TEATRO   HISTORICO   DI   VELLETRI



 
 

 INDICE 


 Imprimatur
 Dedica
 Superiorum approbatio
 L'Autore a chi legge

 LIBRO PRIMO 


 Del Regno d'Italia
 Del Regno del Latio
 Del Regno de' Volsci
 Quali fossero le Città, e Terre de' Volsci
 Chi edificasse la Città di Velletri
 Guerre Antiche di Velletri

 LIBRO PRIMO 


 Velletri Capo de' Volsci
 Velletri Patria d'Augusto
 Tempij Antichi in Velletri
 Ville d'Antichi Romani
 Antichi Frammenti ritrovati in Velletri
 Persone Insigni della Fameglia Ottavia

 LIBRO SECONDO 


 Arme della Città
 Ingresso di Fede in Velletri
 Velletri Vescovato Cardinalitio
 Serie de' Vescovi Cardinali Veliterni
 Velletri Albergo de' Grandi

 LIBRO SECONDO 


 Affetto di Sommi Pontefici
 Fameglie Nobili Aggregate
 Fameglie Congionte
 Fameglie Estinte
 Persone Illustri in Dignità


Del Regno d'Italia.
Cap. I.

Che la bella Italia, dominante Regina del Mondo, fosse doppo l’Universal Diluvio, nella dolce Età dell’Oro, da rampolli, anzi, da quei felici Ceppi dall’inondatione dell’acque salvatj, habitata; sono chiare l’autentiche Autorità de gl’Historici e Sacri e Profani. Basterebbe per schivar longhezza nel riferire, quella di Q.Fab.Pit. De Au. Sec. lib. I.Q. Fabio Pittore, qual facendo mentione de Popoli primi habitatori dell’Italia, Toscani, cioè, e Romani, ò vogliamo dire Latini, disse, Sub Iano cœperunt in Aureo Sæculo. Ma per più chiarezza aggiungerò quel che registra M.P.Cat. de Origin. M. Portio Catone•1, che più apertamente con queste parole lo confessa, Italiæ splendidissima origo fuit, tum tempore, tum origine gentis. Cœpit enim Aureo Sæculo sub Principibus Dÿs Iano, Camese, Saturno, gente Phœnica, e Saga, qua post inundationem terrarum prima Colonias misit. È però d’avertire (dica à suo bell’agio quello che vuole Lilio Gregorio Giraldi)•2 L. Gr. Gir. tom. pr. che Giano è l’istesso che Noe, come frà molti gravi Autori afferma Beroso Caldeo•3, Beros. Cal. de Antiq. lib. 3. Genes. c.9 il quale, doppo haverlo più volte Noe chiamato, come nell’accennare la discesa di lui dal Monte di Gordico nell’Armenia, dove per quello habbiamo dal sacro Cronista, cessate l’acque del Diluvio, si fermò l’Arca, nel descrivere l’insegnamento de sacri Riti, nel riferire la partenza dall’Armenia, & in altri particolari ancora, lo chiama Giano, per esser egli stato primo inventore del Vino; non significando Iain, in lingua Hebrea, che Vino in lingua nostra. Ob beneficium inventa vinis, & vini, dignatus est cognomento Iano. Confermò l’istesso Girberto Genebrardo, quando disse, Ab hoc vino invento Ianus fortasse dictus est, nam Iain Hebreis vinum est. Seguitato anco da Gerolamo Bardi•4, da Giovanni Becano•5, e da Antonio Fonseca Portoghese, che apertamente dice, Noe esse Ianum exitum ab Area Mense Yanuarÿ quia à Iano sic dicitum. Anzi li Greci per l’istessa caggione del Vino lo chiamarono Oenotrio, asserisce Catone, quem quidam Oenotrium dictum affirmant, quia invenit Vinum & Far. È ben vero che fù chiamato Cielo, & Ogige da Senofonte, nel descrivere la sopputazione de gl’Anni de gl’Antecessori à Semiramide potente Regina de gl’Affarij scolpita in una Colonna, dice Atavus Cælus fœnix, Ogiges, ab Ogige ad meum Avum, etc. Fù detto anco Urano, che l’istesso significa, che Cielo, che Diodoro Siculo, narrando la Posterità di lui, Uranum ex multis Uxoribus suscepisse ferunt filios, e lo conferma Lattantio Firmiano•6 dicendo, Uranum potentem virum habuisse coniugem. Anzi afferma, ch’egli fosse il primo Re d’Italia, apportando il parere d’Ennio, Ennius in Eubemero, non primum regnasse Saturnum, sed Uranum Patrem. E per ciò erra Diodoro Siculo in dire, Ex multis Uxoribus, perchè una sola n’hebbe con più nomi chiamata, come più sotto si dirà. Fù, per finirla, chiamato Vertunno•7, Protheo, e Vadimone, che l’istesso significano, dice Giovanni Lucido Samoteo per parere di Samuele Talmudista, Dictus est Protheus, idest Vertunnus, vel Vadimon, qua tria nomina idem significant, ma in diverse Lingue, perchè quello che denota Vado appresso gl’Aramei•8, significo Protho appresso gl’Egittij, e Verto appresso i Latini. Quindi ragionevolmente disse Giovanni Nauclero•9 Idem sunt Noe, Noa, Ianus, Ogiges, Vertunnus, Cælum, Sol. E s’altri nomi à Noe furono dati, ne fù caggione la varietà de’ concetti, c’haveva di lui il Mondo, per la congitione che si haveva de’ beneficij apportati da lui alle genti. Noe dunque doppo il Diluvio, veggendo ravvivato (per così dire) il Gener’humano, moltpilicati i figli, e li nepoti in gran numero cresciuti; per toglier via ogni motivo di rissa, divise à quelli i Regni, le Provincie, e le Colonie; divisione autenticata dal sacro Cronista, che disse, Ha familia Noe iuxta Populos, & Nationes suas ab his divisa sunt Gentes in terra post Diluvium. Et havendo à Semo l’Asia, à Giapero l’Europa, e l’Africa à Camo assegnato•10, come anco à varij Capi di famiglie diverse Provincie, e Regni (questo fù al computo di Giovanni Annio l’Anno C. doppo il Diluvio.) Egli, dubbioso forse, ò più tosto presago della discordia de suoi figli, pigliò l’independente cura del Mondo; il che fu accennato da Ovidio, quando disse Me penes est unum vasti custodia Mundi.
Fondate haveva Noe, poco avanti che partisse, molte Colonie nell’Armenia, & in altre Contrade ancora, conforme al bisogno: quali stabilite, non molto doppo gl’altri, con la sua consorte Tithea•11, ò Aretia, ò pure Vetta, overo Esta, ò come in lingua Toscana dice Mirsilo Lesbio Horchia, e con altri figli, e nepoti in copioso numero, se ne venne il primo in Italia.
Quod eum ita existimatur est priorem Ianum in Italiam devenisse, ab eoque postea venientem exceptum esse Saturnum dice un’Autore citato da Onofrio Panvino•12. E con Profetico sapere entrando per le foci del Tevere, tenne à man sinistra, fermando la sua prima stanza, & albergo nel Colle vicino al Vaticano, che dal suo nome di Giano fù detto Gianicolo, Cumque ivisset ad regendum Kitim, quam nume Italiam nominant, dice Beroso. Di questo senso è Giacomo Middendorpio•13, che per parere di Marco Podiano dice, Noa, quem antiquitas Ianum vocavit, post universale Diluvium in Italiam professus est , et lavam Tiberis ingressus, Colonias, etc. E Vincenzo Scamozzi•14 lo conferma, dicendo, Ianiculo da Iano, che vi hebbe l’habitatione, e fù ìvi sepolto. Anco Andrea Angelo•15 con queste parole, Noe, qui natus est, etc aliàs Ianus fuit cognominatus, primusq. Patriarcha, Rex, et Imperator totius Orbis fuit, et in Ianiculo, seu Vaticano Templum condidit. Questa prima venuta di Noè fù l’Anno O.VIII. doppo il Diluvio, e dalla Creation del Mondo MMM.II. Governò egli con paterno affetto An.XXXIII. l’Italia nel cui seno eresse molte Colonie, e fù il primo Re, che l’Italia havesse; tanto asserisce Paolo Diacono per parer d’alcuni, Primus in Italia, ut quibusdam placet, regnavit Ianus, sono queste formali parole dell’Abate Vipergense, che vien seguitato da Agostino Torniello con queste parole, Oportet capissi Regnum Italia sub primo eius rege Iano, e tutto questo (dice il Middendorpio nel citato luogho) si manifestò per la Nave scolpita nelle monete di Giano. Indicantes venisse Ianum Navi ex Asia in Italiam, et utriusque Orbis partes verum Patrem, et Imperatorem existere, quantunque questa Nave scolpita sia fondamento ad altri per farne diversi giudicij. Penetrò in tanto li rumori de’ Figli, e de Nepoti Noe, cagionati forse dall’edificatione della superba Torre, e confusione delle Lingue; e bramoso di dar rimedio più alli futuri, direi, che alli presenti mali, se ne ritornò veloce nell’Africa, & al governo d’Italia Gomero Gallo•16 soccedè nel MMM.XXXV. Anni del Mondo; mentre nell’Assiria regnava Nembrotte•17, Saturno Babilonico altramente chiamato.
Vidde Gomero l’Italia, e considerò l’ameno sito di essa, e questi luoghi fatti di Colonie dal suo Avo Noe, per esser egli figliolo di Iapeto, come insegna il sacro Cronista, diede il nome ad alcune Colonie, cosa ordinaria di quei tempi,
Comerus loca, scilicet; ubi Ianus Avus ante Colonias posuerat, à se cognominavit, regnava Giovanni Annio, e questo fù il secondo, che solo regnasse in Italia; nel cui tempo cominciarono le Colonie de Francesi, e de Spagnoli. Governò il Regno Gomero anni LVIII. & hebbe per soccessore Ocho Veio suo figliolo, che regnò anni L. e fù anni MM. C. VI. avanti la venuta di Christo Nostro Redentore, e della Creation del Mondo MMM. XCIII.
Si partì dall’Italia Ocho Veio, ma sbarcandovi l’ultimo de primi tre figli di Noe, chiamato Camo, e per altro nome, Saturno Egittio fù nel MMM. C. XLIII. del Mondo, e non trovandovi Prencipi regnanti, pigliò egli il Governo del Regno, e delle Colonie, reggendole per spatio d’Anni XIX. ma con i suoi perversi costumi, e prave sceleraggini si concitò contro questi Popoli, onde ragionevolmente fù chiamato Camo scelerato: quando non fusse per altro, almeno per quello che registrò Giovanni Cassiano•18, le cui parole sono le seguenti
Quantum antiquæ traditiones ferunt, Obam filius Noe, qui superstiniobus, & sacrilegus fuit artibus, & profanis infectus, sciens nullum se posse super his memorialem librum in Arcam prorsus inferre, in quam erat unà cum Patre iusto, & sanctis fratribus ingressurus, scelestas artes, & profana commenta diversorum metallorum laminis, quæ scilicet acquarum non corrumperentur iniuria, & durissimis lapidibus insculpsit; quæ Diluvio peracto, eadem, qua illa calaverat, curiositate perquirens, sacrilegiorum, & perpetua nequitia Seminarium transmisit ad posteros. Non mi dispiace però il sentimento di Giacomo Saliano•19, à cui non par cosa possibile, ch’un tal’huomo, se fosse stato così scelerato, e perverso, restato fosse salvo dall’Universal inondatione col beneficio dell’Arca; nella quale, come intende Gio. Crisostomo Santo•20, egli generò un figlio chiamato Canaan•21. E da questo il pudico fà buon’argomento dell’intemperanza di lui, mentre ne anco l’ira Divina, che giustamente ferina il Mondo tutto, lo ritraheva dalla libidine.
Edificò Camo due colonie fra molte altre, una nell’Umbria, chiamandola dal suo Nome Camerena, detta hoggi Camerino, e l’altra nel nostro Latio vicino ad Albano con l’istesso nome•22, che poi, come narra Dionisio, fù presa, e data à sacco da Romolo per li suoi Soldati, perchè li Camerini, pigliando occasione della Peste, che crudelmente molestava Roma, persuadendosi, che ne dovessero li Romani restar estinti; fatta ardita risolutione parte de Colani Romani uccisero, e parte ne scacciorno fuora della Città,
id scelus, dice l’Alicarnasseo, ulturus Romulus, mœnibus eorum iterum expugnatis, auctores defectionis affecit supplicio, prædaq. concessa militi. Quando questa celebre Città fosse fatta Colonia de Romani, lo dimostra Guglielmo Godelveio dicendo, fosse cinque Anni doppo la fondatione di Roma, per la Guerra fattali contra da Romolo, e Tatio Regi, Romulus & Tatio Reges cum Bello Camerinos vicissent Cameriam, qua Colonia Albanorum fuerat, Romanam deduxerunt Anno Urbis condita quinto. E se bene l’istesso Dionisio asserisce esser stata questa Città fondata prima di Roma, Hanc olim Albani multo ante quam Romam condiderant; con tutto ciò è di parere fosse prima nobile albergo, e stanza de gl’antichi Aborigini, che dà materia di credere fosse da Camo edificata, temporibus autem priscis, Aboriginum fuit domicilium eum primis nobile. E questo fù il quarto dominante assoluto d’Italia, che con la sua pessima vita la riempì di rilassationi, e mali costumi.
Giano in questo mentre attendeva à quietare i tumulti de Figli, e Nepoti, e sedati in parte, doppo haver stabilite alcune Colonie nell’Arabia Felice•23, e fondatene due nella Spagna, fece ritorno alla sua bella Italia nell’Anno del Mondo MMM. C. LXII. Non voglio lasciare sotto silentio il pensiero di Gilberto Genebrardo, il quale giudica impossibile il ritorno di Noe nell’Italia, sì perchè egli era vecchio molto, com’anco, perche al suo parere non visse più di dieci anni doppo la divisione fatta de Regni, e Provincie, quale à mio giudicio sarebbe stata troppo tarda, e perciò aderisco à Gio. Lucido Samotheo, al Middendorpio, & altri della prima sentenza, che Noe ritornasse in Italia nel XX. Anno di Nino, Terzo Rè de gl’Assirij, che da Gerardo Mercatore è stimato l’istesso che Nembrotte, dicendo,
Hunc Ninum esse Nembrot credimus, ma s’inganna, perchè Nino fù nepote di Nembrotte, e figlio di Giove Belo. Ritornato dunque in Italia Noe, vi ritrovò fuor d’ogni suo pensiero Camo figlio scelerato, che come havemo detto, contaminava la gioventù con le sue enormità, sceleragini, e superstitioni. Per veder di ridurlo al dritto sentiero del buon governo, ve lo sopportò tre Anni: ma non havendovi veduta emendatione di sorte alcuna, lo discacciò via; e per honor di lui, permisse, ch’una parte dell’Italia pigliasse il nome di Camerena, così vuol Macrobio, che eccettuato il Gianicolo comportò, Ut residua Regio Camerena nuncuparetur, qual Regione fù il nostro Latio. Noe in tanto attese con ogni prudenza, e giustitia, à rimediare à i disordini, & abusi introdotti da Principe perverso. Questa, direi, fosse stata la prima divisione dell’Italia in Latio, e Toscana, ma però con nome di Gianicolo, e Camerena.
D’Italia Camo se ne fuggì in Sicilia, dove edificò alcune Colonie, una delle quali ritenne il suo nome Cameria, della quale fa mentione Paolo Orosio; e non ritornandovi più, come poteva dubitarsi, Noe pigliò di nuovo l’universal cura del Regno, che veduta la difficoltà di svellere li piantati errori, deputò alla riforma de Popolo sconcertati Crano, e Crana suoi figli ultimi nati doppo il Diluvio, e perciò teneramente amati: e così à poco, à poco si diede qualche rimedio à mali presenti, e ne venne la diversità de Prencipi regnanti, come dirremo. È vero che S. Epifanio non vuol che Noe havesse altri figli doppo il Diluvio, dicendo
Nascuntur autem ex filýs eius (ipse enim non amplius generavit) filÿ, & filiorum filÿ usque ad quintam generationem. E pare, che anco S. Gio. Crisostomo sia dell’istessa sentenza, mentre dice, Cum iam quingentorum esset annorum, babertetq. filios istos tres, istis contentus fuit. Ma trattandosi delle benedittioni, che Dio li diede, cessato il Diluvio, & uscito dall’Arca, nell’istesso luogo Crisostomo dimostra il contrario con queste parole, Postquam accepit mandatum à Domino, & benedictionem, dicentem, crescite, & multiplicamini, exÿt ex Arca, etc. Noe fù obedientissimo, argomentiamo noi, dunque osservò il precetto della propagatione, non per incentivo di libidine, ma per obedienza, e bisogno del Mondo: e quel numero preciso di tre figli soli, s’intende avanti il Diluvio, dal che si discopre la continenza d’un huomo giusto. Alfonso Tostato corrobora la medesima sentenza col parere di S. Methodio Martire, dicendo, che Noe habbia havuti doppo il Diluvio altri figli, Noe centesimo anno tertiæ Ciliadis, idest centum annis post Diluvium, genuit filium nomine Ionicum. Et altrove egli reproba l’altrui oppinione negativa, con dire, Non sequitur falsum esse, quod Noe genuerit Ionicum, si sottoscrive à questo pensiero il Nauclero con le seguenti parole, Præter Sem, Cam & Iaphet, reliquit filios, & filias, etc. Noe quoque genuisse legitur quartum filium, quem vocavit Ionichum, e dice fosse persona virtuosa, e peritissima nell’Astronomia; il che asserì molto tempo prima del Nauclero, Pietro Comestore•24, chiamandolo Ionito, Trecentesimo Anno dedit Noe dominationes filio suo Ionitho. His accepit à Domino donum sapientiae, et invenit Astronomiam, dicendo che col suo sapere prevedesse anco molte cose future, Ionithus iste futuros quosdam eventus pravidit; maxime de ortu quoatuor Regnorum: e quello fù quel Crano accennato di sopra sostituito per la riforma de’ Popoli corrotti. Anzi se volemo prestar credenza à Diodoro, Noe hebbe quarantacinque figliuoli, Ianum suscepisse ferunt filios quinque, et quadriginta. Ma in ciò si deve stare al parere de’ più autentichi, e veraci Scrittori.


Note

1↑   Marco Porcio Catone (234 a.C. circa - 149 a.C.) detto il Censore, celebre politico, generale e storico romano. Fu autore dell’opera Origines, a cui il Teoli si riferisce, scritta in sette libri durante la vecchiaia, e nella quale si narra la storia di Roma dalla fondazione fino alla spedizione di Servio Sulpicio Galba in Spagna e al discorso dello stesso Catone contro Galba nel 149 a.C.
2↑   Lilio Gregorio Giraldi (1479 - 1552) fu un umanista e storico ferrarese, autore di diverse opere di vario genere, tra le quali probabilmente il Teoli fa riferimento al Libellus in quo aenigmata pleraque antiquorum explicantur, pubblicato per la prima volta a Basilea nel 1539, e dove l’autore cerca di spiegare alcune questioni rimaste aperte relative alla storia dei popoli antichi.
3↑   Beroso o Berossos, in lingua accadica Bēl-rē’ušu, fu un sacerdote caldeo, astronomo e storico, autore di opere in greco risalenti agli inizi del III secolo a.C., tra le quali una monumentale Storia di Babilonia andata però perduta insieme al resto dei suoi scritti. Lo scritto a cui si riferisce il Teoli, tuttavia, è opera di un falso storico, scritto dal frate domenicano Annio da Viterbo (c. 1432 - 1502), storico e pupillo di papa Alessando VI. Annio, nel 1495 pubblicò l’opera Commentaria super opera diversorum auctorum de antiquitatibus, sostenendo di aver trovato delle opere inedite di Beroso che narravano appunto episodi della storia del mondo risalenti al Diluvio. Nonostante si trattasse di un falso letterario l’opera influì notevolmente numerosi autori del Rinascimento, soprattutto per quanto riguarda le origini dei popoli antichi.
4↑   Girolamo Bardi (1603 - ...), autore di una Chronologia universale, nella quale si tratta la storia del genere umano da Adamo fino al 1581 circa.
5↑   Johannes Goropius Becanus, medico olandese e studioso di linguistica; l'opera a cui si fa riferimento è Origines Antwerpianae pubblicato nel 1569.
6↑   Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (250 c.-327 c.), retore cristiano di epoca romana, fu il primo a scrivere un compendio della religione cristiana, il Divinarum institutionum Libri VII, a cui fa riferimento il Teoli.
7↑   Vertumno, divinità etrusca simbolo del mutamento e dell'avvicendarsi delle stagioni, spesso rappresentato come amante della dea Pomona, dea protettrice dei frutti, dell'olivo e della vite.
8↑   Si tratta di una popolazione nomade di origine semitica che abitava la Mesopotamia; viene citata più volte nella Bibbia. Qui probabilmente il Teoli intende indicare tutta la popolazione di lingua semitica.
9↑   Johannes Nauclerus (1425 c. - 1510), storico e umanista originario della Svevia, autore di una Memorabilium omnis aetatis et omnium gentium chronici commentarii pubblicata postuma nel 1516.
10↑   Si tratta di Sem, Cam e Jafet, i tre figli di Noè, da cui tradizionalmente si sarebbero originate le popolazioni dei semiti (popolazioni asiatiche), camiti (etiopi, egizi e cananei) e jafetiti (europei).
11↑   Ovvero Titea Magna, la madre dei Titani, più familiarmente nota come Gea.
12↑   Onofrio Panvinio, latinizzato in Onuphrius Panvinius (1530 - 1568) fu un religioso agostiniano, appassionato di antichità e studioso di storia romana.
13↑   Jacobus Middendorpius (1537 - 1611), storico e teologo olandese, autore di una storia delle università europee dal titolo De celebrioribus universi orbis Academiis, libri II pubblicato nel 1567.
14↑   Architetto vicentino e studioso di antichità, autore dell'opera Discorsi sopra le antichità di Roma pubblicata nel 1582, a cui fa riferimento il Teoli.
15↑   Il principe Giovanni Andrea Angelo Flavio Comneno fu l'ultimo discendente della dinastia bizantina dei Comneni e studioso di araldica, autore di una Genealogia d'imperadori Romani et Constantinopolitani et de' regi, prencipi et signori pubblicata nel 1624 a cui fa riferimento il Teoli.
16↑   Gomer (in lingua ebraica גֹּמֶר) fu il maggiore dei tre figli di Jafet, figlio a sua volta di Noè. Secondo la tradizione tramandata dallo storico ebreo Flavio Giuseppe, egli fu il fondatore del popolo dei Galati, una popolazione celtica (Galli) che si insediò nell’omonima regione dell’Anatolia, la Galazia. Da qui viene probabilmente l’appellativo Gallo a cui fa riferimento il Teoli, seguendo la tradizione precedente.
17↑   Nembrotte, o più esattamente Nimrod, personaggio biblico, citato nel libro della Genesi, era figlio di Kus, e nipote di Cam. Celebrato come grande cacciatore, viene citato come uno dei primi umani a fondare un grande regno, al cui centro era la celebre Babele.
18↑   San Giovanni Cassiano (360 - 435), fu sacerdote e monaco di cui non si hanno molte notizie. Fu autore dell’opera Collationum XXIV Collectio In Tres Partes Divisa, a cui fa riferimento il Teoli.
19↑   Jacques Salian (1558 - 1640), studioso e teologo gesuita, autore dell’opera Annales ecclesiastici Veteris Testamenti.
20↑   San Giovanni Crisostomo (344 - 407) fu un importante dottore della Chiesa, fervente moralizzatore della Chiesa dei suoi tempi, fu autore di numerose e discusse omelie, tra le quali il Teoli fa riferimento alla Homiliae in Genesin, dedicata appunto al commento del libro biblico della Genesi.
21↑   Da Canaan, secondo la tradizione biblica figlio di Cam e nipote di Noè, discende la schiatta del popolo dei Cananei.
22↑   Si tratta dell'antico abitato di Cameria o Camerium, forse colonia di Alba Longa e distrutta dai Romani nel 502 a.C.
23↑   La cosiddetta Arabia Felix, indicava nell'antichità le regioni più meridionali della Penisola Arabica, e corrispondeva sommariamente agli attuali stati dello Yemen e dell'Oman.
24↑   Pietro Comestore (1100 c - 1179 c), fu cancelliere dell'Università di Parigi e autore di varie opere di carattere storico, fra cui la Historia scholastica, storia del mondo dal Diluvio alla venuta di San Paolo a Roma.


