieri, et invigoriti per l'otio di qualche tempo, scorsero, predando più volte il territorio Romano, e con molta bravura tentarono di pigliare Tuscolo. Erano i Tuscolani amici, anzi Cittadini Romani, e perciò ricorsero per aiuto al Senato. Sentito ciò, e li Padri, e la Plebe di simile novella si vergognarono non poco, che fù caggione di far nuovi Tribuni Militari, quali con prestezza radunaron'un'Essercito, e s'opposero a' Velletrani, li scacciarono dall'assedio, gl'inculcarono sin dentro le mura di Velletri, et assediarono la Città con maggior strettezza, che non havevano li nostri assediato Tuscolo, Veliterni Coloni gestientes otio, quod nullus Exercitus Romanus esset, et agrum Romanum aliquoties incursavere, et Tusculum oppugnare adorsi sunt, etc. Obsidebanturq. haud paulò vi maiore Velitræ quam Tusculum obsessum fuerat. Da' Tribuni, et Soldati assedianti non si fece cosa di rilievo, che fusse stata degna di memoria, stante il valore de' Cittadini, e fortezza della Città, Nihil ne ab vis quidem Tribunis ad Velitras memorabile factum. Quanto fosse grave quest'Assedio, si puol argomentare da questo, che li Romani non potevano celebrare li Comitij, se prima non tornavano li Soldati da Velletri, dove ne stava un grandissimo numero, cosa mai, o pochissime volte occorsa in altri assedij, Velitris in Exercitu Plebis magnam parte abesse, in adventum militum Comitia differre debere. Hor consideri il Lettore, quanto numeroso fosse l'Essercito de' Romani, qual fosse la fortezza della Città, e quanto il valore de' Velletrani. Si congregarono alla fine li Comitij, ne' quali si proposero molte cose, particolarmente la creatione di Dieci huomini in vece di Due, per le cose Sagre, che parte fossero della Plebe, e parte de' Patritij, ma niuna cosa si risolvè, se non doppo levato l'assedio da Velletri, Omnium earum rogationum Comitia in adventum eius Exercitus differunt, qui Velitras obsidebat. Ma perche li nostri Cittadini si portarono coraggiosamente in defender la Patria; scorse più d'un'Anno avanti, che senza frutto alcuno si levasse l'assedio, Priùs circumactus est Annus, quam à Velitris reducerentur Legiones. E fù così lungo l'Assedio, et à Romani noioso, che si cominciò a mormorare alla gagliarda, che la gioventù Romana stasse occupata, e trattenuta nell'Assedio di Velletri, come in Esilio. Così tra gl'altri richiami diceva Licinio Sesto, Deinde ablegatione Iuventutis ad Veliternum Bellum, perche tutte le Guerre terminarono, tutti li motivi de' Stranieri s'ismorzarono, e tutti li Popoli nemici si quietarono, solamente rimase l'Assedio di Velletri, quale stimavano ancora di sicura vittoria, benche di lungo tempo, Cum præter Velitrarum Obsidionem tardi magis rerum exitus, quam dubii, quietæ externæ res Romanis essent, tanto registra l'istesso Livio. Quello ch'io noto in questo Autore, è che per non registrare il valore de' nostri Cittadini, et il poco profitto de' Romani in questo assedio, sicome non poteva registrare la vittoria, ne meno hà voluto scrivere la di loro poco honorevole partenza, e perciò raggionevolmente il Loritho d'un tal silentio si maraviglia, dicendo Mirum cur non vel dissolutionis, vel expugnationis alicubi meminerit Livius. Continuavasi l'Assedio in Velletri, e quantunque poi suscitassero nuovi rumori, e si facessero per altre parti levate di genti contro Romani, mai abbandonarono la nostra Città, tanto assediata, quanto odiata; perche sapevano li Padri del Senato molto bene quanto potente essa fosse; e se doppo molt'anni partirono, fù senza profitto; perche nel Cons. XCV. essendo Consoli Caio Fabio, e Caio Plautio, li Privernati, e Velletrani, come popoli non solamente di natione, ma d'amicitia, fecero grandissimo impeto in dar il guasto al Contado Romano, con danno notabilissimo della Republica, e fù in quel mentre, che li Tarquiniensi in un fatto d'armi roppero l'Essercito di Caio Fabio Console, e fecero un scelerato Sacrificio di Trecento, e sette Soldati Romani, crudeltà tanto horrenda, che più dispiacque al Senato, che la sconfitta dell'Essercito, Accessit ad eamdem Cladem, et Vastatio Romani agri, quàm Privernates, Veliterni deinde incursione repentina fecerunt, disse Livio. Doppo Diecedotto anni, ne' quali molte Guerre si fecero