Del Regno del Latio.
Cap. II.


Chi diede di Latio il nome à quella Regione di quà dal Tevere; dove, come piace à Fabio Pittore nel sopracitato luogo, hebbe i suoi primi natali la Trionfante Roma, fù Saturno Caspio, chiamato per altro Nome Sabatio Saga, Figliolo di Cuso, Nipote di Camo, Pronepote di Noe, che dal Sacro Cronista vien detto Sabatcha, che perseguitato dall’empio Giove Belo, Padre di Nino, e Figlio di Nembrotte, se ne fuggì in queste nostre Contrade, e perciò in questo mi dilungo dal Bardi, il cui intendimento è, che questo Saturno sia figlio di Noe; se però non intendesse di Saturno Egittio, dico Camo, che allhora sarei seco. Che il detto Sabatio sia il nostro Saturno, lo dice Beroso, quando narra la prima fuga di lui ne monti Caspi, e trà li Battriani, & Armeni più remoti, per schivar la Tirannia del crudo Belo, Sabatius (egli dice) delitescebat in Battrianis Sagis, Torello Sarayne conferma l’istesso con le seguenti parole, Postquam paulo post, & Saturnus, qui, & Sabatius Saga dictus est, frater Nembrot Saturni Babilonici, & Patruus Iovis Beli, in Italiam concessit fugiens arma Iovis. Leandro Alberti, l’Annio, Gio. Christostomo Zanco, & il dottissimo Padre Maestro Felice Ciatti chiaro splendore della mia Francisca Religione con altri molti gravi Autori sono del medesimo parere, e trà viventi, Pompeo Angelotti fondato nell’Autorità di Monsignor Vittorij in un Sonetto dell’Istoria di lui manoscritta.
Se ne stava il patiente Sabatio nascosto ne’ sopr’accennati Monti perseguitato dall’ambitioso Nipote, che non poteva adempire la vorace brama di solo regnare, se non prima estinto il nostro Saturno; cercava perciò d’ucciderlo; ma perchè fù la fuga di lui repentina, e segreta, non commise tanta sceleragine. Dovendo poi egli render il debito alla Natura, col far passaggio all’altra vita, doppo haver regnato nella Babilonia XLIII Anni, lasciò per precetto testamentario à Nino suo figliolo soccessore del Regno, e della crudeltà paterna, ch’in esterminio mandar dovesse Sabatio Saga,
Iussit filio Nino, ut Sabatium Sagam funditus deleret, dice Beroso. Aspettava tempo più opportuno l’afflitto Sabatio, ò per la recuperatione del Regno, ò per più sicuro scampo della sua persona, ma non vedendovi piega; lasciando al governo de gli Armeni Barzane suo figlio, s’imbarcò per la Sarmatia, Regno così chiamato da Sarmata nipote di Semo. Trascorse ancora nell’Eusino, e fatta rilosutione megliore, e di maggior sicurezza, poiche non poteva tanto guardarsi dall’insidiose mani del nuovo Tiæranno, se non con la partenza; in compagnia di molti seguaci, con la moglie, e fameglia se ne venne veloce à vele spiegate con Navi in Italia, entrando per il Tevere à trovar Giano suo Bisavolo, che molto prima vi era giunto, come accennò Ovidio dicendo,
Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem
Primus oberrato Falcifer Orbe Deus.
Hac ego Saturnum memini tellure receptum,
Cœlitibus Regnis à Iove pulsus erat.

E Vergilio dice:
Primus ab athereo venit Saturnus Olimpo
Arma Iovis fugiens, & Regnis exul ademptis;
Is genus indocile, & dispersum montibus altis
Composuit, Legesq. dedit, Latiumq. vocari
Malis, his quoniam tutus latuisset in oris.

Fuga anco registrata da S.Agostino col paere di Eohemero (altri intendono Omero) con le seguenti parole,
Et quæ ad hanc rem pertinentia subsequuntur, totam de hoc Euhemerus pandit historiam, quam Ennius in latinum vertit eloquium. Giunse in Italia Sabatio Saga, sicuro dalla persecutione di Semiramide, che regnava nell’Assiria per la morte di Nino suo Consorte, di quel Nino, che diede principio all’Idolatria per la Statua, che eresse à Belo suo Padre, perchè come riferisce Pietro Comestore, Mortuo Belo Ninus in solatium doloris Imaginem Patris sibi fecit, cui tantam exhibebat reverentiam, ut quibuslibet reis, qui ad eam confugissent, parceret. Il corpo di questo Belo fù posto in un’Urna di vetro, con oglio (direi Balsamo) così ritrovato da Serse, narra Claudio Eliano Prenestino, Xerxes Darij filius effosso vetusti Beli monumento, vitream urnam reperit, ubi iacebat in oleo cadaver. Fù Sabatio nell’Anno MMM. CXCV. del Mondo da Giano cortesemente ricevuto, che conoscendo la buona natura del Nipote, l’ingiusta persecutione fattali da Belo,e dal Figlio, li dissaggi sufferti, gl’assegnò il lato destro del Tevere per le sue Colonie, & il monte Capitolino per suo Albergo, e Regia, con il governo de gl’Aborigini, restandosene egli nel Gianicolo, quindi Macrobio Aurelio disse, Hic igitur Ianus cum Saturnum Classe provectum excepisset hospitio, & ab eo edoctus, peritiam ruris ferum illum, & rudem ante fruges cognitas iustum, in melius redegisset, Regni cum societate remuneravit, e furono ambedue così conformi nel giusto governo, che forse per questo ben spesso cambiorno il nome di Saturno in Giano, e di Giano in Saturno, com’hà fatto il Middendorpio. Fabio Pittore, che registra quest’istessa venuta, è di parere, che Giano per divisione del Regno conceduto a Saturno, vi stabilisse, come per linea divisiva, il Tevere; patto osservato ancora molti secoli doppo per separatione trà Latini, e Toscani al tempo d’Ascanio, dice Livio. Ecco le parole di Fabio, Paulo post frementibus undique contra se armis, toto prius pererrato Orbe Saturnus ad Ianum se contulit, eum comi hospitio Ianus receptum, Latio, et Aboriginibus præfecit, et more, quamvis tunc finientis Aurei sæculi, intra fines sese quisque continuit. Ianus in Etruria, Saturnus in Latio, Tiberimque fines Imperÿ esse instituit. E più sotto segue, Etruria a Ianiculo Ianus, Latium à Saturno Saturnus cognominavit. E Sesto Aurelio Vittore dice, Igitur Iano regnante apud Indigenas rudes, incultosq. Saturnus Regno profugus, cum in Italam venisset, benigno exceptus hospitio est. Che Saturno edificasse Roma, la parte dico del Capitolio, con nome di Saturnia, lo dice Vergilio quando vuole dimostrare, che ella indifferentemente nel Latio, e nella Toscana era fabricata.
Hanc Ianus Pater, hanc, Saturnus condidit Urbem
Ianiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen

Et Ovidio.
Inde diu genti mansit Saturnis nomen,
Dicta fuit Latium terra latente Deo.

E Sesto Aurelio dice,
Sed Urbem Saturnus, cum in Italiam venisset, condidisse traditur. Lo conferma ancora Giulio Solino dicendo, Quis ignorat, vel dictum, vel conditum à Iano Ianiculum, à Saturno Latium, atque Saturniam. Et Hisidoro Hispalente ancora, In Italiam autem à Iano Ianiculum, à Saturno Saturnia, atque Latium conditum, eo quod ibi fugiens latuisset. Parimente Arnobio, Ianus Ianiculi conditor, et Civitatis Saturnia Saturnus Auctor. Seguono quest'oppinione Bartolomeo Isernacense, Tommaso Fazzello, Andrea Scotto, Niccolò Perotti, e altri molti.
Sono quasi tutti conformi li Scrittori intorno all'origine del nome Latio, e unitamente affermano, perchè Saturno
latuit, si nascondè in esso. Così dice Herodiano, Cuius etiam Saturnum ipsum ab Iove filio pulsum fuisse hospitem pradleant, quod et ibi latuisset nomen Latio inditum. Paolo Diacono, Saturnus, quia in Italia latuit, ab eius latebra Latium appellatum est. L'Abbate Uspergense replica le medesime parole di Paolo Papia, Latium pars Italiæ dictum, quod Saturnus à Iove fugiens, ibi latuerit. Paolo Merula, Latium dictum putatur à Saturno, qui patria profugus in his locis latuisse fertur. Nicolò Perotti finalmente dice, Dictum Latium, quod illic latuerit Saturnus Iovem filium fugiens.
Non voglio in questo luogo dimostrare quel Saturno fosse questo fuggitivo, perchè si dirà altrove; e per adesso mi basta in prova, che
Latium dicatur à latendo, come Arnobio conferma: benchè, come registra il Perotti, alcuni siano di pensiero così chiamarsi, quia latet inter præcipitia Alpium, et Appennini. In quello nostro Latio fù fondata, et hebbe i suoi natali la famosa Roma, come s'è accennato, così giudica Fabio Pittore dicendo, Prima igitur origo Roma fuit Collis Capitolinus, antea Saturnia dictus. Conferma ciò Lucio Sempronio, qual dice Ubi est Mons Capitolinus aureo saeculo à Saturno habitatus, ubi et nunc Aurea Roma Terrarum caput. L'istesso par che affermasse Plinio quando scrisse, Saturnia ubi nunc Roma est, corroborato ancora da Giustino Historico con queste parole, Itaq. Italia regis nomine Saturnia appellata est, et mons, quæ inhabitabat, Saturnus, in quo nunc veluti à Iove pulso sedibus suis Saturno, Capitolium est.
Stando dunque sicuro, e d'animo quieto Saturno nel suo governo nel Latio, destinò alla cura della Sabina Sabo suo figliuolo, che à quei Popoli diede anco il nome, come, oltre à molti altri buoni Autori, spiegò chiaramente Silio Italico nè seguenti versi:
Ibant, et læti pars Sanctum voce canebant
Auctorem gentis, pars laudes ore ferebant
Sabe tuas, qui de patrio cognomine primus
Dixisse populos magna ditione Sabinos

E fù nell'Anno del Mondo MMM. CC. XVI.. Questo Sabo fù poi il Dio Tutelare, benchè falso, de' Sabini, come Fauno de' Latini, e Quirino de' Romani, dice Polidoro Virgilij. (Io non credo però fosse il primo) Fece molti beneficij al Mondo Saturno, insegnò l'arte dell'Agricoltura, il modo di potar le vite, e gl'arbori, inventò le Falci da mietere, e da tagliar il grano, com'anco insegnò il costume, e riti de' Sacrificij (quantunque Cicerone dica, Principem in sacrificando Ianum esse voluerunt, e Pomponio Leto n'attribuisca l'inventione nel Latio à Fauno) e ridusse al vivere civile le rozze genti; in somma in XLII. Anni di governo fece grand'opre: e se prima di lui haveva fatta qualche cosa Gomero Gallo, fù però con minor esperienza, e maestria. Basta dir solamente che con la sua giustitia, e modo retto di vivere si diede il nome all'Età dell'Oro, come si cava da Giustino, qual dice,
Italiæ cultores primi Aborigines fuere, quorum Rex tanta iustitia fuisse dicitur, ut neque servierit sub illo quiquam, neque quisquam private rei habuerit, sed omnia communia, et indivisa omnia omnibus fuerint, velutis unum cuntctis patrimonium. E Claudiano poeticamente per tempo futuro così la descrive,
Tunc Tellus communis erit, tunc limite nullo
Discernetur Ager, nec vomere sulcus obunco
Findetur. subitis messor gaudebit aristis,
Rorabunt querceta favis, stagnantia passim
Vina fluent, oleiq. lacus, nec murice tinctis
Velleribus quæretur honor, sed sponte rubebunt
Attonito pastore greges, pontumq. per omnem
Ridebunt virides gemmis nascentibus algæ.

Età in vero fortunata, e felice, onde ragionevolmente di Saturno Virgilio disse,
Aureus hanc vitam interris Saturnus Agebat. Morì Saturno nel primo Anno di Semei Quinto Rè de gli Assirij, ne gl'Anni del Mondo MMM. CC. XXVII. E Noe visse doppo di lui Anni otto, dice Beroso, Eius Anno primo (parlando di Semei) cum Sabatius obiit. Ianus Pater senissimus filium suum Cranum Coritum creavit, octavoque post anno obiit, ò pure come si computa nelle Tavole di Eusebio, visse Noe Anni Sedici fino al XVII del sudetto Semei; benche il Marliano sia di contrario parere, dicendo, che Noe fosse il primo à far passaggio all'altra vita. Cœterum Iano defuncto, ad eum solum (intende Saturno) Imperium pervenit. Honorò Noe la morte del suo Pronipote, perchè se prima il Latio solamente, e Roma haveva nome Saturnia, volse che l'Italia tutta fosse universalmente Saturnia chiamata: tanto si cava da Dionisio, che dice, Ante adventum Herculis in Italiam, sacer erat Saturno is locus (intende del Capitolio) dictus ab Incolis Saturnius, quia et universa ora, quam nunc vocatur Italia, dicata erat huic Deo, vocata à suis hominibus Saturnia, ut licet videre in Sibyllinis Carminibus, et aliis Oraculis à Diis redditis. Tertulliano, che con ragione vuole, che nissuno scriva più fedelmente di Saturno, che gl'Italiani, dice, Si quaras rerum argumenta, nusquam invenio fideliora, quam apud ipsam Italiam, in qua Saturnus polis multas expeditiones, postquam Attica hospitia consedit, exceptus quam Iano (ut Salii volunt) Mons, quem coluerat, Saturnius dictus, Civitas, quam debellaverat, Saturnia usuqe nunc est. Fece in oltre Giano stampar monete con l'impronta della Nave, sopra la quale Saturno venuto era in Italia, e scampato dal tirannico furor di Belo, il che fù spiegato da Ovidio ne i seguenti due versi.
At bona posteritas Puppim formavit in ære
Hospitis adventum testificata Dei

Da Plutarco, che disse,
Qua vulgata opinio est in honorem hoc fit Saturni navigio Italiam advecti. E Macrobio lo dimostrò più chiaro, dicendo, Cum primis quoque Æra signaret, servavit et in hoc Saturni reverentiam, ut quoniam ille navi fuerat avectus, ex una quidem parte sui Capitis effigies, ex altra verò Navis exprimeretur, quo Saturni memoriam etiam in posteros propagaret. E Tertulliano dice, che perciò Saturno fù fatto Nume tutelare de gli Erarij, Ab ipsa primum Tabula, et Imagine signatus nummus, et inde Ærario præsidet. Da tutto questo si cava, che Giano fosse l'inventore di simili monete, e non Saturno, come vuole Alessandro ab Alexandro, che scrisse, in Latio Saturnus areum nummum reperisse traditur. E ben vero, che à lui, e alla sua consorte chiamata Opis, ò Rhea, come narra Pomponio Leto, fù alzato un superbo Tempio nel Monte Capitolino. Giano doppo la morte di Saturno, pieno d'anni, non potendo, ò non volendo solo reggere cosi vasto Impero, che prima haveva diviso, scorgendosi hormai giunto al fine de' suoi giorni, fece Prencipe del Latio Crano suo figlio, per altro nome chiamato Cronico. Benche il Samoteo gli dia il principio del governo doppo la morte del Padre. In questa occasione si riunì il diviso Regno d'Italia. Crano per riverenza del vecchio Padre fù detto Giano Iuniore, di cui intese quell'Autore, che disse Ianum fuisse filium Noe, che doppo l'Impero di molti Anni, hebbe per soccessore Aurunco (altri dicono) Aurunno suo figlio; fù nell'Anno MMM.CC.LX. del Mondo. Questo diede il nome ad una famosa Colonia nel Latio: & havendo regnato anni XLIII gli succedè Moloc Tagete, & à lui doppo XLII. anni di Regno, seguì il suo figlio Sicano. Non sò determinatamente, s'al tempo di quello, che governò Anni XXX. ò pure al tempo di Enachio, ch'altretanti stette nel Regno, per loro impotenza, ò dapocagine, suscitarono quei Giganti, che crudelmente travagliarono la nostra Italia, onde al pensiero del Bardi, fondato nell'autorità di Orosio Lib. I. Cap. 7. furono forzati gl'Italiani oppressi dalle crudeltà, che dà Giganti à loro si facevano, chiamare in aiuto Osiride, da Andrea Angelo stimato figliolo del nostro Saturno, Sabatius genuit Osiris Principem Ægipti. Da Diodoro in più luoghi, Giove giusto chiamato; da altri detto Apis, così dice Strabone, Memphis Ægiptiorum Regia Apidis Templum habet, qui idem est, quod Osiris, da cui l'Italia per un tempo fu detta Apennina. Era di tanta stima questo nome Apis, appresso i Greci, che per quanto narra il Boccaccio, vi era di pena la testa à qualunque lo nominava. Questo debellato i Tiranni, sedati i rumori, e posto in pacifico stato il Regno, lo governò diec'Anni, e nel suo tempo terminò affatto, e s'estinse l'ultima scintilla del Secol d'Oro; quale pretendesi rinovato (come piace al Samoteo) nel tempo del nostro Augusto Ottaviano, Innovato est Aureum Sæculum tempore Octaviani Augusti, quando cæpit Monarchia Romanorum. Se ne ritornò Osiride in Egitto; ma prima della partenza lasciato haveva il Regno d'Italia à Lestrigone figlio di Nettuno suo fratello; e questo fù ne gl'Anni del Mondo MMM. CD. LIII.. Ed egli da Trifone a tradimento fù miserabilmente ucciso, et in più parti diviso, Osiridem Ægipto iustè regnantem (dice Diodoro) à Triphone fratre impio, atque nefario interemptum, quem ille in sex et viginti partem dissectum, etc. Fù questo empio fratricidio universalmente sentito con grandissimo dispiacere, che per farlo palese, e per manifestare il giovamento, ch'il Mondo haveva ricevuto dal saper di lui, e per haver insegnata alle genti la perfetta Agricoltura; gl'Egittij l'adorarono per Dio, ma con sembianza di Bove di varij colori, così registra Costantino Manasse, Longè verò studiosissimè inter alios cultus, Apim venerabantur, qui variis coloris Bos erat, denotando forsi la Terra, che coltivata di varij colori s'ammanta, e si riveste. Lestrigone stabilì la sua Sede in Formia, dice Plinio, ò pur Hormia, hoggi Mola in Regno; ma si fece sperimentare così crudele nel governo, che dà Greci fù detto Antropofago, che in nostra lingua suona divoratore di carne humana; perciò Hercole Libio, ò Egittio figlio di Osiride, e di Cerere (vuole il Fazello) partendo dalla Spagna nell'Anno del Mondo MMM. CD. XCVIII. e giunto nel nostro Latio, scacciò i Lestrigoni, e Tiranni, che v'havevano regnato anni in circa quarantacinque, e ne pigliò egli l'Impero assoluto, e vi edificò alcune Colonie, dandogli il suo nome, come fù frà l'altre Herculea, over Herculano, così chiamata, perchè Hercole vi sbarcò con molte Navi, come piace al Mazzella, hoggi della la Torre del Greco, vicino à Napoli. Tivoli, forse per l'istessa caggione, fù detto Herculeo, come piace al Perotti. Anzi Andrea Scotti narra, ch'era tanta l'amicitia, che li Tiburtini havevano con Hercole, che risolverono, che la loro Città fosse chiamata Herculeo. Frà Volsci ancora fù plausibilmente accettato in Sessa, per quanto dimostra Lucio Sacco Autor moderno, e edificò Sezza, come à bastanza prova il Ciammariconi Setino; à quali due Città, per quanto questi due virtuosi registrano, lasciò Hercole l'impresa del Leone, e fù avanti la venuta di Christo nostro Salvatore M. D.CC. Anni. Due Porti di Mare ancora pigliarono il nome da Hercole, uno nè Brunij, vicino à Locrensi, hoggi detta Gerace in Calabria, e l'altro nè confini della Liguria, e Toscana, al presente chiamato porto Hercole.
Qual fosse quest'Hercole, di cui si raggiona, non è facil cosa il determinarlo; perchè essendo stati nel mondo più Hercoli, come dimostra Arriano, e Pausania, anzi quaranta tre, scrive il Perotti per parere di Varrone.
Varro treis, et quadraginta Hercules nominat, si richiede in ciò altra chiarezza. E perciò è da sapere, che l'Hercole, di cui discorriamo, fù figlio di Osiride, detto Giove, e di Cerere, ò pure Alcmena figlia di Elettrione, dal cui alto valore, e famosi gesti tutti quelli che facevano prodezze non ordinarie, s'usurpavano il nome d'Hercole; così segue il Perotti, Verumtamen omnes, qui robure, et fortitudine præstiterunt, hoc nomine ab Hercule Aclmenæ filio appellato fuisse affirmant. Governò Hercole l'Italia Anni XXX. e havendo richiamato dal Tanai Tusco suo figlio havuto da Araxa e creatolo Prencipe hastato d'Italia, egli (benchè vecchio) se n'andò à i Celtiberi, e lui, doppo maravigliose fatighe di guerra, finì i suoi giorni. A questo Tusco, che diede il nome di Tuscia all'Etruria, doppo XXVII. Anni di Regno, soccedè Altheo suo figlio, in cui, doppo il governo di sett'Anni, terminò la descendenza d'Hercole à regnare assolutamente in tutta l'Italia; perche Atlante Italo, per altro nome detto Kitim, Nipote di Iapeto chiamato Atlante Mauro, e figlio di Iavano, havendo prima discacciato Hespero suo fratello dalla Spagna, s'incamminò verso l'Italia, dove similmente vi ritrovò Hespero, che n'haveva il possesso, non sò in che modo fatto soccessore d'Altheo (da questo Hespero pigliò la Spagna, e l'Italia il nome di Hesperia) ne potendo, ò pure non volendolo quì comportare, doppo la Signoria d'Undeci Anni, anco lo discacciò, e diede il nome d'Italia à questa nostra Hesperia, tanto spiega Dionisio per sentimento d'Antioco Siracusano, dicendo, Quod Regnum tandem Italo delatum, à quo mutato nomine dicti sunt Itali, e più oltre, Italia verò post nominata est à viro præpotente Italo, hunc Anthiocus Siracusanus ait, bonum, et sapientem fuisse, et propinquarum Regionum hominibus, partim oratione persuasis, partim vi coactis, totam eam terram sub iugum suum redigisse. Riferisce l'istesso Dionisio per parere di Hellanico, che l'Italia si chiamasse Vitalia, e con progresso di tempo fosse detta Italia; donde poi havesse quel nome, dice fosse per un Giovenco, ò Vitello fuggito da Hercole, e da lui in più parti cercato, onde tutta quella Regione dal Vitello scorta fù appellata Italia. Sesto Pompeo inclina in parte à questa oppinione, mentre è di senso, che l'Italia venga chiamata dalla moltitudine de Buovi, che in essa si trovano, Italia dicta, quod Magnos Italos, hoc et Boves habeat. Se bene immediatamente segue, Italia ab Italo Rege, eadem ab Attilio putatur appellata. Per lo che si discopre la commune oppinione essere, che Italo habbia dato il nome all'Italia, e la conferma Aristotile, che dice, Tradunt enim periti homines illorum locorum fuisse Italum quemdam Oenotria Regem, à quo, mutato nomine, pro Oenotriis Itali sunt vocati. E da Suida, che scrive, Iidem Latini Itali dicti à Principe quodam Italo, e fù nell'Anno del Mondo MMM.D.LXIII. conforme alle Tavole di Eusebio, che scrive Athlas frater Promothei præcipuus Astrologus, qui ob eruditionem istius disciplina etiam Cœlum sustinere affirmatus est. Ma perche il Samoteo gli dà il principio ne gl'Anni XII. di Mancaleo Duodecimo Re de gl'Assiri, ne segue, che fosse nel MMM.D.LXXIII. Di questo Atlante scrive il Pagnino le seguenti parole, Eo quippe tempore, quo Moises natus est, fuisse reperitur Athlas ille magnus Astrologus, Promothei frater, maternus avus Mercuriis Maioris, cuius nepos fuit Trimegistus ille Mercurius.
Dalle citate parole di Suida io piglio certezza, che la Provincia, dove fondò il suo Regno Atlante Italo, sia il nostro Latio. Si corrobora questo mio senso da quello che dice Beroso, quale (come dirremo più sotto) narra, che Atlante dasse Eletra sua figlia magiore per moglie à Cambo figlio di Blascone, che edificò Monte Fiascone, dice Andrea Angelo,
Alcæus genuit Blasconum, à quo Mons Flasconus, Principem Tusciæ. Restò Cambo ancor egli Prencipe de' Toscani, con nome di Corito, chiamato ancora Giano Iuniore, che osservato dal Samoteo, per dimostrare la differenza trà questo, et il primo Giano, dice, Considera unum Ianum priscum, plures verò posteriores. Da questo hebbe i suoi principii la Città di Corneto, dice Andrea Angelo, ma lo fà fratello, e non figlio di Blascone. Ne segue dunque, che in quello, come in altro tempo ancora il Principato di Toscana diviso fosse dal Latio, e si conclude, se Atlante Italo pigliò il possesso del Latio, e gli diede il suo nome, che il Latio nostro fosse il primo da lui chiamato Italia, e che i Latini i primi fossero (come dice Suida) ad esser chiamati Italiani.
Non deve dispiacere il pensiero di Fabio Pittore, qual narra c'Hespero fuggendo l'ira del fratello, fosse raccolto da Toscani, e per il suo alto valore fosse fatto Protettore, e Difensore di quel Regno, per esser Cambo ancora giovenetto.
Venendoli poi incontro Atlante colmo di furore, e di sdegno, se gli fece avanti Cambo con i suoi Toscani, et impedì il maneggio dell'Armi trà fratelli; anzi con aiuto, e conseglio oprò, ch'egli in Roma, allhora chiamata Saturnia, possedesse il Monte Aventino, e vi fabbricasse un Castello, che fù poi detto Capena, e che à questa Reggione dasse il il nome d'Italia: queste sono le parole di Fabio,
Sequens hunc Aventinus fuit habitatus ab Atlante Italo è Sicilia advecto contrà Fratrem suum Hesperum, in cuius tutela erat Etruriæ Imperium, adhuc Iano puero, et immaturo ad munera Regia, et Regni. Porrò Italus dimicare à Iano, et Etruscis prohibitus in Aventino consedit, ad cuius radices, iuxtà Tiberim, ope, atque consilio Iani Capenam oppidulum condidit, et Regionem eius permissu Italiam dixit. Morì indi à poco Hespero, et Atlante pigliò il governo di tutta l'Etruria, con la tutela ancora di Cambo, Mox Hespero fratre rebus humanis excepto, Italus in tutelam Ianum, et Etruriam. Seguita Fabio (ma notisi, che non v'aggiunge Latium, perche lo possedeva, e già si chiamava Italia) suscipiens, omnem circa Tiberim Regionem, extinctis ultrò, citròq. aliis cognominibus, à se Italiam nuncupavit.
Acquietato nè suoi pensieri Atlante, collocò in matrimonio Eletra sua primogenita à Cambo, come s'è accennato, e creò Regina del Latio, e sue Colonie Roma sua figlia minore,
Romam filiam Italus primò Subreginam Aboriginibus sacrat, dice Beroso; e Fabio, Suscepto igitur Italus Italia Imperio, tùm filiam suam Romam nomine Siculis, et Aboriginibus in Latio præfecit. Et egli se ne ritirò à governare la Toscana con Cambo, ancora giovene; anzi per schivare le moleste cure del Regno, doppo haver'egli governato XIX. Anni in circa, creò Corito Morgete suo figlio, e fù ne gl'Anni del Mondo MMM.D.XCII. così afferma il Barrio•1, Cum autem consenuisset Italus, regnavit Morges. E se il Sabellico per sentenza di Antioco Siracusano è di senso, che Morgete reggesse il Latio doppo Roma, e non la Toscana, Roma ante Morgetem regnavit; altri sono di contrario parere; perche Morgete governò la Toscana XX. Anni, et hebbe per soccessore Cambo con l'istesso titolo di Corito, che poi se gli conservò per antonomasia. Da questa Roma pigliò il nome la Trionfante Roma, che prima chiamavasi Saturnia, e perciò direi s'ingannassero per motivo di qualche passione quelli Autori citati dal Colonna•2, cioè Varrone, e Virgilio, ch'attribuirono il nome, e la prima fondatione à Romolo. Cefalone Gergitio, Apollodoro Ateniese, e Demagora, quali dissero fosse edificata da Romolo figlio d'Enea, e ne pigliasse il nome. Heraclide Lembo, o Demaste Sigeo, che vogliono da Ulisse, et Enea edificata fosse, partendo da' Molossi•3 per Italia, e la chiamassero Roma, da Roma donna Troiana. Callia Siracusano, che dona il principio ad una moglie del Rè Latino chiamata Roma. Alcinio, qual disse, che d'Enea, e Tirrenia nacque Romolo, dal quale si generò Alba, e da Alba, Romo, ch'edificò, e diede à Roma il nome. Dionisio Calcidense, ch'assegnò la fondatione à Romo figlio d'Ascanio Troiano. Antigono, che pretende ricevesse il nome da Romo figlio di Giove. E Senagora, ch'è di senso (come registra Dionisio Alicarnass.) che Roma pigliasse il nome da Romo, uno de' tre figli di Circe, et Ulisse. Come anco quelli s'ingannano, che dicono Roma fosse stata fabricata da Pelasgi, dandoli il nome di Roma per il valore mostrato nelle guerre; e quelli, che dissero Roma haver havuto il principio, et il nome da Romo Tiranno de' Latini. Aggiungo finalmente il parere di Salustio, che ne da la fondatione à Troiani, dicendo, Urbem Romam sicut accepi, condidere, atque habuere Troiani, qui Ænea Duce profugi incertis sedibus vagabantur. Da questo forse si mossero poi alcuni à chiamarla (benché falsamente) Eneipoli.
Lasciando da parte la varietà accennata di gravi Autori circa il principio di Roma, che per esser del Capo del Mondo, deve apportar stupore à chi legge, mentre fà verificare il commun Proverbio,
Quot capita, tot sententiæ. Dirò solamente, ch'io prendo dalla narrata antichità non poca maraviglia di quelli che lasciatosi trasportare dal troppo affetto, affermano che le Città fabricate da Enea, Compagni, e suoi Successori, avanti à Romolo, sieno più antiche di Roma, come con manco sode raggioni, altri avanti al tempo della suddetta Regina possono dare verace principio d'altra Città prima di Roma; mentre li primi alberghi di Giano, e di Saturno antecedenti ad ogn'altra Colonia d'Italia, sono l'istessa Roma; se però quelli non volessero intendere di Roma di sette Colli, cinta di mura, e con l'istesso nome, che questo si potrebbe concedere, ma di ciò ne lascio il pensiero, à chi la pretende; à me basta dire, che dovendo Roma esser Capo dell'universo, e per la Monarchia Temporale, e per l'Ecclesiastica, dovea esser fabricata, e fondata dal Capo del Mondo rinascente, dico da Noe.
Soccedè à Roma nel Regno del Latio Romanesso suo figlio, nel MMM.DC.XIX. Anno del mondo (questo fù figliuolo di Sicano già Rè de Celtiberi) conservò il nome di Roma alla parte del Capitolio, e dell'Aventino pigliato da Roma sua madre, e fù acclamato da Latini Aborigini col nome di Saturno, e da li à poco, havendo governato An. LXXI. morì; restando nel Regno Pico Prisco•4 suo figliolo, cosi dice l'Aldovrando•5,
Picus etiam Rex Latinorum Saturni filius, Fauni Pater, che fù il primo che del Pico uccello si servisse ne gl'Augurij; e perciò favolosamente si disse, ch'egli da Circe Maga trasmutato fosse in uccello, così notò Servio, Hoc autem ideò fingitur, quia Augur fuit, et domi habuit Picum, per quem futura noscebat, quod Pontificales indicant libri. La caggione di questa Favola l'assegna l'Aldovrando, che dice, Qui à Circe adamatus, cum spreto eius coniugio, Canentem Nimpham duxisset uxorem, ab irata Dea virga percussus, in Avem sui nominis mutatus fertur. Governò Pico LVII. e gli succedè Fauno Prisco, quale al parer di Suida, fù anco chiamato Giove. Moglie di lui fù Fatua•6, cosi chiamata da Caio Basso, dice Lattantio, perche prediceva le cose future (dice Giustino) Fauni fuit uxor nomine Fatua, quæ assiduè divino spirito impleta, velut per furorem, futura a præmonstrabat. Pomponio Leto vuole, che li fosse sorella, Fauni soror Fatua, vaticinatrix. Ma Lattantio, seguitando il parere di Giustino, vuole che li fosse moglie, e perche s'imbriacò, il Marito la battè tanto crudelmente con verghette di Mirto, che l'uccise, Fatua alii dicunt fuisse uxorem Fauni, quæ, quia contra morem, decusq. Regium clàm vini ollam ebiberat, et ebria facta erat, virgis mirtheis à viro usque ad mortem cæsa. Ma poi pentitosi della usata crudeltà, per il gran desiderio, che di lei haveva, l'adorò per Dea; e per questo mi dò à credere, che Fauno fosse stimato primo inventore del culto de' Dei nel Latio, al parer del Leto, anzi egli lo giudica il primo Rè, dicendo, Faunus omnium Regum antiquissimus in Latio fuit. Questa Fauna fù ancora chiamata la Dea Bona,della quale tanto si burla Arnobio•7, dicendo, Fauna Fatua, Fauni uxor, Bona Dea quæ dicitur, sed vino melior, et laudabilior potu. Di questo Fauno narra Plutarco, ch'egli dasse albergo ad Hercole, quando da Spagna conduceva li buovi di Gerione, ma perche il crudele soleva sagrifigare li suoi hospiti à Mercurio, di cui vanamente si reputava figlio, volendo far l'istesso d'Hercole, fù da lui ucciso. La varietà del tempo mi dà per sospetto questo racconto. Dirò quello registra Alessandro, che li ciechi Gentili stimarono questo crudele per Semideo, e li fecero sacrificij, ma di capre, Fauno quoquè Capram immolabant, quamvis semideo. Fù suo soccessore, doppo XXX. Anni di Regno, Amno Faunigena nell'Anno del Mondo MMM.DCC.LXXVII. questo possedè il Lago di Perugia, e diede per moglie à Trasimeno figlio di Tirreno, Agellina sua figlia, onde per l'avvenire questo Lago (e segue ancora) si chiamò il Lago Trasimeno. Morì Amno doppo haver regnato LIV. Anni , et hebbe il Regno Vulcano, che visse XXXVI. Anni, a cui seguitò Marte Latino, detto Giano Iuniore: e fù il quarto c'havesse havuto il nome di Giano, governò XXIII. Anni. Doppo lui, regnò Cecolo•8, chiamato Saturno Iuniore. Questo, come piace à Solino, e Vergilio, edificò nel Monte Arentino, vicino alli Popoli Gabij, la città di Preneste, hoggi detta Pelestrina, Patria di Claudio Eliano antichissimo scrittore. Città nella quale si adorava la Fortuna sfortunata•9, diceva Clitomaco per parere di Carneade Filosofo, per le Sorti vane, e sciocche, ch'ivi si facevano, come registra il Garzoni•10.
Finiti li giorni di Cecolo, pigliò possesso del Regno Pico Iuniore nel MMMCM.XXVI. che al parere d'alcuni Scrittori, diede nome al Piceno, hoggi Marca Anconitana, et alli Picenti Popoli vicini à Salerno•11. Per la morte di Pico, che occorse doppo il governo di XXXIV. Anni, pigliò la cura del Regno Fauno Iuniore suo figlio, persona molto benigna, per quello si puol argomentare dall'accoglienze cortesemente fatte da Evandro, quando lo ricevè amorosamente assieme con Carmenta sua madre, che venivano da Grecia, e gli concedè un Colle nel Latio, dove Evandro fabricò un Castello detto Pallante. Ma l'Annio vuole gli concedesse un Castello chiamato col significato di Roma, cioè Valentia,
Evandrum excepit Hospitio, et Oppidum Romam, Valentiam dictum, illi concessit. Questo Fauno fù pronipote di Marte, dice Iodoco, Faunum Pronepotem, ut dicunt, Martis, ma prima di lui l'accennò Dionisio quando disse, Fortè tum apud Aborigines Regnum à Maioribus acceptum tenebat Faunus à Marte, ut referunt, oriundus, Vir fortis, ac prudens, et Romanis post tamquam unus Indigetum sacris honoratus, et carminibus. Hebbe per moglie Marica, stimata per Dea da Minturnesi, che gli raccomandarono caldamente Mario per la prosperità della sua fortuna, mentre era perseguitato da Silla, così riferisce S. Agostino, Omitto, quod Marius à miserantibus Minturnensibus Maricæ Deæ in luco eius comendatus est. Di Marica, e Fauno nacque Latino, dice Vergilio Hunc Fauno, et Nympha genitum Laurente Marica accepimus intendendo di Latino. E perciò con poca cagione Giustino, benche forse fomentato dal parere di Suida, che dice, Thelaphus enim filius Herculis cognomento Latinus, chiamò Latino bastardo d'Hercole, con dire, che nel passaggio che per Italia fece, quando conduceva li Buovi di Gerione, come s'è accennato, violò la figliola, e ne nacque Latino, Ex filia Fauni, et Hercule, qui eodem tempore, extincto Gerione, armenta victoria præmia per Italiam ducebat, stupro conceptus Latinus procreatur, overo come ad altri piace, nato d'una Giovene, che poi à Fauno fù sposata. No sò in vero con qual caggione procuri Giustino di macchiare li Natali d'un tanto Rè, mentre li tempi di questo, e di Hercole sono cosi differenti, osservazione fatta da Dionisio, che dice, Sed hæc aliis facta sunt temporibus. Ancora Hesiodo registrato dal Vives hà variato nel dire, che Latino fosse figlio di Ulisse, e Circe, Hesiodus dicit Latinum fuisse filium Circes, et Ulissis. L'errore di Giustino si fà chiaro con Sesto Pompeo, che chiama Latino figlio di Telemaco, e di Circe, e ciò per parere di Galata Scrittore antico, qual narra, ch'egli pigliasse l'Impero doppo la morte d'Enea. Galatas scribit eum post obitum Æneæ Imperium Italiæ pervenisset ad Latinum Thelemachi, Circesq. filium. Anzi dà nome di Roma alla moglie di Latino, e pure, altri buoni Autori vogliono si chiamasse Amata. La caggione per la quale Latino sia chiamato figlio di Circe, è notata da Lattantio, che vuole Marica esser l'istessa che Circe, onde potemo affermare l'errore di Scrittori, che in vece di Fauno registrarono Ulisse. Questo Latino diede il nome alle genti del Latio, dice Suida, Eos, quì olim Cætii appellabantur, Latinos appellavit. Di questo senso è Paolo Diacono, dicendo, Regnante Latino, qui Latina correxit linguam, et Latinos de suo nomine appellavit. È dell'istesso pensiero Cassiodoro, qual dice, Latinus regnavit An. XXXII. à quo Latini sunt appellati. Et il Samoteo ancora, A quo primum Aborigines Latini dici cœperunt. Il che vien confirmato dal Genebrardo, quasi con l'istesse parole del Diacono, Filius Latinus Latinam linguam corripit, et Latinos de suo nomine appellatos relinquit. Osservo in proposito quella parola, correxit, et corripit, cioè corresse, e riformò, non dice, instituit, perche il parlar Latino non hebbe origine dal Rè, ma dalla Reggione del Latio, cosi piace à Sesto Pompeo, Latinè loqui à Latio dictum est, quæ loquutio adeò est eversa, ut vix ulla pars eius maneat innoxia. Lo conferma il Perotti, A Latio Latinus deducitur undè Latina lingua. Dal che mi faccio lecito d'argomentare non esser vero, che i Latini cosi fossero chiamati dal Rè Latino, ma ben si dal paese che habitavano, come disse Vergilio, Inferretquè Deos Latio, genus undè Latinum.
Lo confermò ancora il Sabellico con queste parole,
Latini à Latio sunt, non à Latino Aboriginum Rege. E ben vero che li Troiani cortesemente da Latino ricevuti, lasciando il primo nome, furono da questo Rè chiamati Latini, tanto piace à Dionisio, Nec ita multo post veteri appellatione, unà cum Aboriginibus à loci Rege Latini nuncupati sunt. Morì Latino nella guerra contro Turno Rè de Rutuli, non lasciò altri figli, che Lavinia già sposata ad Enea Troiano, che restò assoluto Signore del Regno de' Latini, del quale al parer di Giustino per lungo tempo ne fù capo Alba, hora Albano, Quæ trecentis Annis Caput Regni fuit. E lo conferma il Floro, dicendo, Alba tun erat Latio Caput. Città, ch'al sentimento di Solino, fù fondata da Ascanio assieme con Fidena et Anzo. Enea visse nel Regno III. Anni, à cui succedè Ascanio, che doppo haver regnato XXXVIII. An. non havendo figli, lasciò (dice Servio) à Silvio Postumo il Regno, per essergli fratello, figlio di Lavinia, Ascanius sine liberis reliquit Silvio Postumo Regnum Albæ. Doppo soccessivamente regnarono Enea Silvio, Latino Silvio, Alba Silvio, Athi, ò pure Epito Silvio, Capi Silvio, Capeto Silvio, Tiberino Silvio, che diede nome al Tevere, prima Albula detto, Agrippa Silvio, Arenulo, ò Aremulo, ò pure Romulo Silvio, Aventino Silvio, Proca Silvio, Amulio, e Numitore Silvij Fratelli, e Zij di Romolo, e Remo, quali questi furono Rè de Latini, come registrano gravi Autori, Greci, e Latini.