trà Romani, Volsci, et altri Popoli, Lucio Annio Setino, e Lucio Numicio Circeiense, le Patrie de' quali erano Colonie Romane, givano sollevando li popoli, tanto della nostra Natione, quanto della Latina, e de' Confederati, fecero grandissima impressione ne' petti di molte genti; eccetto che de' Velletrani, e de' Segnini, che come generosi ricusarono tal'unione, non comportando il dovere, c'havessero à muovere le loro armi à richiesta d'altri, come solevano fare per la loro grandezza, Prætores tum duos Latini habebant, Lucium Annium Setinum, et Lucium Numicium Circeiensem, ambo ex Coloniis Romanis, per quos, præter Signiam. Velitàsque, et ispas Colonias Romanas, Volsci etiam exciti ad Armaverant, questo scrive Livio. Io non mi posso persuadere, che questi due Pretori fossero della Natione Latina differente dall'altre, ch'allora habitavano nel Latio, cioè Volsci, Equi, et Hernici, ma del Latio in commune, perchè Circeio era de' Volsci, cosi ancora Sezze, come s'è provato di sopra; nè haverebbono due Volsci tentata tal unione senza la participatione d'una Città cosi insigne, com'era Velletri. E Velletri, quando havesse considerata giusta, e raggionevole la motione dell'Armi contro Romani, non haverebbono ricusata l'impresa, che da quelli se gl'antiponeva. Quanto sia vero, che solamente per honorati rispetti ricusassero i Velletrani di muover l'Armi à richiesta de gl'accennati Pretori, si puol dedurre da questo, che l'Anno seguente, essendo Console Tito Emilio Mamerco, e Quinto Publio Filone, si mossero li nostri Cittadini à favore di Pedo, come fecero ancora li Tiburtini, e Prenestini, Popoli amici, e confederati, e poco doppo li Lanuvini, et Antiati. Si venne al fatto d'Arme, nel quale li Romani restarono superiori, ma con non molto guadagno, perchè la Città restò intatta, e gl'Esserciti amici senza perdita. Si lasciò la Guerra per l'Anno seguente, e li nuovi Consoli proseguirono l'impresa contro Pedo. Non potevano l'altre genti del Latio formar campo reale, e far guerra aperta, perche per le passate rotte, havevano perduta quasi tutta la più bella gioventù, ne meno potevano sopportar la pace con la soggettione all'altrui Dominio; e tanto meno, quanto che quasi tutto il territorio della Regione, cominciando da Piperno sin al fiume Volturno, che scorre vicino alle mura di Capua, era di già stato pigliato, e distribuito, et assegnato alla Plebe: perciò con maturo conseglio risolverono di non muover guerra, ma solamente d'aiutare, e soccorrere quelle Città, che fossero state da' Romani, ò assalite, overo assediate. Tanto fecero à Pedo, al di cui aiuto andando gl'Aricini, li Lanuvini, e li Veliterni, gionti al fiume Astura, furono all'improviso, mentre s'univano con gl'Antiati, da Caio Menio Console combattuti, e rotti, Tiburtes, Prænestiniq. quorum Ager proprior erat, Pedum pervenere: Aricinos, Lanuvinos, et Veliternos Antiatibus Volscis se coniungentes ad Asturæ Flumen, Menius improvisò adorsus fuit. Sono queste parole di Livio. Fù questa una vittoria delle maggiori, c'havessero in quei tempi li Romani, perche per essa restò soggiogato tutto il Latio. Nec quievere antequam expugnando, aut in deditionem accipiendo singuals Urbes. Latium omne subegere, Ricevuta una tal vittoria li Romani, volsero mortificare con qualche risentimento, tutti quelli Popoli, che restarono nella passata Battaglia superati, et à chi un castigo particolare, et à chi l'altro fù dato à lor capriccio. Li Velletrani solamente furono con più severi trattamenti castigati. Li Lanuvini restarono astretti, che la loro Selva sacra dovesse per l'avvenire esser commune à Romani, com'anco il Tempio di Giunone Sospita, e se hebbero la Civiltà, fù con la perpetua soggettione al Popolo Romano. Gl'Aricini, li Numentani,e li Pedani furono trattati con le medesime conditioni. De' Tuscolani quelli pochi solamente furono castigati, che stimarono Capi della loro ribellione. A' Tiburtini, e Prenestini fù parte del loro Contado tolto, non tanto per caggione di questa Guerra, quanto, perche una volta gli havevano fatta lega con li Galli. A gl'Antiati furono tolte le Navi lunghe, e l'uso del navigare. A chi fù prohibito il comercio, à chi il poter apparentarsi insieme; in somma furono diversi li castighi