Note

1↑   Gabriele Barrio (1506-1577) fu uno storico ed umanista originario di Francica in Calabria. Sacerdote appartenente all'ordine mendicante dei Minimi o Paolotti, fu autore della prima storia della Calabria nell'opera De antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque pubblicata nel 1571.
2↑   Gerolamo Colonna (1534-1586), appartenente al ramo napoletano della nobile casata dei Colonna, fu autore di una raccolta dei frammenti del poeta romano Ennio dal titolo Q. Ennii poetae vetustissimi quae supersunt fragmenta ab Hieronimo Columna conquisita, disposita et explicata, ad Ioannem filium, e pubblicata postuma dal figlio Giovanni nel 1590.
3↑   Popolazione di origine greca, stanziata a nord dell'Epiro; secondo la mitologia greca erano discendenti di Molosso, figlio di Neottolemo, uno dei figli di Achille. Dopo la guerra di Troia, Neottolemo si recò nell'Epiro, dove decise di dimorarvi dopo aver scacciato le tribù barbare verso nord.
4↑   Secondo la mitologia romana, Pico fu uno dei primi sovrani del Lazio, e fondatore di Alba Longa e Laurentum. In una versione della sua storia narrata da Virgilio, durante una partita di caccia sul monte Circeo fu visto dalla maga Circe che se ne innnamorò, ma vedendosi rifiutata costei lo trasformò in un picchio.
5↑   Ulisse Aldovrandi (1522-1605) fu un celebre naturalista bolognese, autore di diverse opere e trattati sugli animali, tra cui un Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII pubblicato nel 1599 ed a cui fa riferimento il Teoli.
6↑   Fatua, nota anche con il nome di Fauna o Fenta Fauna era nella mitologia romana identificata come la controparte femminile del dio Fauno, e per questo a volte considerata come sua consorte o sorella. Così come Fauno prediceva agli uomini il loro destino, o fata, lo stesso Fatua fsceva per le donne; il nome di queste divinità viene infatti dal latino fari (parlare).
7↑   Con lo scopo di convincere il proprio vescovo in merito alla sincerità della sua conversione, il retore pagano Arnobio scrisse nel IV secolo un'opera dal titolo Contra gentes, nel quale si scaglia contro tutti i culti pagani mettendoli in ridicolo.
8↑   Ceculo, narra Virgilio, fu figlio di Vulcano, e così chiamato perchè trovato in fasce presso alcuni fuochi che gli tolsero la vista.
9↑   Ci si riferisce al celebre e bellissimo Tempio della Fortuna Primigenia costruito intorno al II secolo a.C. sulle pendici del Monte Ginestro, presso Palestrina.
10↑   Tommaso Garzoni (1549-1589) fu autore cinquecentesco di opere enciclopediche molto apprezzate in tutta Europa, tra le quali La piazza universale di tutte le professioni del mondo pubblicata a Venezia nel 1585, ed a cui fa riferimento il Teoli.
11↑   Nonostante il fraintendimento rispetto alla comune origine mitologica, il Teoli si dimostra un attento conoscitore delle migrazioni e degli spostamenti degli antichi popoli italici dell'Italia centrale. In questo caso l'autore è a conoscenza del fatto che la popolazione dei Picentini, deportata dai Romani in Campania, dove fondarono la colonia romana di Picentia, fosse originaria del popolo dei Picenti, che abitavano la regione denominata Picenum, comprendente gran parte delle Marche e dell'Abruzzo meridionale.


Del Regno de’ Volsci.
Cap. III.


Cinque furono li Popoli principali, c’habitarono il nostro famoso Latio, Latini, cioè, Equi, Hernici, Rutuli, e Volsci: lasciando da parte gl’Aborigini, i Pelasgi, i Siculi, gl’Ausoni, & altre genti, che di quà dal Tevere procurarono di dimorare, e trà li detti cinque, gli più antichi dirrei (eccettuando i Latini) fussero i nostri Volsci. Perchè al tempo di Saturno Cecolo nell’Anno Sesto del suo Impero, era Re de Toscani Osco, le cui genti dal proprio Signore, che portava per impresa un Serpente, detto Oscorzone•1; furono chiamati Osci, e fù ne gl’Anni del Mondo MMM. DCCC. XC.. Questo Osco, vogliono alcuni, che stasse nella Provenza, alle sponde del fiume Rodano, dove hora è Avignone: ma Manethone nel supplemento à Beroso, afferma che regnasse nella Toscana; ecco le sue parole, Apud Turrenos regnat Oscus, cuius insigne fuit Serpens. Hic ex Vetulonia multas Colonias seminavit. L’istesso conferma l’Alberti, & il Valeriano•2, che con il fondamento di Manethone dice Oscum, qui Tyrrenis imperavit, insigne Serpentis habuisse constat. Oscum Ægiptiorum more Serpentis insigne gestasse, & Oscos eius Colonos inde nuncupatos. Giunsero questi Popoli fino à Capua, & ad altri luoghi convicini, gl’habitatori de’ quali furono poi chiamati Osci, e quelli, che restarono nel nostro Latio antico più vicino à Roma, furono detti Volosci, e per sincope Volsci, cioè antichi Osci; perchè quella sillaba Vol, non significa che antico. Da questo Osco cominciò la scissura del nostro Latio, che con diversi Reggi, quand’hebbe uniti i suoi Popoli, fece sudar la fronte ad altro caldo, che di Sole, e sbattere più volte i denti ad altro freddo, che di Borea, à Roma crescente. Resta pur hoggi il nome della prima Colonia fabricata, ò habitata da Volsci, e se ne vedono li vestigi d’antiche rovine sotto le vigne di Sonnino, passato il celebre Monastero di Fossanova, e chiamasi per ancora senza sincope Volosca.
Chi fosse il primo Rè de’ Volsci, io non hò letto Autore, ch’apertamente lo dica, se però non vogliamo dire, che fosse l’istesso Osco, c’havendo lasciato il Regno d’Etruria à Tarcone Secondo nel MMMCM. XXX. del Mondo, doppo haver egli regnato XXXIV. Anni, se ne venne nel nostro Latio, e pigliando possesso delle Colonie, cominciò nuovo Impero nel Quarto Anno di Pico Iuniore e XCI. An. avanti la morte di Rè Latino, che fù nel MMMM. XXI. come si cava da Eusebio. Non hò trovato ne anco chi fosse figlio di Osco, e suo soccessore nel Regno de' Volsci. Da Scrittori antichi non si registra, che Metabo padre di Camilla, onde mi sarà lecito argomentare non esservi stato altro Rè intermedio; perchè con gl'anni, che regnò nel Latio Osco, con quelli, che regnò Metabo, qual morì vecchio e con quelli di Camilla, che doppo la morte del Padre, morì senza figli nella guerra contro Enea nel Anno MMMM. XXI. si puol far giusto computo di XCI. Anno di Regno.
Morì Camilla Regina, e Guerriera in difesa di Turno Rè de Rutuli per le mani di un Arunte Troiano, con quelle lodi, che li sono date da più saggi Scrittori, e antichi, e moderni; per la cui morte, tutto il Regno de' Latini, e de Volsci restò sotto l'Impero d'Enea, e suoi successori registrati nel precedente Capitolo. E ben vero, che doppo alquanti Secoli, molte Città del Latio si ridussero il libertà di Republica, non sò se Democratica, ò Aristocratica, come si scorge per le Guerre fatte contro Romani, registrate da Livio, Dionisio, e altri Autori gravi, tanto Greci, quanto Latini; nulladimeno se si vuole prestar credenza à quello che scrive Plutarco nella vita di Cicerone, dove discorre della vita di questo gran Padre della Romana eloquenza, si deve asserire, che non ostante la morte della Regina Camilla vergine, e senza heredi, continovassero ancora i Rè de' popoli Volsci; ma doppo qualche intervallo di tempo. Perche apportando quest'Autore l'oppinione di alcuni, circa li principij, e natali di Cicerone, riferisce esservi stati di quelli, ch'asserivano egli pigliasse origine, e descendenza da Tullio Appio Illustre Rè de Volsci,
Alÿ genus eius ad Tullum Appium referunt clarum Volscorum Regem. E se ben Sesto Aurelio vuole, che Cicerone sia descendente dal sangue de' Rè Sabini, dicendo, Genus à Tito Tatio Rege duxit, con tutto ciò Eutropio è del parer di Plutarco, e dice, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia nomine, Patre Equestris Ordines ex Regio Volscorum Genere. E lo conferma Eusebio con l'istesse parole, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia, Patre Equestris Ordinis ex Regio Volscorum sanguine. Onde si scorge, che doppo la morte della Regina Guerriera, continovassero i Rè di Volsci, se non per soccessione, almeno per particolare invasione: non sò se quell'Appio Tullio nominato da Plutarco, sia quello sì famoso Capitano de' Volsci, che guerreggiando valorosamente contro Romani, ricevè à danni di quelli Gneo Martio Coriolano, il quale dall'istesso vien chiamato Tullio Ansidio, e da Tito Livio, Accio Tullo.


Note

1↑   Lo scorzone o biacco (nome scientifico Hierophis viridiflavus) è un serpente non velenoso di colore nero e dalla testa piatta, questo nome anticamente stava ad indicare anche la più comune vipera.
2↑   Giovanni dalle Fosse (presudonimo Pierio Valeriano Bolzanio) (1477-1558), fu umanista e teologo, autore di un De Serpentibus Opus Singulare al cui libro XV fa riferimento il Teoli.


Quali fossero le Città, e Terre de' Volsci.
Cap. IV.



PAGINA     IN     COSTRUZIONE


Il sommo Monarca Dio, per dare à divedere à pazzi mortali, che tutte le cose create sono manchevoli, e che egli è solamente immutabile, hà fatto provare con chiara esperienza, che le cose più stabili del Mondo habbino havuta repentina mutatione, come s'è veduto nelle Città, Provincie, Regni, Imperij, e Monarchie; e perciò niuno dovrà maravigliarsi quando da buoni Autori si sentono registrare cose, de loro tempi che à nostri giorni non se ne sentono ne pure i nomi; onde perdono quella credenza, che ragionevolmente le si deve. Hà sperimentato il nostro Latio con tutte le genti in esso racchiuse, l'incostanza del proprio Regno, in tanto che Plinio dice, che Cinquantatre Popoli, e per consequenza Cinquantatre trà Città, e Terre, sono restati estinti, Ita ex antiquo Latio quinquaginta tres Populi interiere sine vestigiis, ne pur l'ombra ve n'è restata. E nella Palude Pontina, cominciando dal Monte Circeio alla costiera del mare vi erano vintitre Città Illustri, et apporta l'autorità di Licinio Mutiano, huomo di credito, per esser stato tre volte Console, A Circeiis Palus Pontina est, quem locum vigintitrium Urbium fuisse Mutianus Consul prodidit. Onde è di concludersi, che la Regione del Latio posseduta da Volsci, sia scemata de Colonie, e d'habitatori. perchè come dice Pomponio Mela, questo nostro Regno de Volsci terminava con i Marsi, Capuani, Sedicini, e Aricini. Non doverà dunque il Lettore restar maravigliato, se non haverà quella contezza di ciò, che potrebbe desiderare, perchè parte de' luoghi sono destrutti, parte n'hanno mutato il nome, e tutti hanno dato saggio, che tutte le cose sono deficienti, eccetto Dio. Sappia il Lettore, che nel descrivere le Città di questo Regno, io hò voluto usar brevità, e perciò in compendio hò scritto quanto hò trovato in Livio, Dionisio, Plinio, Strabone, Solino, Frontino e altri antichi Scrittori, quali si citaranno conforme al bisogno. Cominciando con ordine Alfabetico; prima Città de' Volsci si chiamava Amiela, differenta dalla Patria di Castore, e Polluce, posta vicino à Terracina, habitata già da Laconi; ma perchè seguitavano la Setta Pitagorica, il cui insegnamento era, che non s'uccidessero Animali di qualunque sorte: furono tanto stretti osservatori di così falsa dottrina, che si lasciarono da serpenti, che ve n'erano in grandissima copia moltiplicati, mordere, avvelenare, e uccidere, onde la Città ne restò destrutta, e Plinio disse, Amiela à serpentibus deleta. Altri però dicono altramente, cioè, che il precetto di tacere lo strepito dell'armi nemiche, quale apportava spavento, e timore à Cittadini, fù caggione, che li nemici l'assalissero, e distruggessero: quindi Silio Italico disse, Evertere Silentia Amielæ e ne nacque quel Proverbio, Loqui volo, nam scio Amielas tacendo periisse. Ansure, per altro nome detta Terracina, e Trachina, per dove scorre il fiume Ufente, dice Vibio Sequestro, Ufens Terracinæ proximus. Questa Città fù presa in giorno di festa da Fabio Ambusto per mancanza di Sentinella, ò Guardia; ma con molto fastidio, per la fortezza del sito: se ben poco doppo, ritrovandosi le Guardie de' Romani più intente à negotij mercantili, che ad esercitij militari, e ricettando liberamente i Mercanti Volsci, che certo à tal fine moltiplicavano, furono le Sentinelle ingannate, e li soldati oppressi. E' stata Città celebre, e come dice il Mazzella, edificata da Ansure figlio di Giove Belo, à cui si facevano sacrificij, anzi fù detta Anxur, dall'istesso, che ivi fanciullo, e sbarbato si adorava. Anzo, Città già distrutta, fù presa da Tito Quintio Console nel Cons. XXXIX. ma per assedio: perchè havendo li Volsci ricevuta una gran rotta, et essendosi ritirati in Anzo, furono subito assediati, et alla fine si resero à Romani, che la fecero Colonia. Fù presa un'altra volta da Camillo, li furono tolte le Navi, parte de' quali restarono abruggiate, e parte condotte in Roma, e de gli Rostri, ò vogliamo dire Speroni, se n'ardornarono le Loggie Capitoline, onde pigliarono il nome de Rostri. Se ne vedono le rovine lacrimevoli, et il famoso Porto ripieno, delle quali se ne fabricò un Castello, hoggi detto Nettuno, con Fortezza per impedimento à Corsari, e buona parte del sito è posseduto dal nostro Convento di S. Bartolomeo. Apiola1, quale per parere di Valerio Antiate fù presa da Tarqinio Rè, e delle rovine di essa ne fabricò il superbo Capitolio Seggio de' Trionfanti, della quale, oltre à Messala Corvino, dice Strabone, Apiola Urbs, quam Tarquinius Priscus delevit. Aquino, fù una Città grande, così chiamata da Strabone, Aquinum Urbs Magna. Fù fatta Colonia dalli Triumviri, così dice Frontino, Aquinum muro ductam, à Triumviris deductam. In questa Città fù come essiliato Dolabella, riferisce Tacito, Sepositus, per tres dies Cornelius Dolabella in Coloniam Aquinatem, dove ancora fu ucciso, Occidi Dolabellam iuissit, quem in Coloniam Aquinatem sepositum ab Othone retulimus; e se bene al presente questa Città è quasi distrutta; nulladimeno è celebre per li natali del Glorioso S. Tomasso Dottor Angelico, di cui disse il Flaminio, In praelcara Patria, in vetusta, et primaria Volscorum Urbem Aquino, ex clarissimis Parentibus, iisque Principibus, è quibus etiam Mater, duorum Regum Sicilia vidilicet, et Aragoniæ Matertera fuerat, magnus hic Doctor natus est. Qui, quantus, etc. Arce, dalla quale piglia il nome la Villa di Cicerone, chiamata Arcano, e ne scrisse à Quinto suo fratello, dicendo In Arcano fui, ibi Massidiam cum Polixeno, aquamque, quam ii ducebant, non longè à Villa bellè fanè fluentem vidi. Ne habbiamo di ciò il rincontro, perchè nel Martirologio Romano vi stà, Arcani in Latio con la festa di S.Eleuterio Martire per li 14.d'Ottobre; uno de' quali stà non molto distante da Arce, e l'altro dentro la Rocca, onde ragionevolmente si doveva dire, che Arcano sia l'istessa Terra d'Arce. Arpino, Patria di persone insigni, come di Caio Mario, che fù sette volte Console, e di Cicerone, di cui, come si è registrato di sopra, disse Eusebio, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia, Patre Hequestris Ordinis. E Giovenale Arpinas alius Volscorum in monte solebat. Fù luogo Municipale, riferisce Sesto Pompeo, e vicino vi stava il vico detto Cerreatone, del quale fa mentione Plutarco nella Vita di Mario. Artena, Città poco lontana da Ferentino, fù presa nel Cons. LXXXIV. essendo Console Gneo Pompeo Cosso, e Lucio Furio Medullino. Restava però intatta la Rocca, e li Romani partivano confusi, e senza vittoria, se un Servo traditore non la dava in mano de nemici, che la combattevano. Allura, Castello così chiamato dal Fiume, che vi passa vicino, dove furono rotti, e disfatti da Caio Menenio Console gl'Esserciti de gl'Aricini, Lanuvini e Veliterni. Il Castello è distrutto; non vi è altro che una Torre alla costiera del Mare, e nella quale continovamente vi si mantengono Guardie per li Corsari. E loco in vero memorando per la presa, e morte di Cicerone datali dal monstro d'ingratitudine Popilio Lenate, dice Plutarco. E per la prigionia di Corradino figliolo di Henrico, e Nipote di Federico Secondo Imperatori, che vi era fuggito col Duca d'Austria; tanto nota l'Alberti. Atina Città potente, quest'encomio li è dato da Vergilio, Atina potens, Tiburque Superbum E Valerio Martiale disse, Quo Cive prisco gloriatur Atina Fù Colonia di Romani fatta da Claudio Nerone, narra Frontino, ma col titolo di Prefettura, disse Cicerone nell'Oratione Pro Cn. Planco, di cui intendeva, quando scrisse, Hic est è Prefectura Atinate. Aurunca, li cui Popoli assalirono il Contado Romano con subita scorreria, per il che senza dimora fù fatto Dittatore Lucio Furio, e ne restò vincitore; e delle spoglie se ne fabricò per Voto un superbo Tempio à Giunone Moneta: questo fù nel Cons. CVIII. essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino. Da questa Città fece partenza Dardano quando, doppo la morte di Iasio suo fratello, andò nella Frigia, come si dirà altrove. E annoverata questa Città tra Latini, ma l'haver havuto i suoi habitatori rifugio, e ricovero in Sessa Città Volsca, e datoli per qualche il Nome, mi fa scrivere, che di sicuro fosse ancor'ella Città Volsca. Cassino, ò pure Monte Cassino, vicino dove stava la Villa di Marco Terrentio nominata da Varrone, e da Cicerone, come registra il Cluerio, dove hà li suoi principij il Fiume Scatebra. Alla radice di questo Monte hora si trova situata la Città di San Germano in Regno. Varrone è di parere, che Cassino sia stato edificato dà Sabini, & il suo Nome venga derivato da Casco, che significa antico. Fù fatta Colonia nella sconfitta de' Sanniti da Lucio Papirio Cursore, e Caio Giunio Bubulco Consoli. Cenone, quale fù pigliato da Tito Numitio Prisco, essendo Console nel Cons. XXXVIII. Non ardì egli assalire Anzo Città ben munita, e forte; e perciò isfogò il suo sdegno contro questa Terra vicina, ma non fù ritrovata molto ricca, come li Romani si pensavano. Circeio Città piccola, posta in un Promontorio, ò vogliamo dire Isola, dell'istesso nome, hora detto Monte Circello, quale, come narra Clitarco, circondava dieci miglia; e v'habitava Circe Maga, reputata figlia del Sole, per la cognitione, c'haveva della virtù delle Piante , & Herbe, che in quel Monte nascevano. Da questa Città Gneo Martio Coriolano discacciò li Romani, che vi stavano condotti da Tarquinio Superbo. Doppo molto tempo sopra le sue rovine fù fabricata una Fortezza, che talvolta fù sicuro ricovero à Sommi Pontefici, particolarmente à Gelasio Secondo. Al presente vi stà un Castello de i Signori Caetani, chiamato Santa Felice. Clostra fù un Castello, di cui fà mentione Plinio, e stava vicino alla bocca del fiume Ninfeo, cosi dice il Cluerio, Clostra propè Ostium fuere Nimphei fluvÿ. Cora chiamata Città da Servio, della quale fa mentione Giulio Ossequente, e la chiama Caura, narrando che dal suo seno scaturissero rivi di sangue, Appio Claudio, & Publio Metello Consulibus, Cauræ sanguinis rivi e terra fluxerunt. Plinio la registra edificata da Dardano Troiano: non intendo però per questo Dardano il fratello di Iasio, perchè (accostandomi per adesso al parer del Poeta) con poca accortezza haverebbe detto Vergilio, che Anchise mostrasse ad Enea suo figlio frà le future Città, che fabricar dovevano i suoi Troiani, e successori, e vi fosse anche Cora, dicendo, Hi tibi Nomentum, & Gabies, Urbemque Fidenam, Hi Collatinas imponent montibus arces, Pometios, Castrumq. Inui, Bolamq. Coramq. Hac tum nomina erunt, nunc sunt sine nomine terra. E perciò questo Poeta vuole che Cora sia stata edificata da Corace fratello di Fiburte, e di Catillo figlioli d'un altro Catillo, nipoti d'Amfiarao, pronipoti d'Oicleo descendenti da Giove; ma di questo ne trattaremo altrove con maggior chiarezza. Li Corani assieme con li Popoli di Pometia, benche Colonie de' Romani, s'unirono con gl'Aurunci, e perciò li Romani, essendo Consoli Agrippa Menenio, e Publio Postumio fecero guerra contro detti Aurunci, & al fine si ridusse à Pometia con vittoria de Romani. Da questo Agrippa Menenio, e per l'istessa speditione si fabricò, e chiamò il Ponte Menenio, hoggi detto Ponte Menello nella via Appia, dove il Tenente Francesco Cinelli hà un delitiosa Villa. Un'altra volta, che li Romani s'inasprirono contro Volsci, pigliarono per Ostaggi Trecento teste libere de principali Corani, e Pometini: Hæc ita Consules in Volscum agrum Legiones duxerunt, Volscos consilȳ non metuentes, nec opinata res perculit; armorum immemores obsides dant CCC. Principum à Cora, atque Pometia liberos, tanto narra Livio. Fù poi desolata Cora nel tempo de primi Imperatori, che fù motivo à Propertio di scrivere: Ultima præda Nomentum, & capta iugera terna Cora. E Lucano assomigliò la rovina di Cora à quella de' Gabij, e de' Veij, dicendo, Tunc omne Latinum Fabula nomen erit Gabios, Veiosq. Coramque Pulvere vix tecta poterunt mostrare ruinæ di presente si ritrova in piedi sotto la giurisditione del Senato Romano, e del Vescovato Veliterno. Corbione, questa Città, par che si debba annoverare, con Dionisio, piu tosto trà gl'Equi, che trà Volsci, per la quale detti Equi tanto guerreggiarono, onde ne furono mandati sotto il Giogo dal Dittatore Lucio Quinto Cincinnato. Li Popoli di Corbione, se bene s'erano dati à Romani, con tutto ciò nel Consol. L. fù la Guardia Romana assalita di notte da gl'Equi, e facilmente la ricuperarono; ma da Marco Horatio Pulvillo Console fù presa di nuovo, combattendo essa ferocemente in Algido, hora Rocca di Papa; alla fine fù disfatta dà Romani. Io l'hò posta trà le Città de' Volsci, perche fù ricuperata da Gneo Martio Coriolano Capitano de' Volsci. Coriolo2, Città non solamente buonissima, ma ricchissima; perche dalle parole d'Eutropio, Etiam Coriolos Civitatem, quam habebant Optimam, perdiderunt, altri leggono Opimam. Fù presa nel Cons. XVI. dal suddetto Gneo Martio nobile Cavalier Romano, dalla quale pigliò il nome di Coriolano; ma perche fù fatto esule dalla Patria à voto della Plebe, devenuto Capitano de' Volsci, ripigliò questa, & altre Città; insieme, e se la Pietà Materna non lo raffrenava Roma, che gravemente teneva astretta, pigliava ancora; tornando poi trà Volsci, dicono alcuni, fosse da gli medesimi ucciso; ma il Sabellico per parere di Fabio Pittore dice, che egli morisse vecchio, Eum in exilio consenuisse prodidit Fabius Pictor. L'istesso pure afferma il Zonara. Di questa Città non ve n'è vestiggio alcuno; confinava con Aricia, & Ardea, come si cava per il suo Contado pigliato nelle passate Guerre, e preteso dalle due accennate Città. Eggetra, ovvero Eccetra, mi persuado fosse dove hora stà posto Monte Fortino de' Signori Borghesi, ò poco lontano, almeno; perche quando li Tribuni mandarono, ò condussero due poderosi Esserciti contro Volsci, dice Livio, che Spurio Furio, e Marco Horatio andarono ad Anzo verso la Marina, e Quinto Servilio, e Lucio Geganio à man sinistra verso Eccetra, e prima nel lib. 4. narrando un fatto d'armi passato trà Romani, e Volsci, dice che, fù inter Ferentinum, & Eccetras, che di già era stata saccheggiata da Fabio Ambusto. Fabratera, li di cui Popoli fecero ricorso à Romani per particolar ambasciaria, acciò li volessero difendere dall'incursione de' Sanniti. Di presente si chiama Falvatera, ne fece mentione Cicerone con queste parole, Nam & Aquini, Fabrateria consilia sunt inita de me. Ferentino, se bene da molti è posta trà gl'Hernici, con tutto ciò era della Natione Volsca, come asserisce Livio, che narrando nel Cons. LXXXIV. le caggioni, ch'apportavano gl'Antiati per sollevare tutta la natione Volsca contro Romani, riferisce, che dicevano, la destruttione de Verruggine, e l'haver tolta à loro la Città di Ferentino, e data à gl'Hernici, Sed Ferentinum etiam de se captum Hernicis donasse, l'istesso conferma il Glareano. La presa accennata fù nel Cons. LXXX. essendo Consoli Aulo Cornelio Corso, e L. Furio Medullino, ma doppo tredic'Anni, perche gl'Hernici erano divenuti nemici à Romani, fù presa dà Consoli Lucio Sulpitio, e Caio Licinio Calvo. Si dimostrò Città generosa, che non curando la Cittadinanza Romana, volse star ferma nelle sue antiche Leggi. Freggelle era Città insigne, e principale de' Volsci, dal Floro chiamata Gesoriaco, Fregellæ, quod Gesoriacum, egli scrive; e da Iornande, Cesarea. Strabone la chiamò Città famosa, dicendo Fregellæ nunc vicus, olim Urbs celebris, multarumquè iam dictarum Caput. Vi s'adorava la Dea Bona, come si cava dalla seguente Memoria ritrovata trà le sue rovine, e registrata dal Grutero. BONAE DEAE SANCTAE SACR. VOTO SVSC. MERITO LIBENS. TERRENTIA THALLVSA FECIT Fù fatta Colonia nel Cons. CXXIV. essendo Console Publio Plautio Proculo, e L.Cornelio Scapula; se bene Giulio Ossequente afferma fosse distrutta, e dice, che il secondo Console fosse Marco Fulvio, Publio Plautio, & Marco Fulvio Consulibus, Fregellæ, quæ adversus Romanos coniuraverant, diruta. Questa è stata una Città sfortunata per li disastri havuti; perchè à Volsci fù dà Sanniti tolta, e disfatta, doppo dà Romani ristaurata; non molto tempo doppo da' medesimi Sanniti con l'aiuto de Satricani ripigliata con inganno. Combattevano valorosamente i Fregellani notte, e giorno, perche si guerreggiava per le cose sagre, e per li Dei; intanto che le donne fatte coraggiose, e martiali, assieme con l'altre persone inutili, combattevano dalle fenestre; quando la falsa voce d'un banditore, che proclamò la depositione dell'armi, à chi voleva esser salvo, fece render la Città soggetta alla crudeltà de' nemici, senza che à pertinaci giovasse la resistenza, & il valore. Era di tanta stima questa Città, che Valerio Massimo narra, che Lucio Opimio, per haverla soggettata à Romani, domandò il Trionfo, Lucius Opimius, Fregellanis ad deditionem compulsis, triumphandi potestatem à Senatu petÿt. Alcuni vogliono fosse dove hora stà Ciprano, tanto accenna il Cluerio; ma il Biondo vuol che fosse dove di presente è Pontecorvo, & il Volaterrano è di pensiero che fosse ivi vicino, Fregellæ nunc, sive ex sive eius ruinis Pontes Curvus Oppidum existimatur. Et il Sigonio il modo del nuovo nome, dicendo, Rodoaldus Gastaldio Aquinas Castrum apud Pontem Curvum