dati à quelli popoli, à chi poco, et à chi molto. Velletri solamente, forse come più potente dell'altre Città, e di maggior contrasto à Romani, fù più severamente, e senza pietà trattata. Furono demolite le mura della Città, gettate à terra l'habitationi, et il Senato Veliterno confinato in Roma di là dal Tevere, con Decreto, che chi fosse gionto di quà dal fiume, pagasse mille Lire, ne potesse esser liberato, e sciolto da chi pigliato l'haveva, se non doppo pagato intieramente il denaro; ne' poderi de' nostri Senatori deputarono nuovi habitatori, che furono poi chiamati Coloni. E volendo l'Historico apportar la caggione di tanto rigore, per non dir lo sdegno, che portavano li Romani à Città così potente, et il dispiacere della grande, e lunga resistenza fattagli nel passato Assedio; dice, fosse, perche li Velletrani, essendo Cittadini Romani, tante volte s'erano ribellati; poteva pur dire, ch'à ciò gl'haveva introdotti il timore che gl'apportava, questa Città. In Veliternos veteres Cives Romanos, quod toties rebellassent, graviter sævitum, et muri desiecti, et Senatus indè abductus, iussiquè trans Tiberim habitare, ut eius quis eis Tiberim deprehensus esset, usquè ad mille pondo clarigatio esset, nec priusquam æere persoluto is, qui cœpisset, extra vincula captum haberet, in Agrum Senatorum Coloni missi. E vero però, ch'in breve tempo furono risarcite le mura, la città ripopolata con la Romana Cittadinanza, e con tutte quelle honorevolezze, che solveano concedere li Padri, e che godevano ancora l'altre Colonie, Quibus adscriptis, speciem antiquæ frequentiæ Veliternæ receperunt. La caggione, per la quale fossero risarcite le mura della Città, l'hò sentita da un curioso, che sia stata questa; perche un nostro Cittadino fece un servitio non ordinario in tempo di perigliosa guerra alla Repubblica Romana, tanto dal Senato Romano ottenne. In ciò mi riporto al vero, perche l'Autore, nel quale, dicesi, che vi sia registrato, non mi è capitato alle mani. Trovo ben si in Livio, che Piperno fosse con l'istesso rigore che Velletri maltrattata, De Senatu Privernate ita decretum, ut qui Senator Priverni post defectionem ab Romanis mansisset tran Tiverim, lege, qua Veliterni, habitaret, cosi termina Livio. Erano queste due Città, Piperno, e Velletri pari nella potenza, ambedue popolate, e principali de' Volsci; onde non sia maraviglia, se per la gloria, che mostravano, e lo splendore, che promettevano per l'avvenire, le fece uguali nelle sciagure, e nell'asprezza del castigo, Et era tanto lo sdegno de' Romani contro queste due Città, ch'incrudelirono ancora sopramodo contro Tuscolani, per havergli nelle passate guerre prestato aiuto; quindi dalla Tribù Pollia fù fatto Decreto (benche le Donne vestite di lugubre, con piccoli Bambini in braccio, et abbandonati di lagrime supplicassero misericordia, e pietà) che li Giovenetti di quattordeci Anni in sù, fossero con verghe battuti, e morti; e che le Donne, e li Fanciulli fossero all'incanto venduti sotto la Corona: Sentenza tanto stravagante, quanto cruda, ma dall'altre Tribù rivocata, Marcus Flavius Tribunus Plebis tulit ad Populum, un in Tusculanis animadverteretur, quorum ope, et consilio Veliterni, Privernatesq. Populo Romano Bellum fecissent. Scrive l'istesso Autore. Abbassate per tanto l'altere Cervici queste due insigni Città, respirarono li Romani; perche s'impose fine alle Guerre de' Volsci, più feroci, e più potenti nemici della Repubblica: e ben li fù necessario per la Guerra, che li fecero li Cartaginesi sotto la scorta, e comando d'Anibale, che gionse fin'alle Porte di Roma: la quale contro tutte le Nationi si fece conoscere Fortunata; onde con Plutarco si potè dire, che Roma era il vero Albergo dell'humana Fortuna, Postquam transmisso Tiberi ad Palatium appropinquavit, alas deposuit, Talaria exuit, ac infideli, et versatili illo globo misso facto, ita intravit Romam, ut mansura. E perciò come nota il Dempsero Roma si puol chiamare Città eterna, così scrive Ammiano Marcellino, Orphitus Præfecti Potestate regebat Urben æternam. E lo conferma Tibullo con li seguenti due versi. Romulus æternæ nondum fundaverat Urbis Mœnia consorte non habitanda Remo.
Note
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