construxit, quod ab eo Pontem Curvum, quo in loco Fregellæ quondam inclita Romanorum Colonia fuit. Fu ancora Patria di quel Marco Sestilio, che rispose per le Diecedotto Colone, quali promisero aiuto à Romani, e di Lucio Papirio celebre Oratore. Frusinone ancora era Città de Volsci, come si trova in Livio, qual riferisce, ch'essendo Consoli Lucio Genutio, e Sergio Cornelio, furono castigati li Frusinati, perche havevano sollevati gl'Hernici contro Romani, Frusinates tertia parte agri damnati, quod Hernicos ab eis sollicitatos contemptum'. Alcuni vogliono, che fosse questa Città espugnata, & il loro Campo venduto; ma Frontino è di parere fosse il Campo assegnato à Soldati veterani, Frusino Oppidum muro ductum, ager eius veteranis est adsignatus. E celebre hora quella Città per esser luogo di Tribunale della Provincia di Campagna, ma più per li due Sommi Pontefici, e Santi Martiri Hormisda, e Silverio. Fucino, se da Plinio vien posto trà Popoli Marsi, da Livio è computato tra le Città Volsche; perchè essendo stato ceato Dittatore Publio Cornelio, doppo la rotta d'Anzo, riferisce Livio il fatto dicendo, Victor Exercitus depopulatus Volscum agrum Castellum ad Lacum Fucinii vi expugnatum, atque in eo tria millia hominus capta, cateris Volscis intra mœnia compulsis, nec defendentibus agros. Vien confermato dal Glareano con queste parole, intendendo de Fucino, Livius in Volscis ponit. Gabij Città edificata da Galatio, e Bio fratelli Siculi, scrive Solino; alcuni vogliono che sia dove hora è Zagarolo, altri Galicano; ma Giovanni Gobellino è di parere, che questa Città fosse dove è hora si stà Cave. Fù Città in vero celebre, presa da Tarquinio Superbo, ma per inganno di Sesto Tarquinio suo figlio, che finse esser fugitivo dal Padre. Che questa Città fosse de Volsci, lo asserisce il Godelveio, dicendo, Gabios Volscorum Urbem septuaginta millibus passuum ab Urbe sitam, Vergilio è di pensiero, che sia stata questa Città edificata da' descendenti d'Enea. Interanna, hoggi chiamata l'Isola di Sora, cosiddetta, perchè stà in mezzo à due fiumi; questa Terra fù nel Consolato CLIV. combattuta da Sanniti, ma non riuscendoli l'impresa, saccheggiarono il Contado; ne fa mentione Cicerone quando dice, Cassino salutatum veniebant, Aquino, Interamna. Vi stava un Castello vicino chiamato Succusano; quindi disse Plinio, Interamnates Succusani, qui et Lirinates vocantur". Lanuvio, viene annoverato trà le Città Volsche, è però differente da Lavinio, come si deduce da più luoghi di Livio, e d'altri Autori. Era posseduta da Romani, ma fù poi ricuperata da Coriolano nel Cons. XVII. E stata honorata dalli natali di due Imperatori Antonino Pio, e Commodo Antonino. Alcuni pensano, che fosse dove hoggi si vedono le rovinde d'un Castello disfatto chiamato San Genaro. Lautula era un Castello vicino à Terracina trà il Monte, e il Mare, dove si fermò quella Compagnia de' Soldati, che si licentiarono da Capoa, essendo Console Caio Martio Rutilio: qual Compagnia, ò vogliamo dire Essercito senza Capo, se ne scorse senz'ordine à predare, e saccheggiare il Contado d'Albano. Longola3, sin dove furono perseguitati gl'Antiati da Postumio Cominio, essendo Console. Volendo li Longolari far fronte à nemici, uscriono fuora coraggiosamente, ma, come scrive Dionisio, furono forzati à ritirarsi dentro le mura: è pensiero fosse trà Anzo e Ardea. La ripigliò Coriolano per li Volsci: di presente non se ne vedono ne anco li vestiggi. Metio latinamente Ad Metium, non molto distante da Lanuvio, Non procul à Lanuvio Ad Metium is locus dicitur, Castra oppugnave est adorsus, dice Livio. Fù per il fuoco dato dato à ripari presa, e saccheggiata da Furio Camillo Dittatore, poco avanti repigliasse Sutri dalle mani de Toscani. Credeno fosse dove al presente dicono la Castella: luogo prima chiamato Castel Muzzo, come per un Instromento di Feudo fatto da Leone Vescovo Veliterno ad un certo Demetrio Console, e Capitano, sotto Marino Secondo, detto Iuniore Sommo Pontefice. Ma Diodoro Siculo lo chiama Ad Martium dicendo Volsci Bellum ipsis moverunt, Tribuni igitur Consulares delectu Militum, et copiis in apertum deductis, Ad Martium quod vocant. Castra posuere CG. ab Roma Maciis. E Plutarco narrando quell'istesso di Livio, e Diodoro, lo chiama parimente Ad Martium, dicendo, Dictator tertium Camillus dictus Legiones cum Tribunis Militum à Latinis, et Volscis obsideri, delectum habere non iuniorum solum, sed maiorum natu quoque coactus est, ac longo flexu Martium Monte exercitum circumducto, Castra à tergo hostium clam est metatus. Il Cluerio vuole, che il Colle Martio fosse vicino à Velletri, onde mi dò à credere, che sia il Colle dei Magnafichi, detto hoggi Colle di Marmi, distante dal preteso Lanuvio mezzo miglio, nel quale si trovano bellissime Antichità. Mezze in Latino dette, Ad Medias, era un Castello de' Volsci posto trà il Foro Appio, e Terracina, come si cava dall'Itinerario Gerosolimitano. Mucamite, dal Sigonio detto Ulcamite, questa Città hebbe la medesima fortuna, et nell'istesso tempo, che Longola, avanti alla presa di Coriolo, non ve n'è minimo vestigio, ne hò potuto trovarne altra memoria. Norba, di presente Norma chiamata, fù fatta dalle prime Colonie de Romani con Velletri, scrive il Flavio, Dehinc Velitras, et Norbam in Pontino ex primis Coloniis. Fù Fortezza de Volsci, e perche riguardava verso il mare, stando posta in un Monte, li Romani la stimarono come Rocca in difesa della Città di Pontia. Fù nel Cons. CXI. saccheggiata con subita scorreria da' Pipernesi. Piperno, ò Priverno, per dove scorre il fiume Amaseno, cosi conferma Vibio Sequestro dicendo, Amasenus Privernatium, Città insigne, amica di Velletri, Patria di Camilla Regina, e valorosa Guerriera; la di cui Historia ha scritta il Padre Teodoro Valle Domenicano Privernate, nella quale si contengono cose molto honorevoli per la Patria, estratte da varij Autori, perciò nel far mentione di questa Città io non mi diffondo, anzi lascio sotto silenzio le sue grandezze. Polustia, cosi chiamata da Dionisio, è posta vicino à Longola, di cui scrisse, Duxit Polustiam non procul à Longula dissitam. Dal Sidonio è detta Polusca, Adduxit autem Exercitum ad alteram Civitatem Volscorum, quæ Polusca vocatur, spatio antem non longè à Longula distat. Non stava molto lontanza da Anzo per Velletri, fù pigliata da Romani, ma poi da Gneo Martio ricuperata con Satrico, Longola, Coriolo, et altre molte. Pometia Città, che stava poco lontana dal Mare nel tratto di Terracina per la Palude Pontina; che per la fertilità de suoi campi, come per Antonomasia di quelli si disse, Territorium Pometinum. E percio al tempo di Ligurgo Legislatore de' Spartani, passando per queste contrade i Lacedemoni, si fermarono negl'accenati Campi, dalla fertilità de quali s'indussero ad imporgli il bel nome di Feronia, com'anco alla Feronia Dea un superbo Tempio edificarono, tanto narra Dionisio, Cumquè delati essent ad Pometinos Campos Italiæ, quò primum venerunt, appellasse Feroniam, memores, quod eos huc, illuc per mare ferri contigerat: Templo quoque construxisse Divæ Feroniæ, cui vota fecerunt. Con le spoglie di questa Città Tarquinio Superbo pensava edificare il famoso Tempio di Giove. Pontia era una Città fabricata nell'Isola dell'istesso nome dirimpetto à Terracina, quale fù fatta Colonia de' Romani, e fù nel Cons. di Lucio Papirio Cursete, e Caio Iunio Bruto. Sacriporto Città, o Castello vicino à Segni; forse delle sue rovine se n'è fabricato Gavignano, dove come narra Orosio, Silla, e Mario il giovene figliolo del Console crudelissimi nemici fecero sanguinosa battaglia, e vi morirono de' Mariani 25.mila Soldati, Silla etiam, et Marii adolscentis maximum tunc prælium apud Sacriportum fuit, in quo de Exercitu Marii cæsa sunt viginti quinque milia. E Lucano Poeta disse: Iam quot apum Sacri eccidere cadavera portum. Sàtrico fù Piazza d'Armi de gl'Antiati, fù presa da Furio Camillo, essendo la quarta volta Dittatore, fù poi abbruggiata da Latini per sdegno contro detti Antiati, che non volsero esser con loro uniti à far guerra contro Romani, tutta la Città restò disfatta, eccettuato il Tempio della Dea Matuta4. Fù risarcita da Volsci nel Cons. C.V. ma da Romani, essendo Consoli Marco Valerio Corvino, et Gneo Petilio. Fù di nuovo abbruggiata, restandovi pure in piedi il suddetto Tempio; ma perche poco doppo fù presa da Sanniti, Lucio Papirio Cursore l'espugnò, e ricuperò, dice Orosio, Idem deinde Papirius Satricum, expulso inde Samnitico præsidio expugnavit, et cæpit. Tengono alcuni fosse dove al presente stà Conca Ferriera famosa del S.Officio di Roma, e con qualche raggione, perche Livio narrando la partenza delle Leggioni Volsche,dice che si movessero da Anzo, à Satrico, da Satrico à Velletri, da Velletri à Tuscolo, Ab Antio Satricum, ab Satrico Velitras, inde Tusculum Leggiones missas: distanza in vero per le giornate d'Esserciti, che marciano, molto convenienti, se bene altri con giusto compito di miglia, vogliono che sia dove stà Campo morto Castello distrutto, perche da Anzo à questo luogo, d'onde à Velletri, e poi à Tuscolo, non passano otto miglia di strada, ch'appunto fanno una giornata de Militia, et à questo parere più facilmente mi sottoscritto, riportandomi però à maggior chiarezza. Segni Città situata nel Monte Lepino, dice Columella, Qua Marrucini, qua Signia Monte Lepino. Fù Colonia di Tarquinio Superbo, non già da lui fabricata, come altri pensano, ma ben si (come dice Alicarnasseo) applicata à Tito Tarquinio suo figliolo, in quella guisa, ch'ad Arunte Tarquinio l'altro figliolo assegnò Circeio, come se ne fossero stati fondatori, Has ambas cum duobus filiis, ut conditoribus dicasset, Circeios Arunti, Tito Signiam, securus iam de Regno, etc. Nella sollevatione procurata da Lucio Annio Setino, e Lucio Numidio Circeiense, fù unita Segni con Velletri, à non consentire con l'altre Colonie. Fù Patria di S.Vitaliano Papa, come si legge nel Martirologio Romano. Era de' Signori Sforza; ma di presente è dell'Eminentis. Cardinal Antonio BABERINO Nipote dignissimo di URBANO Ottavo Pontefice vivente Ottimo Massimo. Sessa, ò Suessa, chiamata ancora Sessa Pometia; non già quella Pometia accennata di sopra, ben sì da Cittadini di quella, che per un tempo v'habitarono, fù così chiamata; com'anco per l'istessa caggione fù detta Arunca; tanto dimostra l'Alberti. Fù saccheggiata da Tarquinio, essendo Rè Servio Tullio. In questa Città dimorarono in Esilio li figlioli di Anco Martio IV. Rè de' Romani. E ben vero, che da moderni Autori molte cose di Pometia s'applicano à Sessa, per la denominatione, che da quella ottenne. Lucio Sacco hà diffusamente con molta eruditione descritta questa sua Patria. Sezze, se bene il suo moderno Scrittore hà à schivo la natione Volsca, per lo che la mette frà Latini; con tutto ciò molti Autori, e particolarmente il Cluerio la chiama Antichissima, e la pone trà Volsci. Il Perotti, dice, Setia Urbs est Campania, et il Schradero scrive, Setia antiquissimum Volscorum Oppidum, cosi ancora Iodoco Hondio. Titinnio Comico in honor di Sezze compose un Opra intitolata Setina, vien citato da Nonio Marcello in più luoghi nel libro che fà de Proprietate Sermonum. Gioseppe Ciammaricone Setino ha descritta eruditamente questa sua Patria5, à quello rimetto il Lettore. Sora, rattiene per ancora il nome, che fusse de Volsci, lo dice Livio, Sora agri Volsci fuit, et il Sabellico lo conferma, narrando la sua presa, Consules Dictatoris Exercitu ab Bellum usi Soram de Volscis vi cæperunt, perche fù presa all'improviso da' Romani, ma con l'Essercito del Dittatore Furio Camillo, essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino; quindi scrisse Livio, Soram ex hostibus incautis adorti cæperunt. Si diede poi à Sanniti nel Consolato C.XXXV. per lo che ne venne un crudel fatto d'armi vicino à Lautula, col peggio de' Romani; ma poi per tradimento d'un Sorano, fù da' Romani ripresa, ch'altrimente vi voleva un lungo, e penoso assedio. Giovenale la chiama Città bonissima, dicendo Optima Sora. Fù detta ancora Saura. Di questa patria era Caio Attelio, che nel Consolato CC.XXXVI. fù Pontefice Massimo, e Valerio Sorano ancor egli Sacerdote. Fù formidabile à Romani, registra il Floro, Sora (quis credat) et Algidum terrori fureunt. E Ducato de' Signori Buoncompagni. In questa Città hà havuto i suoi natali l'Eminentiss. Cesare Baronio Scrittore celeberrimo d'Annali sacri, che per le sue qualità meritò dal Som. Pontef. Clemente Ottavo la sacrata Porpora Cardinalitia. Le Spose, era un Castello nella via Appia distante da Cisterna tre miglia in circa, cosi registra il Cluerio, Locus igitur iste Ad Sponsas tria circiter millia passum à tribus Tabernis abfuit Romam cunctibus. Tengo di certo (stante la correspondente lontananza) che questo sia il luogo detto la Civitate6, posseduta dal Cap. Cesare Lucarelli, overo il luogo chiamato Sole Luna del Cap. Cesare Filippi già Sergente Maggiore in Ferrara, perche in questi luoghi ambedue vicini, e posti in detta via, vi si seggono gran rovine d'antichi Edificij, e vi si trovano molte belle memorie. Sulmone, hoggi detta Sermoneta, differente da Sulmona ne' Peligni Patria d'Ovidio. Di questa ne fa mentione Plinio, e Virgilio ancora, quando dice, Coniicit: basta volans noctis diverberat umbras, et venit adversi in tergum Sulmonis, ibiquè, Frangitur, ac fixo transit præcordia ligno. Et un'altra volta introducendo la spietata vendetta, che fece Enea per la morte di Pallante, scrive che abbruggiasse vivi otto Gioveni, quattro di Sermoneta, e quattro d'un'altra Città, nelle sponde del Fiune Ufente, dice, Sulmone creatos Quattuor hic iuvenes, totidem quos educat Ufens. Torri Bianche, era un Castello lontano tre miglia da dove sbocca il Fiume Ninfeo, poco distante da Clostra, cosi dice il Cluerio, Alterum igitur istum locum ad Turres Albas tria milliam passuum ab Nimphei Ostio abfuisse crediderim. Tre Taverne, hora chiamate Cisterna ce' Signori Caetani, e se bene alcuni pensano, che il luogo delle Tre Taverne sia hora Ninfa, con tutto ciò il Cluerio è d'altro senso, e dice, Ipsa Tre Tabernæ apud Asturam Flumen fuisse derpehenduntur, ubi locus nunc vulgo Cisterna. Dove Severo Imperatore fù da Heraclio ucciso, narra Paolo Diacono; e Zosimo, parlando di Severo, dice, Quo ille pergens, cum ad locum cuimdam venisset, quem Tre Tabernas vocant, ab infidiis, quas ibi Maxentius locaverat, comprehensus necatur, inserta laqueo Cervice. Fù doppo da Lodovico Bavaro Imperatore nel M.CCC.XXVIII. abbruggiata, dice il Villani, ma al presente, è populata molto, abbondante, e bella Terra. Verruggine, di cui disse Livio, Verruginem in Volscis eodem Exercitu receptam. Fù presa da' Romani, e fortificata nel Consolato LX. per il che li nostri Volsci ne fecero strepito grandissimo, fù però ricuperata; ma al Consolato di Gn. Cornelio Cosso, e Lucio Furio Medullino, fù perduta di nuovo. Era una buona Fortezza per li Volsci, mentre ne fecero quel risentimento, che si narra. Volosca, prima sede dirrei de Volsci, di cui habbiamo detto di sopra, e se ne vedono le rovine, delle quali si crede da molti, che se ne fabbricasse Sonnino Terra ancor ella Volsca. Queste, et altre Città, Terre, e Castelli erano de Volsci, c'hanno per la voracità del tempo perduti i vestiggi, et il nome. E perciò bisognarà, che il Lettore si contenti, e s'appaghi delle accennate; a queste aggiungerò Velletri, del quale principalmente si scrive. S'è fatta mentione in questo Capitolo di molte Colonie, se il curioso vorrà sapere la differenza di esse, e quali havevano Ius Romanum, e quali Ius Latii7, legga Vvolfango Lazio, Biondo Flavio, et altri Autori da me lasciati per brevità, che ne haverà compita contezza. Note ↑ Apiolae fu distrutta secondo la leggenda dal re Tarquinio il Superbo, ed era situata nei pressi del Monte Savello, tra Pavona ed Albano Laziale. ↑ La cittadella volsca di Corioli è di incerta ubicazione, anche se si ipotizza che potesse trovarsi nell'attuale frazione di Monte Giove presso Genzano di Roma. Venne conquistata durante una campagna militare contro l'insediamento volsco di Antium, guidata dal console romano Postumio Cominio Aurunco. ↑ Longula, insediamento volsco, fu conquistata nel 493 a.C. dal console Postumio Cominio durante la sua spedizione contro i volsci di Antium. ↑ La Dea Matuta era un'antica divinità romana, dea dell'aurora e protettrice delle partorienti; in suo onore l'11 giugno si celebravano le Matralie. Il tempio presso Satricum venne frequentato anche dopo la distruzione della città, narrata dal Teoli e prima di lui da Dionigi di Alicarnasso. ↑ Nell'opera del 1641 Descrittione della città di Sezza colonia latina di Romani. ↑ L'attuale frazione di Le Castella del comune di Cisterna di Latina. ↑ Lo ius Latii era uno "status" o condizione giuridica, a metà strada tra la piena cittadinanza romana (ius romanum) e la mancanza di cittadinanza romana (peregrinus). I centri abitati che godevano dello status di ius Latii potevano godere di piena indipendenza in merito all'amministrazione interna con la possibilità di eleggere propri magistrati ma erano tenuti a fornire a Roma un determinato contingente di uomini armati.


Chi edificasse la Città di Velletri.
Cap. V.


Chi gittasse i fondamenti, e alzasse della Città di Velletri, le prime mura, per la molta antichità di essa, non v'è Autore, ne Scrittore, che ne faccia parola: li danno ben sì titolo d'Antica, Bella, Inclita, Nobile, Celebre, Insigne, Potente Ricca, Populosa, Abbondante, e con altri molti Encomij l'inalzano; ma il primo Fondatore niuno l'assegna. Il nostro Sig. Conte Gioseppe Barsi, persona, che per l'antichità della Patria, hà consumati più giorni, nella compendiosa Descrittione di Velletri data in luce nel 1631, dimostra non haverne potuto trovar il Principio, dal che maggiormente la sua antichità argomenta, come di cosa immemorabile. Si persuadono alcuni Virtuosi, che Velletri sia stata edificata da Atlante Italo, chiamato Kitim, ò Cetim, Pronipote di Noè, Nipote di Iapeto, e Figlio di Iavano, come s'è accennato di sopra; nel principio del Regno di Mancaleo XIV. Rè de gl'Assirij, che fù, come si deduce per la sopputazione di Beroso, DC. LIX Anni, ò con il Samoteo DC. LXX. doppo il Diluvio universale; pensiero, che io stimo di buon fondamento per quanto hò potuto raccogliere da qualche rincontro. Perchè venendo Atlante vittorioso dalla Spagna, e dalla Sicilia, per haverne discacciato Hespero suo fratello; giunto in questo elevato Colle alla falda d'un Monte più vago, e riguardevole di qualsivoglia spatiosa campagna; è da credere, che vi edificasse la Città, e gl'imponesse il nome di Eletra, che così chiamavasi la sua Primogenita, che fù moglie di Corito, e madre di Dardano fondatore di Troia; sicome l'altra figlia chiamata Roma (già s'è accennato di sopra) e in quella guisa, ch'essa vien detta Vesta, Elia, Velia; e Eneti, Veneti, così Eletra, col tempo fù detta Veletra, ò Beletra, che così la chiama Stefano Greco, per essere cosa ordinaria appresso Greci del B, per V, scambievolmente servirsi. Havendo poi Dardano ucciso Iasio suo fratello, per la pretensione, c'haveva nella dignità di Corito (Dionisio è di senso, che Iasio, e fosse senza moglie, Iasius mansit celebi, e che morisse percosso dala fulmine perchè hebb'ardimento di pensare lascivamente in Cerere dicendo Iasius fulmine periit attentata Cereris pudicitia) edificare alcune Colonie nel Latio, se ne fuggì nella Frigia, à cui impose nome Dardania, dal cui sangue per retta Linea hebbe i suoi natali Enea Troiano, come dimostrano l'autorità di Manethone, Archiloco, Dionisio, Vergilio, e con altri molti antichi, e moderni Scrittori, d'Ovidio, che apertamente dice Dardanon Electra quis nescit Athlantide natum, Scilicet Electra concubisse Iovem Huius Eryctionius, Tros est generatus ab illo, Assaracus creat hic, Assaracusquè Capim Proximus Anchises, quo cum commune parentis Non dedignata est nomene habere Venus Impercioche doppo, che Dardano dalla prima Moglie nomata Criseide Figlia di Pallante, hebbe havuti due figlioli, Ideo e Diamante; da Bostea Figlia di Tenero, hebbe due altri figlioli, uno chiamato Zacinto, che diede il nome all'Isola del Zante, e l'altro Erittonio, che pigliando l'Impero doppo il Padre, volse, ch'Erittonia quella Provinca si chiamasse. Da Erittonio,e Calliroe Figlia di Scamandro, overo, come piace ad Apollodoro, da Astioche figlia di Simeonte, ne nacque Troo. Questo, perchè ampliò la Città fabricata dall'Avo, volse, che dal suo nome si chiamasse Troia. Da Troo, e Acalide figlia d'Eumede, overo da Calliroe, dice, Apollodoro, ne nacquero Ilio, che diede il nome alla Fortezza di Troia, con Euridice figlia d'Adrasto, generò Laomedonte, per il cui mancamento di parola, Hercole, non l'Egittio, ma il Greco, espugnò la Fortezza di Troia, perchè li negò la sua Figlia Hesione promessali per haverla liberata dalla Balena. Anzi alcuni tengono, che perciò Laomedonte ne restasse morto, e Priamo suo figlio fatto priggione, e riscattato à grossa somma di denari de' vicini. Darete Frigio narra, che questo risentimento fatto da Hercole fosse, perche, andando egli con i Compagni à far preda del Vello d'Oro nell'Isola di Colcos, dando di capo nel Porto di Sigeo, Laomedonte non lo volse ricevere, ma con molt'asprezza lo discacciò, del che sdegnatosi Hercole, nel ritorno pigliò Troia, diede Hesione per moglie à Telamone suo compagno; e fatta la preda, uccise ancora Laomedonte. Da Laomedonte, e Strime figlia di Scamandro, ne nacque Priamo, che fù ucciso da Pirro figlio d'Achille nella Guerra Troiana. Priamo con Hecuba figlia di Cisseo Rè di Tracia, come narra Vergilio per parere di Euripide, ò pure di Dimante, dice Servio per sententia di Homero, generò Hettore tanto celebrato da Scrittori per la sua fortezza. Da Assaraco fratello Germano di Ilio, e Clitodora figlia di Laomedonte, overo da Hieramnome figlia di Simeonte, nacque Capis. Da questo, e da Naiade Ninfa, ò pure da Temide figlia d'Ilio, nacque Anchise, il quale con Venere generò Enea. Ecco dunque la retta linea di Hettore, e Enea congionti in quarto grado, e veracemente discendenti da Dardano figlio di Corito detto ancor Giove, e di Eletra. Di dove partisse Dardano originaria radice de' Rè Latini, li Fautori, e SCrittori sono conforme alle loro passioni, diversi ancora nè pareri, esplicando quelli versi di Vergilio, Atquè equidem memini, fama est obscurior Annis Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris Dardanus, Idæas Frigiæ penetravit ad Urbes Giovanni Annio vuole, che quelli Popoli, da' quali parti Dardano, si chiamassero Arunti, e non Aurunci, che stassero nella Toscana, vicino à Viterbo, e che da quel luogo egli partisse per la Samotracia. Altri molti l'istesso confermano circa la Regione; ma variano nel luogo. Giovanni Villani afferma, che partisse da Fiesole, e questa opppinione è dal Claramontio applaudita, mentre chiama Dardano Fiesolano. Sopra di che dico esser vero, che il Regno di Corito fosse in Toscana; ma che la Regia fosse Cortona, come il Ciatti afferma, overo Corneto, com'altri pensano, poco importa al mio intento. Mi maraviglio ben si del capriccio del Villani, quale quanto sia vero, si potrà raccogliere dall'altre falsità, che dice; trattando di simili antichità; cioè che Lavinio fosse vicino a Teracina, e pure è distante più di quarantacinque miglia; che Turno fosse Rè de' Toscani, e pure era Rè de' Rutuli; e che Ardea sia hoggi Cortona, e pure li vestigi di questa famosa Città, celebrano il suo sito nel Latio vicino Roma. Li difensori dell'oppinione per la Toscana asseriscono, che gl'Aurunci del Latio per ancora non havevano havuto il loro principio, per haver fondata la di loro Città Ulisse, overo Ausone suo figlio, e si fanno forti con il seguente verso di Vergilio, Hinc illum Coriti Tyrrena ab Sede profectum Cioè, che partito dal Regno di Corito suo Padre, ch'era nella Toscana, se ne gisse nella Frigia ad acquistare nuovi Regni. Con tutto ciò io trovo, che gl'Aurunci erano Popoli antichissimi del Latio, e che dal Latio Dardano partisse, come nel Latio hebbe i suoi natali. Che questi Popoli fossero antichissimi, lo conferma Donato, dicendo, Auruncos Antiquissimos Populos Italia ab Aurunca Civitate; ma senza ragione soggionge, Quam Auson filius Ulyssis, et Calipsus ædificavit. Essendo Ulisse coetaneo d'Enea; e Latino, di cui sono quelle parole, di più anni di Ulisse, non poteva ragionevolmente far mentione d'Aurunca; Vergilio dice in questo luogo per bocca di Latino Rè, che gl'Aurunci non facevano Historie, ne Annali, ma si servivano delle Traditioni, e Relationi fatte da vecchi à posteri, e perciò soggionge, Auruncos ita ferre senes. Se Ausone, overo Ulisse suo Padre, fosse stato il loro fondatore, non vi sarebbono stati ne anco li vecchi, non che le loro Traditioni, e forse ne anco le Città. Che fossero Popoli nel Latio, oltre à quanto si è detto di sopra con Livio, lo conferma un Toscano, che è il Fabrino, con queste parole, Aurunca era una Città Antichissima nel Latio, e il Lorito, ch'espressamente à favor nostro l'autenticò, dicendo, Aurunci sunt veteris Latij, quod à Tiberi Circeios usque erat, Incolæ. Ma per maggior prova del mio intento, mi servirò dell'istesso Vergilio, ch'introducendo Ilioneo à spiegar l'imbasciata à Didone, e la caggione del viaggio, e dove s'andava, dice, ch'era nel Latio, nel quale i suoi posteri dovevano regnare, Tendere ut Italiam læti, Latiumquè petamus E poco più sotto dice, Saturniaque Arua. chiamandosi il Latio Saturnia, come s'è accennato. Doppo un'altra volta rappresentando l'istesso Ambasciatore mandato da Enea al Rè Latino, dice, Hinc Dardanus hortus, Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo. Perchè l'Oracolo, come l'istesso registra, tanto gl'haveva promesso, dicendo, Dardanide duri, quæ vos à Stirpe Parentum, Prima tulit Tellus, eadem vos obere læto, Accipiet reduces antiquam exquirite Matrem Hic domus Æneæ cunctis dominabitur oris, Et nati natorum, et qui nascentur ab illis Giovanni Fabrino spiegando queste parole, scrive, Perche Apollo haveva commesso loro espressamente, che dovessin venire ne' paesi del Latio, donde haveva havuto origine Dardano. E se ben Vergilio dice, Tyrrenum ad Tiberim, et Fontis vada sacra Numici Non si deve già intendere, che doveva Enea tornar in Toscana; perchè Tyrrenus Tiber, vuol denotar, che scorre nel Mar Tirreno, così spiga l'Ascentio, Ad Tiberim Tyrrenum, idest, qui influit ad Mare Tyrrenum, in qual senso anc'Ovidio lo chiamò fiume Toscano, quando disse, Tuscum rate venit in amnem. Si stabilisce tutto questo con le sopr'accennate parole di Vergilio, cioè, Et Fontis vada sacra Numici; il Fonte ò Fiume Numico scorre nel Latio, vicino ad Ardea, così dimostrano li Scrittori. Matteo Veggio lo mette vicino Laurento, Città ancor'ella nel Latio, dicendo, Laurentumq. petit vicina Numicius undis, Servio dice, che fosse un fiume grosso, nel quale fù ritrovato il Cadavero d'Enea, ma poi si seccò, e perciò vien detto Fonte, e non Fiume. Da questo dunque si deduce, che nel Latio Dardano nascesse; dal Latio partisse per la Frigia, sicome nel Latio ritornò la sua prole, dico, Enea. Il possesso finalmente del Regno corrobora il tutto: perchè Enea, e suoi Posteri furono Rè de' Latini, e non de' Toscani; dunque se ritornò nel Latio, dal Latio, nel quale hebbe i suoi natali, partì. Altrimente, e gl'Oracoli introdotti dal Poeta, sarebbero stati fallaci, e gl'Ambasciadori buggiardi, se le promesse fossero state della Toscana, e il possesso del Latio, di cui intendeva l'istesso quando disse, Terra antiqua potens armis, ac ubere glebæ Et à dire il vero non vi è stata Gente più feroce, et armigera, de' Popoli del Latio; ne vi è campagna più fertile, e feconda di quella nostra, di cui disse il Sabellico, Ferax Terra, omniumquè frugum præstantia nobilis. E se bene Vergilio disse, Tyrrena ab Sede profectum, l'Ascensio in questo luogo dice, Qui profectus est ab hac Regione, à Sede Coriti, illius Oppidi, quod est ad mare Tyrrenum, e questa fù partenza di pretensione di regno, no di Sito. E quantunque Servio in questo verso, Italiam quæro patriam, et genus ab Iove summo dica parlando di Enea, che respondeva à Didone Regina di Cartagine, Tria ergo quarit, Provinciam, scilicet, Italiam, Patriam Coritum Tuscia Civitatem, undè Dardanus fuit, etc. Con tutto ciò il Badio nell'istesso luogo dice, Ego quaro Italiam patriam, è d'adiettivo, e non di sostantivo. Altra prova più efficace sarebbe quella di Varrone, quando da noi fedeli se li dovesse dar credenza. Narra questo Autore, che partendosi Enea da Troia già abbruggiata, e distrutta, mettendosi in Mare con i suoi compagni per la volta d'Italia, sempre fù accompagnato dalla Stella di Venere, infin tanto, che gionse alle riviere di Laurento, dove abbassate le vele, gettate l'ancore per far ivi il suo albergo, disparve la Stella; dando à divedere à quelli, che ciechi si lasciavano dal Demonio ingannare, che quella era la Terra à loro per Fato promessa, Ex eo quo à Troia est profectus Æeneas, Veneris per diem Stellam semper vidisse, donec in Laurentium agrum veniret, ubi non est amplius visa; quarè cognovit Terras esse fatales. Tanto scrive Varrone. Ma se voglio allontanrami dal Poeta, e dire con gl'Historici, che Dardano sia stato il fondatore di Cora, mi sarà più facile à provar il mio intento. Così dice Plinio, Solino, e Martiano Capella seguitati dal Salmasio, che dice, Plinius Coram à Dardano Troiano orti, Martianus Capella, Coram Dardanus, atqui ille habet à Solino. E se bene Corito regnava nella Toscana, egli quasi Essule dal Padre, credo dominasse nel nostro Latio, da dove fece partenza. Dal Latio dunque partì Dardano, e forse in quella guisa, ch'al parer di Giovann'Annio, Iasio fatto Corito edificò alcune Colonie nella Toscana, chiamandole con queste quattro lettere, C.O.R.T. che egli conforme alla superstitione di quelli tempi, chiama sacre; Dardano ad onta del fratello, altre Colonie, si potrebbe pensare ch'edificasse nel Latio, dove haveva fautori, e parteggiani, dando à quelle il nome con l'istesse lettere CORT, perche oltre à quello si è detto di Cora pretesa già edificata da lui, distante da Velletri otto miglia: più vicino alla Città nel territorio Veliterno, una di presente rattiene il nome CORTE, nella quale si son trovate, e si trovano bellissime antichità di Marmi, Statue, Mosaici, e altre cose di memoria, che dimostrano quello ch'il tempo ha divorato, e li Scrittori non hanno registrato. Altri belli Ingegni pensano, che Velletri sia stata edificata da Saturno primo habitatore, e fondatore del Latio; sopra di che io vado osservando chi sia questo Saturno, per non caminare in compagnia di molt'altri nella spatiosa strada de gl'errori, e persuadendomi gir sicuro, e veloce, non sia forzato d'arrestar il passo. Saturno nostro dunque non è quel Re Candiotta, ò Cretense, come da molti si presuppone, chiamato per altro nome Aptera, overo Abderide; e vogliono provare il principio, e fondatione delle proprie Patrie con la fuga, e nascondimenti di lui; cosa contraria all'oppinione di molti buoni Scrittori antichi, e moderni; e lontane dall'assignatione de' tempi, perche Saturno Cretense fù nell'età del Ferro, è il nostro Saturno è nell'età dell'Oro, di cui disse Vergilio, Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat come s'è accennato di sopra. Quello cominciò à regnare in Creta nel MMM. DC. XCVIII. del Mondo, D. e più anni Anni doppo la morte di Nino, che fù nel MMM. CXCVII. e regnò, come scrive Eusebio, XLII. Anni, e hebbe per soccessore Lapis; questo fù al tempo di Nino, e venne in Italia à trovar Giano il prim'anno di Semiramide nell'Anno MMM. CXCVIIII. Quello fù persona empia, e scelerata, che s'incredulì contro il Padre, fece guerra à Fratelli, e uccise i proprij Figli. Questo riverì i suoi Maggiori, schivò fuggendo l'ira de' suoi Cugini, e Parenti, e honorò Barzane suo figlio in Armenia, qual fù superato da Nino; e honorò l'altro suo figlio in Italia chiamato Sabo, creandolo Prencipe de' Sabini. Quello si chiamava Aptera, overo Abderide. Questo Sabatio Saga. Quello venne dall'Isola di Creta. Questo dà Monti Caspi. Quello finalmente morì Cinquecento, e più Anni doppo Noè, e questo nostro Saturno morì Otto, ò Sedici Anni avanti Noè. Tutto ciò si deduce da Beroso, tanto dimostra l'Annio, così tiene l'Alberti, il Ciatti, l'Angelotti, e altri. Fù dunque il nostro Saturno Sabatio Saga, che diede il nome al nostro Latio, essendo in esso entrato per il fiume Tevere, come s'è detto di sopra. Sono alcuni che non stimando per vero tutto ciò che di Saturno s'è accennato; si ridono in sentire ch'egli per isfuggire lo sdegno, e crudeltà di Belo, si nascondesse nelle montagne, con l'autorità di Vergilio, e di Ovidio, l'uno de' quali dice, His quoniam tutus latuisset in oris e l'altro, Dicta fuit Latium terra latente Deo perchè questi non fanno mentione de Monti, et ora, come vuol Cicerone, significa Regione, e Parte del Mondo, e non luoghi montuosi, Omnibus hominibus, qui ubiquè sunt quacumquè in ora, ac parte terrarum. Et un'altra volta disse, Globum terræ fixum in medio Mundi universi duabus oris distantibus. Et il Calepino l'istesso afferma per sentenza di Plinio, Plinius ora appellatione ferè semper Regionem litoralem appellat, e maggiormente l'esprime Sesto Pompeo, con quelle parole, Ora extremæ partes terrarum, idest maritimæ dicuntur; per finirla Vergilio ancora dimostrò l'istesso quando disse, Arma virumquè cano Troia qui primus ab orbis, Soggiongono che Saturno non stette nascosto, ma si palesò a Giano suo Bisavolo, che se ne stava nel suo Gianicolo, hoggi per il color dell'arene chiamato Montorio, dice Giovanni Rossino, Hodiè à flavis arenis Mons aureus nominatur, et corrupto vocabulo Montorius. Nè meno haveva una tal necessità, perchè Belo primo suo persecutore era morto, e morto il suo figlio Nino, e essendo egli partito dall'Armenia, non dava più materia di persecutione, come ne anco di sospetto à Semiramide, che regnava. Anzi participando egli il Regno d'Italia con Giano, viveva sicuro, tranquillo, e perciò quella parola, Latere, de gl'accennati Poeti, dicono, ch'intender si debba in riguardo delli persecutori, perche s'allontanò da gli occhi loro, ne sapevano dove egli dimorasse; non già, che realmente si nascondesse, ne c'havesse necessita dell'asprezza de' Monti per celar la sua persona. Io, però, per non discostarmi dalla volgata oppinione, mi faccio lecito dire, che il nostro Saturno si nascondesse in qualche monte; il che parmi volesse accennar Vergilio, quando disse, Is genus indocile, ac dispersum Montibus altis. perche l'istesso nome di Saturno tal nascondimento dimostra; così dice Gioseppe Scaligero, Saturnum Tuscum esse nomen, et Siriaca lingua significare latentem. Gerolamo Marafiote asserendo, che Giano regnasse in Cuma, dice che ivi fosse ricevuto Saturno, e che in Cuma principiasse il nome del Latio; pensiero molto discostante dalla commun'oppinione. Il Padre Valle, e il Ciammariconi fondati nelle parole del Gonzaga, vogliono, che Saturno si nascondesse nella montagna di Bassiano; sentimento, che per non trovarvi rincontro di sorte veruna, non mi par punto verisimile, non che vero. Ecco la mia raggione: Ovidio riferisce, che Saturno venisse in barca con le sue genti, che si chiamavano Sagi, per il Tevere, dicendo, Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem. Se per il Tevere se n'entrò Saturno à trovar Giano, come è credibile ch'à piede egli se ne venisse per nascondersi con le sue Genti nell'asprezza della Montagna di Bassiano distante da Roma, forse Quaranta, e più miglia, come pensano li citati Autori? Concludasi dunque, che in altro monte più vicino à Roma Sabatio Saga con i suoi Sagi si nascondesse, e per li rincontri, che si diranno, posso persuadermi fosse il Monte di Velletri, al quale lasciò il nome di Sagiola, che poi per la mutatione della prima lettera fù detta Fagiola. Sagiola, cioè habitatione, e stanza de' Sagi; (perche Ola, conforme si deduce dall'Hebreo, significa Tabernacolo, e Habitatione) di dove discendendo, si tiene c'hedificasse la Città di Velletri; onde non sia maraviglia, se havendo Saturno insegnato alli primi habitatori di Velletri il modo di far Sagrificij, di potar le vite, coltivare i Campi, e far tutte le cose sopraccennate. Doppo la morte di lui gl'alzarono un Tempio con la sua Statua, e l'adorarono vanamente per Dio, cosi disse l'Abbate Uspergense, Pro quibus meritis ab indocili rustica multitudine Deus appellatus est. L'adorarono si per Dio, non con nome di Saturno, ma di Sango, o Sago, registrato da Livio, mentre narra i prodigij di quell'Anno, e dice fosse toccato dal fulmine, del quale più diffusamente si discorrerà à suo luogo. Da questo si doverà concludere, che da Velletri, ò dalla sua Montagna habbia avuto il suo principio il nome del Latio, sia di Provincia, come dice Ovidio, ò di Città da Saturno fabricata, come afferma Marciano Capella, e Papia, che dice, Latium Urbs Italiæ à Saturno condita. Stimo perciò volontario il pensiero del Clavelli, quale vuole, che Saturno edificasse cinque Città, cioè il suo Arpino, Aquino, Atino, Alatri, e Anagni, e apporta per raggione, e prova una certa antica somiglianza, che in quella guisa, che per parere d'Ilino Rabino, Semo primo figliolo di Noè edificò alcune Città, dandogli il nome con la prima lettera del suo, che è la S. e furono Siponto, Salerno, Surrento, Sannio, e Siena la vecchia, così Saturno le cinque accennate Città edificasse col nome, c'hà per principio la lettera A, prima ne gl'Alfabeti di tutti i linguaggi. Si che lascino di vantarsi Roma, Rieti, Piperno, et altre Città, mentre il lor nome non cominciando per A, non possono affermarsi edificate da Saturno. Ma s'inganna il Clavelli, e ogn'altro per lui, se intende del nostro Saturno Sabatio Saga; siccome se il suo sentimento è di Aptera Cretense, se gli puol concedere, perche il nome comincia per A, et à noi poco importa, mentre si raggiona di più antico Saturno. Soggiongo, che gl'antichi Heroi imponevano alle cose il nome, e non la loro prima lettera, che se ciò fosse vero, molte Città haverebbono pretensione à più alto principio di quello se li deve. Consideri il Lettore quante Città cominciano per S, e quante per A, e quanti Autori ancora registrano la fondazione di Saturnia, cioè Roma, e poi giudichi quanto sia verace, e ben fondata quest'oppinione del Clavelli. Io mi confesso molto appagato delle due accennate oppinioni circa il principio di Velletri, e per li rincontri da me apportati, mi par c'habbiamo toccata qualsivoglia sodezza: ma però non mi contento di questo, e con più chiari rincontri stimo più alto il principio di questa Città, e dico, che l'edificassero alcuni di quelli, che vennero in Italia con Noè. Perche gionto questo secondo Adamo, Noè giusto nel Gianicolo per il Tevere, ivi fece la sua stanza, e stabilì il suo albergo; ma perche li suoi seguaci Nipoti chiamati Gianigeni, ò Gianidi, erano molti, mi si fà credibile, che parte di loro morsi dall'humana curiosità procurassero d'esplorare anco il paese della parte destra del fiume; cosa molto verisimile, e per la novità del luogo e per l'amenità del sito, e per la suavità dell'aria contraria affatto à quella di Trastevere, dove erano sbarcati, e dimoravano; onde con una, ò più barche di quelle, nelle quali erano venuti da Fenicia, facessero tragitto all'altra sponda del fiume, e caminando, e scorrendo il paese, gionti alla vista del Colle, e Campagna di Velletri, dove, come piace ad Antonio Magino, cominciava il piano della palude Pontina; quale veduta, e considerata vaga, amena, e fertile, stabilirono di fermarvi il piede, e farvi il loro domicilio, che dal primo Esploratore fù chiamato Veletro, ò Beletro, ch'altro non suona in lingua Latina, che Vetustus Explorans, nome composto da Vel, ò Bel, e Ietro : Vel e Bel, al parere de gl'Espositori della lingua Hebrea significa Vetustus, in lingua Latina, e Ietro suona Explorans; congiungendo dunque queste due parole con la sincope del I, over del E, componevano Velitro, ò Beletro, che in nostra favella dirà Antico Esploratore. E percio ad imitatione, et emulatione de gl'altri Gianigeni questi nostri edificarono altre Colonie vicine denominate da Giano, nelle quali i posteri alzarono il Simulacro di lui, come quelle, ch'erano nella Toscana col nome di Araini, per quanto registra il Valeriano, Quidam Ara Iani Simulacro asculpi solitæ sint, quid id facturi putent, quod Ianus Aras duodecim Etruriæ Coloniis sacrasset. Delle nostre una se ne conserva di vestigi, e di nome nel territorio Veliterno, e chiamari sin al giorno d'hoggi Araiano & Ariano, dalle cui rovine, doppo che fù demolito, e destrutto da' Velletrani, fù ritrovata una statua di Giano Bifronte con sembianze di Giovene, e di Vecchio, la di cui testa si conserva nel Claustro del nostro Convento, e è la qui intagliata. Et un altra Testa pure Bifronte somigliante à questa conserva tra molt'altre belle antichità il Cavalier, e Dottor Theocrito Micheletti, qual fù ritrovata poco distante dal suddetto luogo. Che cosa significhi la duplicata sembianza di Giano, sono varij li pensieri de' Virtuosi, come sono diverse l'intelligenze. S. Agostino registrato dal Vines, dice, che col rappresentarsi Giano Bifronte, si dimostrava la di lui gran prudenza, che consiste in prevedere le cose future, e contemplar le passate, Alii hunc Regem Bifrontem fuisse referunt, quod fuerit prudentissimus, pravideritquè procul ventura, et nespexerit praterita, onde il Cedreno disse Præteritorum, ac futurorum notitia fuisse præditum, eum à Romanis Bifrontem pingi. Il Mddendorpio vuole, che le due faccie di Giano significassero la congitione di lui delle cose del mondo, Quippè qui utriusquè ante, et post Diluvium Orbis certissimam rationem sciebat. Herodiano intende per le due Faccie il principio, e fine dell'Anno. E S. Cipriano lo conferma con queste parole, Ipse Bifrons exprimitur, quod in medio constitutus, Annumincipientem pariter, et recedentem spectare videatur; e perciò Plinio dice, che Numa Pompilio fece alzar la Statua di Giano Bifronte, c'haveva Trecento sessanta cinque deti, rappresentanti Trecento sessanta cinque giorni dell'Anno, Præterea Ianus geminus à Numa Rege dicatus, qui pacis, belliquè argumento colitur, digitis ita figuratis, vi trecentorum sexaginta quinquè dierum nota, per significationem Anni, Temporis, et Ævi se Deum indicaret. Il nostro Mancinelli havendo considerato, che Giano vien chiamato tal volta Sole, è di senso, che le due faccie dinotino il princpio, e fine del Giorno, dicendo, Sit propter Bifrons occasum Solis, et ortum, Per Ianum Solem monstrari namquè tulere, Qui exoriens aperit Lucem, clauditque cadendo Giovanni Rosino considerando, ch'il Tempio di Giano fù fabricato doppo la pace fatta trà Romani, e Sabini per le Vergini Sabine rapite, dice, che le due faccie di Giano significano li due accennati Popoli insieme uniti, per Romolo, e Titio Tatio loro Reggi, Ut significaretur duos Populos coiisse in unum. Altri intendono il principio, e fine della vita humana, che più chiaramente per il sopraposto intaglio s'esprime. E chi ne forma un concetto, e chi un'altro, conforme all'intelligenza di ciascuno. E ben vero, che talvolta Giano si dipinge Quadrifronte, cioè con quattro faccie, dice Macrobio, e Pomponio Leto lo conferma con queste parole, Ianus Quadrifrons erat, et apportandone la raggione con il significato dice, Hic quatuor Anni tempora significabat, e perciò il nostro Mancinello con buona raggione prese à dire, che denotava ancora le qattro Parti del Mondo, essendo Giano talvolta chiamato e mondo, e Cielo, tanto scrive, Est Ianus quadrifrons partes ob quattuor Orbis, Est etenim Mundus, quod Cælum dicitur ipse. Dalla parte verso Ponente distante meno di quattro miglia dalla Città vi era l'altra Colonia, ch'ancora rattiene il nome, e chiamasi Prisciano, dove era il Tempio di Giano Prisco, cosi detto à differenza de gl'altri chiamati Giani Iuniori, come s'è accennato di sopra. Dalla parte di Mezzo Giorno ve n'è un'altra col nome di Carciano, cioè Città di Giano, perche Char, in lingua Hebrea non significa altro che Città in lingua nostra. Verso Levante vi è un altro luogo chiamato di presente il Colle del Cavaliere della Fameglia Catelina, che si deduce dalla parola Moosia, ò Maresa, l'una delle quali significa Habitacolo, e l'altra Heredità, ch'altro non dimostra, che luogo dove s'adorava Giano; et in tutti quest'accennati luoghi si vedono rovine sotterranee, e vi si trovano belle antichità, e frammenti, che danno materia di credere con qualche sodezza quello, che si pretende che sia. Si corrobora tutto questo con la moltitudine delle Monete, ò Medaglie di Giano, che giornalmente sparso si trovano nel nostro territorio Veliterno, delle quali per dimostrare la diversità, tre solamente n'hò fatto intagliare. Più dell'altra antica stimo la seguente, tanto per la forma, quanto per il metallo, datami dal Dottor Plinio Babbo. Somiglianti à questa ne hà due il Dot. Angelo de Prosperi, ritrovate nell'antica Villa del nostro Cesare Ottaviano Augusto, l'hò avuta dal Dottor Regolo Coluzzi rirovata in altra parte del nostro territorio. Quest'ultima da me stimata di minor antichità, sì per il metallo, come per il rovescio, mi è stata data dal Capit. Francesco Calcagni, e nella Nave apertamente si scorge. Il Dottor Nicola Santorecchia Protonotario Apostolico, et Arciprete della Catedrale trà molt'altre belle Medaglie, ne conserva otto di Giano tutte differenti di grandezza, di metallo, e di forma; benche tutte lo rappresentino Bifronte da una parte, e dall'altra mostrino la Nave. Dalle quali si puol argomentare la stima, che li Velletrani accecati nella superstitiosa Gentilità facevano di Giano. Da quanto sin'hora s'è detto sopra al particolare di Giano, mi sarà lecito argomentare, che l'antichità di Velletri avanzi, ò almeno pareggi qualch'altra pretesa da moderni Scrittori. Perche Mirsilo Lesbio volendo dimostrare, che li Turreni popoli particolari, e principali della Toscana, (questi popoli stavano vicino alle sponde del Lago di Bolseno, dice l'Annio, Sed ea est, Volturrena, cioè antica Turrena, circà Volsinos, e doppò altre parole, Cives Volturrent in quorum parte eadem sunt Volsinienses, non molto distante dalle Grotti, dove stà un vago sito chiamato con nome corrotto Tugliena, e vi si trovano ben spesso bellissime antichità, oltre alle rovine de gl'Edificij, che da Lavoratori si scoprono alla giornata; onde possono persuadersi gli habitatori delle Grotti essere de gl'avanzi di quella famosa Città distrutta. Altri hanno diverso sentimento) Che questi popoli, dico, erano antichissimi, et originarij da quella Regione, dice esser ciò vero, perchè erano ne' Dei e ne' Riti differenti. Perchè l'altre genti di Toscana adoravano Giano e Vesta, da loro chiamati Vadimone et Horchia, Quandoquidem, queste sono le parole del Lesbio, vetustissimis differunt Diis, et moribus, etc. Nam cunctis Tuscis Dii, et Dea sunt Iuppiter, et Iuno, soli Turreni volunt Ianum, et Vestam, quos lingua sua vocant Ianib Vadimona, et Labith Horchiam. Questo Giano adoravasi da Velletrani per quanto s'è detto di sopra, dunque bisogna confessare esser Velletri Città antichissima. L'istesso Annio à questo argomento fatto per il Latio, ò Roma Latina risponde, che non erano adorati Giano, e Vesta come Dei municipali, e principali, perche nel Latio tali erano Saturno, et Opis, altramente chiamata Rhea, e n'attesta Varrone de Lingua Latina. Et io servendomi della sua risposta mi farò lecito di dire, che sicome li Toscani tutti adoravano altri Dei, eccetto li Turreni, Vadimone, et Horchia, cosi, s'altri Popoli del Latio adoravano communemente Saturno, et Opis, li Velletrani nulladimeno, con alcun'altre genti ancora adoravano Giano per Dio principale, come dall'accennate memorie chiaramente apparisce. Sono stati alcuni, che curiosi dell'Antichita m'hanno interrogato, perche caggione Vergilio havendo composto il suo Poema in honor d'Augusto Ottaviano ne' giorni del suo Impero, sapendo, che l'origine, e natali di lui fossero da Velletri, non n'habbia fatta mentione? e pure la Patria del suo Mecenate, e Protettore, non deve tacersi, e tanto più, che Velletri era, et è Città insigne, di Popolo famoso, quanto è il Volsco, et in Regione principale, quant'è il Latio. A dire il vero è cosa di grandissima maraviglia un tal silentio, et io non saprei addurne altra raggione, che l'humana passione, che talvolta serve per Occhiale del Galileo, e tal volta per Benda, e che ben spesso trasforma lo Scrittore in Lince, e ben spesso in Talpa. E per non dimostrarmi tale ancor'io, eccone l'Autorità di più. Nola è stata, et è una Città illustre nella Campagna Felice, et in quella Regione ha havute poche pari à suo tempo, Vergilio dovendo raggionar di quella nel suo Poema, doppo haver fatta mentione di molte Città, di Nola non ne raggiona; ma nel silenzio la sepelisce. Aulo Gellio Autore di consideratione, apporta la raggione di mancamento cosi manifesto, e riferisce haver letto, che Vergilio haveva una delitiosa Villa vicina à Nola, havendo bisogno d'acqua per vaghezza del luogo, e per sua commodità, la domandò à Nolani, quali liberamente (non s'accenna il perche) glie la negarono, del che Vergilio di tal maniera restò sdegnato, et insieme offeso, che pensando di levare dalla memoria de gl'huomini il nome di Città tanto celebre, scancellò dal suo Poema il nome di Nola, e perche era forzato à farne parola, in vece di Nola, scrisse, Ora: ecco le parole del Gellio, Scriptum in quodam Commentario reperi versus istos à Virgilio ita primùm esse recitatos, atquè editos: Talis erat Capua, et vicina Veseuo Nola Iugo. Postea Virgilium petiisse à Nolanis aquam, uti ducerat in propinquum Rus, Nolanos beneficium petitum non fecisse, Poetam offensum, nomen Urbis eorum, quasi ex hominum memoria, ex Carmine suo derasisse, Oraquè pro Nola mutasse, atquè ita reliquisse. Et vicina Veseuo Ora Iugo. Servio narra un'altra cosa simile pur contro di Nola nell'espositione del seguente verso del Poeta. Et quos Malisfera despectant Mœnia Bella Dice questo Commentatore, che in vece di Bella, doveva star Nola, ma havendo i Nolani negato à Vergiolio l'albergo, ne restò molto cruccioso, e sdegnato, onde dal suo Poema scancellò il nome di Nola, e vi scrisse Bella, Multi Nolam volunt intelligi, et dicunt iratum Virgilium nomen eius mutasse propter sibi negatum hospitium, et ita apertè noluisse dicere, sed ostendere per Periphrasim, nam illic punica Mala nascuntur. Perugià è stata, et è ancora Città famosa, et una delle dodeci prime Colonie dell'antica Toscana, che per il valor dell'Armi doveva movere il Poeta à farne mentione, con tutto ciò trattando della Guerra di Enea, registra molti Popoli de Città Toscane, e lascia sotto silentio Perugia. Il Padre Ciatti apporta egli la raggione con queste parole, Et avvegna ch'altrove io mostrato habbia ciò facesse Virgilio per non offendere l'orecchie d'Ottavio Augusto, à cui egli le sue Eneade scriveva, ed il quale con odio immortale de Perugini, fece il funestissimo Sacrifitio di trecento miserabili vittime de Cittadini Perugini, come à suo luogo dirassi, e per colpa di cui Perugia fù arsa, e distrutta. Questo dice nel Pr. Tomo dell'Hist. di Perugia Lib. Terzo; dove apporta un'altra raggione, che per brevità tralascio: ecco chiare le passioni del Poeta; defetto ordinario d'alcuni Scrittori, quali per qualche mondano, ò indegno interesse, tacciono le glorie altrui, ò pure le sminuiscono, overo con qualch'aggionta disdicevole denigrano il candore d'una Patria insigne, d'una Città Illustre. Danno sperimentato da Velletri, ch'essendo Città, nobile, e degna d'esser nominata da un Poeta, che cantava le glorie di quell'Imperatore Velletrano, à cui erano indirizzate le sue fatighe; e pure appassionato le ricopre con il manto del silentio. Mi riservo le raggioni per altro luogo più al proposito.


Guerre Antiche di Velletri.
Cap. VI.


Quanto li Velletrani sieno stati bellicosi, et armigeri, bastaranno Dionisio, e Livio à testificarlo, che nell'Opre loro in più luoghi registrano le battaglie di Popolo cosi feroce, e martiale, che per CC. anzi CCC. e più Anni tormentò la fortunata Roma: e perciò raggionevolmente Genebrardo disse: Volsci, qui bellum cum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum, per ducentos annos continuarunt. E Livio, di cui sono le parole di Genebrardo, registra dodeci, e più Trionfi riceuti da Capitani vincitori de' Volsci dicendo, Volsci, qui bellum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum per CC propè Annos, incredibili pervicacia, et continuis motibus protulerunt, de quibus supra duodecim Triumphi sub acti sunt. Erano così pronti all'Armi, et cosi coraggiosi li Volsci, che parevano dal Fato destinati à Romani, non per altro, che per eternamente mantenergli un continuo travaglio, Præter Volscos, velut forte quadam, propè, et in æternum exercendo Romano Militi datos, dice l'istesso; et Iornande chiama li Volsci nemici continui, dice quotidiani, de' Romani, Pervicacissimi tamen Latinorum Aequi, et Volsci fuere, et quotidiani (sic dicerim) hostes. L'istesso afferma il Sabellico, Volsci, et Aequi æterni Romani nomini hostes, cosi dissero in Senato gl'Ambasciadori Latini. Anzi l'istesso Sabellico narra, che non si poteva caggionar maggiore spavento nel petto de' Romani, quanto il veder'uniti assieme li Volsci nell'Armi, Nullius Gentis opes magis quàm Volscorum Romano formidolo fas esse, si in unum conspirent. E perciò furono stimati Feroci sopra ogn'altra Natione, Quid Volscis ferocius? disse chi haveva forse sperimentato l'altrui valore. Narra à questo proposito Livio la maraviglia di molti in vedere, che cosi presto ne' conflitti tanto sfortunatamente continuati, doppo le perdite, anzi disfacimenti d'Esserciti intieri, in un batter d'occhio, per cosi dire, congionti con gl'Equi, ancor loro Popoli del Latio, risarcissero i Campi, e ne formassero de nuovi più copiosi, e formidabili; la stimava però cosa miracolosa. Dice in oltre, che furono cosi continuate, e tanto numerose le Guerre de Volsci, che leggere solamente i Volumi, ne' quali stavano registrate, apportava fastidio à Lettori: e perche altri di ciò havevano tacciuto le raggioni, egli l'apporta conforme al suo parere, e dice, che questo avveniva, perche negl'intervalli delle Guerre cresceva la gioventù, e conforme richiedeva il bisogno, cosi si rinovavano gl'Esserciti con la scelta di gioveni, overo perche non sempre gl'Esserciti si formavano de' medesimi Popoli; benche l'istessa Natione facesse Guerra; overo, perche allhora trà Volsci, et Equi era una moltitudine di Teste libere; e queste coraggiose givano contro Romani, Non dubito præter satietate m tot iam Libris affidus Bella cum Volscis gesta legentibus illud succursurum (quod mihi percensenti propiores temporibus harum rerum Aucoters Miraculum fuit) undè toties victis Volscis, et Aequis suffecerint milites, quod eum ab antiquis tacitum, prætermissumquè sit, cursus tandem ego rei præter opinionem, quæ sua, cuisquè coniectanti esse potest, Auctor sim, simili veri est, aut intervallis Bellorum, sicut nunc in delectibus fis Romanis, alia, atquè alia Sobole innorum, ad Bella instaurando toties usos esse, aut non ex iisdem semper Populis Exercitus scriptos, quamquam eadem semper gens Bellum intulerit, aut innumerabilem multitudinem liberorum Capitum in eis fuisse locis, e poi conchiude, Ingèns certè Volscorum Exercitus fuit; tanto dice Livio. Io per me non resto già appagato dell'accennate raggioni di Livio, perche anco degl'altri Popoli nemici à Romani l'istesso dir si potrebbe, essendo solito nelle Guerre servirsi degli Ausiliarij, Amici, e Confederati; far scelta trà la gioventù nativa de Soldati più habili alle fatiche, et al maneggio dell'Armi: e servirsi degl'intervalli ancora, quali erano cosi brevi, che talvolta non giongevano all'Anno; anzi che per le autorità registrate di sopra, erano giornali. Quindi direi la caggione, per la quale tante volte, e tante li Volsci mossero guerra à Romani, che giunsero all'estrema strettezza, essere, perche la Natione Volsca era più dell'altre copiosa de genti, e perche le vittorie de' Romani descritte da' Fautori non erano cosi celebri, e franche, come si registrano; cosa ordinaria de tali, che per ingrandir le vittorie d'una Natione, e le perdite dell'altra, non fanno differenza d'aggiongere all'uno, uno zero, ò due; e perciò è necessario dire con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine, e raggionevolmente, perche Gneo Martio Coriolano volendo vendicarse de' Romani con l'Armi straniere, dice Dionisio, che solamente da Capitano cosi bravo fù giudicata la Natione Volsca uguagliarsi nella potenza à Romani, Unam Volscorum potentiam parem Romanis inveniebat. Si rende, da quanto si è detto sopra di ciò, manifestamente chiaro, essere con nulla, ò piccola raggione apportata l'autorità di Livio, che dica, Volsci nec in Bello fideles, nec in Pace constantes: propositione non già di Livio, ma da altri forse inventata, se però non si volesse per questa intendere quella dell'istesso Livio nella Deca pr. al lib. 4 dove registra le parole, non uscite dalla sua mente, ma dalla bocca d'un Capitano zelante chiamato Vetio Messio, mentre riprendeva li suoi soldati Volsci di trascuraggine, e freddezza nel combattere, e gl'animiva à farsi la strada col ferro, già che stavano dalli Soldati del Dittatore Aulo Postumio circondati; e pigliar esempio da lui, come fecero, dicendo, Iam orbem voluentes suos increpans clara voce: Hic præbituri, inquit, vos Telis hostis estis indefensi, inulti? Quid igitur Arma habetis? Aut quid ultrò Bellum intulistis? In otio tumultuosi, in Bello segnes? Quid hic stantibus spei est? An Deum aliquem protecturum vos, rapturumquè hinc putatis? Ferre via facienda est re. Se bene la Pugna non hebbe quest'esito, che si sperava corrispondesse all'ardire. E perciò non deve pigliarsi per autorità di verace sentimento quello, che usci dalla bocca d'un Nationale amoroso, che cosi anco l'ingiurie dette da' Padri affettuosi a' proprij figli sarebbono ignominiose. E se furono tali, quali questo moderno Autore li stima, domandiamolo à Dionisio, che vi dirà, che Tito Sicinio ricevè de' Volsci famoso Trionfo, perche haveva liberata Roma da grandissimo spavento. Et ad Aquilio non si concedè, che l'Ovatione, perche debellò gl'Hernici, Sed Sicinio, qui à maiore terrore Urbem liberasse videbatur, deleto Volscorum iniurioso Exercitu, Duceq. cæso, Triumphus concessus est, et invectus est Urbem prælatis spoliis, captivis currum præcedentibus, equis tractus insignibus aureis faleris, cultus, ut mos est, Regio; Aquilio contigit Ovatio. Si puol descrivere Trionfo più pomposo di questo? concedutoli solamente per haver destrutto un Essercito de' Volsci, che fù risarcito di subito? anzi da Livio, à cui più facilmente si doverà credere, si cava, che questo Trionfo fosse senza vittoria particolare, ma di pare conflitto, ecco le sue parole, Sicinio Volsci, Aquilio Hernici, (nam ii quoquè in Armi erant) Provincia evenit. Eo Anno Hernici devicti, cum Volscis æquo Marte discessum est. Io non voglio in questo luogo far lunga tessitura delle Guerre de Volsci, perche sarebbe un usurpare il commun valore d'un Regno intiero, per una Città sola; ne meno intendo narrare le Guerre Moderne di Velletri fatte con Città, e Terre vicine, e Prencipi confinanti, che numerose sono; ma solamente di quelle antiche, nelle quali particolarmente li Velletrani si ritrovarono come Popoli di Città principale, et insigne de Volsci, mentre Roma era crescente nell'Impero: quantunque in tutte le Guerre della Natione Velletri si ritrovò pronta, ma non in tutte registrata. Lascio dunque da parte il timore, c'havevano li Latini, e gl'Hernici dell'Armi Volsche; il valore di Coriolano, Attio Tullo, Vetio Messio, e d'altri coraggiosi Capitani, le guerre di Anzo, Piperno, Terracina, Sessa, e d'altre Città Nationali; le occisioni fatte da' Romani, e da' Volsci; le Città dall'una, e l'altra parte saccheggiate; le copiose, e ricche prede scambievolmente fatte; gl'incendij da' Volsci dati, e ricevuti; li danni fatti a' Romani, et à Popoli confederati; li conflitti pari; le vittorie de nemici; le prospere, et adverse fortune di Natione cosi guerriera, replicando con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine. E quelle solamente scriverò, nelle quali Velletri vi trovarò espressamente involto, come Città potente, di cui disse un'Autore, Velitræ Oppidum antiquitate, et potentia clarum. La prima Guerra de' Volsci contro Romanila fecero li Velletrani, non già nel tempo di Tarquinio Superbo, quando intende Livio di sopra accennato, ma nell'Impero di Anco Martio Quarto Rè de'l Romani, più di Cento Anni avanti, cosi registra Dionisio; perche terminata la Guerra de Veienti, li Velletrani cominciarono loro ad infestar Roma, con saccheggiargli il proprio territorio, per lo che fù di mestiere, che Anco Martio spedisse numeroso Essercito per far resistenza al valore, e furor de' Volsci, come fece; dal quale scacciati i Soldati, che depredavano, acquistata la nostra Campagna, assediata la Città con fortificazioni, e ripari, voleva dar l'assalto, ma à preghiere de' Cittadini, che s'obligarono di risarcire gli danni fatti, e dargli in mano li Soldati colpevoli, si fece tregua, e poi si stabilì la pace, con rinovatione d'amicitia trà Velletrani, e Romani, Nec à Volscis pacata sunt omnia, et Obsessisq. Velletris, et a Vallo circumdatis, toto agro potitus Urbem ipsam parabat invadere, sed cum grandævi Oppidorum supplices progressi pollicerentur se iuxta Regis existimationem, illata damna persoluturos, et fontes dedituros ad supplicium, rebus per inducias restitutis, infædus eos recepit, et amicitiam. Di Tarquinio Superbo Velletri ne fece poca stima, perche doppo aver questo Rè Tiranno usata una crudeltà incredibile contro Turno Herdonio Coriolano huomo ricco, di gran seguito, e molto esperto nell'arte militare, con farlo gittar dentro una cupa voragine, sotto falso pretesto, ch'egli congiurato havesse contro li Nobili de' Latini, per lo che gli fede da' servi metter di nascosto molt'armi di quelli tempi nel proprio albergo; usato, dico, questo tradimento, voleva il crudele l'amicitia de gl'Hernici, e de' Volsci, et esser di questi Popoli, com'era de' Latini, dichiarato Signore. Tutti gl'Hernici si resero pieghevoli alla tirannia di Tarquinio, ma non già li Volsci, perche da gli'Antiati, et Eccetrani in poi, Velletri con l'altre Città tutte, come libere non fecero conto, ne di Tarquinio, ne del suo Impero, Tatquinius gentis Imperio potitus Legatos misit ad Volscos, et Hernicos, eorumquè amicitiam, et societatem expetens, Volscorum duo tantum populi assenserunt, Heccetrani, et Antiates; Hernici universi societatem decreverunt; questo registra Dionisio. E vero, che nel Consolato Undecimo, essendo Consoli Q. Clelio Siculo, e Tito Largio Flavo, ò l'Anno avanti, volendo Mamilio Ottavio favorire le parti di Tarquinio Superbo suo socero, già discacciato da Roma, procurò la confederatione de molti popoli contro Romani, frà quali vi furono ancora li Velletrani, forse perche Capo di questa sollevatione era il detto Ottavio parente, ò discendente da gli Ottavij di Velletri, alla di cui richiesta fecero i Velletrani quello, che non havevano fatto per un Rè regnante. Tanta era l'autorità di questo Ottavio, che Fenestella dice, che sollevasse trenta Popoli, de' quali egli con Sesto Tarquinio fù fatto Capo; e Dionisio scrive, Ex his omnibus populis dilectu iuniorum habito, tantum copiarum contractum, quantum Octavio Mamilio, et Sexto Tarquinio satis visum est, penès quos erat imperium. Fù disfatta però questa Lega o Sollevatione de' Congiurati, perche si fece una Guerra crudele, nella quale restò morto Marco Valerio fratello del Publicola; Tito Ebutio Maestro de' Cavalieri ne restò ferito; e Mamilio malamente offeso nel petto, e poi ucciso da Tito Herminio; e li Latini, et altri confederati universalmente sconfitti nella Riva del Lago Regillo, Tantusque ardor fuit, ut eodem impetu, quo fuderant hostes Romani Castra caperent. Hoc modo ad lacum Regillum pugnatum est, nel fine del racconto dice Livio. Questo Ottavio Mamilio, se bene era primate trà Latini, con tutto ciò era Volsco di Natali, perche era descendente da Telegono figlio d'Ulisse, e Circe, generato, et allevato nell'isola Aeea, detta poi Circeio dalla suddetta Circe, cosi vuole Ditte Cretense, Per id tempus Telegonus, quem Circe editum ex Ulisse apud Æææm Insulam educaverat; e da questo figlio fù per sinistro caso Ulisse inavedutamente ucciso. Nel Consolato XV. Aulo Virginio, e Tito Veturio, li Volsci, e particolarmente li Velletrani, ò perche i Romani non volsero restituirgli il Contado preso l'Anno avanti, ò per abbassare gl'avanzamenti della Republica, fecero nuova, e numerosa levata di gente, quando li Sabini, e gl'Equi facevano per altra parte l'istesso; e mentre s'incaminavano all'impresa, s'oppose à quelli Veturio; et à nostri Virginio, che se ben era di numero de Soldati inferiore con tutto ciò, senza dar tempo à più grave apparecchio, andò veloce ad incontrar il campo de' nostri, havendo prima dato il guasto alla Campagna. Si venne à giornata, e perche li Volsci erano Superiori di forze (ma inferiori di fortuna) beffeggiavano li Romani, nulla stimando l'Armi nemiche; anzi tenendo certa la vittoria dal canto loro, stavano accampati senz'ordine. Ciò visto, e considerato da' Romani, scorgendoli ancor fermi, e pigri, senza punto allestirsi alla pugna, come non aspettassero l'impeto nemico, e si fossero scordati della solita bravura, gli corsero repentinamente addosso, che fatti vili, e codardi voltarono al nemico, che feriva, le spalle, e corsero fuggendo per ricovero, e scampo à Velletri. Li Romani più freschi, aiutati dalla Sorte, che gl'acompagnava, con maggior vigore li seguitavano, et entrando con meschianza e vincitori, e vinti, e Romani, e Volsci, in Velletri, fecero più cruda strage, che nel Campo fatta non havevano, et à quelli solamente si condonò la vita, che gettate l'armi in terra, ricorrevano alla pietà Romana. Fù in quella guerra tolto il territorio Veliterno, perdita di gran consideratione, et alla Città fatta Colonia, furono mandati nuovi habitatori, non sò se per uccisione fatta de' Soldati Cittadini, ò per tenere la Città in freno. Castrum exutum hostem Velitras persecuti uno agmine victorem cum victis in Urbem irrupere, plusque ibi sanguinis promiscua omnium generum cæde, quam in ipsa dimicatione factum, paucis data venia, qui inermes in deditionem venerunt. Volscis devictis Veliternus ager adeptus, Velitras Coloni ab Urbe missi, et Colonia deducta, cosi scrive Livio, ma Dionisio, Fidentes enim (dice) maioribus copiis, et obliti superiorum cladium ut primum Romanos videre, Castra contulerunt cum eis, progressiquè in aciem, post acrem pugnam maiore clade accepta quam reddita, in fugam versi sunt, simulq. Castra vi capta, Velitræ expugnatæ Nobile gentis Oppidum, dalle quali parole di Dionisio si scorge la differenza nelle passioni di questi due Scrittori, mentre non pigri, e timorosi li Volsci, ma arditi, e pronti furono li primi à muovere coraggiosamente le Squadre, e solleciti à menar le mani; e se restarono perditori, non fù senza molto sangue de' nemici Romani. Doppo qualche guerra fatta con gl'istessi, restarono li Volsci intimoriti, non già dall'armi Romane, ma dalla Peste, che fece in poco tempo in tutte le loro Città, e Terre grandissima strage, e più per quello, che fece in Velletri, dove nel Cons. XVII. essendo Consoli Tito Geganio, e Publio Minutio, furono da Roma mandati nuovi habitatori, che se non havessero havuto tal flagello, di sicuro non sarebbbero restati li Velletrani di far quello, à che la natura martiale gl'eccitava, così dice l'istesso, Ni Volscos iam moventes Arma pestilentia ingens invasisset, ea clade conterritis hostium animis, ut etiam ubi ea remississet terrore aliquo, et Velitris auxerunt numerum Colonorum Romani. Ma non finirono per ciò le Guerre. Perche nel Consolato XX. essendo Consoli Tito Sicinio, e Caio Aquilio, si guerreggiò contro Romani, invadendo il loro territorio li nostri Volsci congionti con gl'Equi, e perche si mossero ancora gl'Hernici, contro quelli andò Caio Aquilio, che di tal maniera gl'intimorì, che se ne fuggirono veloci sparsi in diversi luoghi, e lasciarono la loro campagna in preda à nemici, Nemine audente congredi (dice Dionisio) Sicinio venne contro Volsci, e con il nervo dell'Essercito gionse in Velletri, dove come in Città principale della Natione stava Attio Tullo con bellissimo, e copiossissimo Essercito, Sicinius in Volscos missus cum robure copiarum in Veliernum agrum irrupit, nam ibi erat Tullus Actius Volscorum Dux cum florentissimo Exercitu volens Romanorum socios debellare primum, sicut Martius in initio fecerat. Voleva seguitar l'impresa di Martio il Capitano, perche vinti, e debellati gl'amici, e confederati de' Romani, gli si rendeva facile di atterrare col suo poderoso Essercito la Romana Repubblica; si guerreggiò poco distante dalla nostra Città verso la montagna in luoghi disastrosi, e pieni di sassi, molto fastidiosi per li Cavalieri dell'una, e l'altra parte, Fuit autem locus medius, in quo pugnandum erat Tumulus saxosus, et salebrosus, ubi Equitatus neutris esset usui. Si combattè per qualche buono spatio del giorno, senza vantaggio, e questo veniva per la dissuguaglianza del sito, ch'apportava hora à Volsci, et hora à Romani notabile giovamento, intanto, che non lasciava prendere la vittoria più all'una, ch'all'altra parte, Itaque ad multum diei Marte æquo certatum, quia loci natura inæqualis, nunc hos, nunc illos innabat; s'incrudeliva la guerra, li Romani riempivano le Fosse con rami d'arbori, et altre materie, et Tullo coraggiosamente con una squadra de' suoi più valorosi scorreva, e soccorreva ove vedeva maggior bisogno; faceva egli gloriose prodezze, ma alla fine ne restò ferito, e morto, Occurrit Tullus Actius cum valentissimis, et audacissimis edens multa præclara facinora, erat enim pugnator robustus, et manu promptus, sed Imperio parum idoneus, ibi labore fessus, opplessusq. vulneribus cecidit; tanto riferisce Dionisio, e lo conferma il Sabellico con queste parole, In Veliterno Agro cum Tullo Actio iusto, cruentoq. Bello concursum, ibiq. Actium Tullium fortiter dimicantem pluribus vulneribus acceptis, mortem occubuisse, etc. Continovarono le Guerre de' nostri Volsci con scambievoli fortune, quali non racconto, perche voglio registrar solamente le particolari de' Velletrani, come fù quella al tempo del Dittatore Cornelio Cosso, che se bene fù Guerra mista di più Nationi, cioè Volsci, Latini, et Equi, vi s'aggiunsero specialmente le Genti di Circeio, e di Velletri, dice Livio, Volscorum Exercitus fuit, etc. Ad hoc Latini, Hernici accesserunt, et Circeiensium, et Coloni à Velitris. Havendo il Dittatore fatto Maestro di Cavalieri Tito Quintio Capitolino andò di persona all'oppugnatione di Essercito cosi formidabile; s'accampò in luogo avantagioso, e doppo gl'augurij superstitiosi, e sacrificij vani fatti à falsi Dei, si presentò la mattina per tempo avanti à suoi Soldati, che di loro arnesi s'armavano per la futura battaglia, per la quale aspettando stavano attenti il segno propostoli per ordine dell'istesso Dittatore. Questo con breve concione per darli coraggio, et animo al ben ferire, gli diede speranza della vittoria, e gli promisse, per li felici augurij havuti, il favore de' Dei. Finalmente doppo haver dato al Maestro de' Cavalieri gl'ordini necessarij, si diede principio alla zuffa. Furono in questa battaglia li Cavalieri Romani li primi à dar con impeto sopra la Fanteria de' Volsci, à quali cagionarono tanto scompiglio, e disordine, che n'apportò timore fino all'ultima schiera; onde li Soldati, che dovevano con l'armi in mano difendere la vita, la libertà, e la Patria, gettate l'armi altrove, si davano in fuga. Durò il conflitto fino alla notte, ne furono fatti molti prigioni, de' quali la maggior parte fù riconosciuta essere de' Latini, et Hernici; e perche non erano gente vili, e della plebe, si concludè che simili Soldati non potevano essere stipendiarij, ma franchi. Vi furono trovati alcuni Capi principali della gioventù nobile, ch'apportarono chiarezza, che li Volsci erano stati in questa sollevatione aiutati dalla Republica. Furono parimente riconosciuti alcuni di Circeio, e di Velletri, e mandati tutti à Roma, manifestarono à Senatori la loro sollevatione, Pars maxima captivorum ex Latinis, atquè Hernicis fuit, nec hominum de plebe, ut credi posseti, mercede militasse, sed principes quidam Iuventutis inventi, manifesta fide, publica ope Volscos hostes adiutos, Circeiensium quoquè quidam cogniti, et Coloniæ à Velitris, Romam omnes missi. La colpa maggiore di questa sollevatione fù de' Velletrani; quindi volendosi scusare, e richiedendo li prigioni, tutti hebbero da' Padri Senatori aspra risposta, ma più cruda, et aspra li Velletrani, et Circeiensi, Tristia responsa reddita, tristior a Colonis, e questo, perche essendo loro Cittadini Romani, havessero acconsentito, e con l'Armi, e col Conseglio alli danni di Roma, ch'era lor Patria, Quod Cives Romani Patriæ oppugnanda nefanda Consilia iniissent, seguita Livio, e perciò con poco gusto furono dal Senato mandati via gl'Ambasciatori senza li richiesti prigioni. Non lasciarono però li nostri Volsci il naturale ardire, ma più inaspriti l'Anno seguente radunarono un'altro Essercito con la confederatione de' Lanuvini più copioso, e poderoso del primo. Questa levata di gente cosi repentina fù da' Romani sentita, e stimarono li Senatori, che fosse stata caggionata da' Velletrani, onde dissero, che se fossero stati castigati nella passata guerra, di sicuro non haverebbono suscitate nuove fattioni in dispreggio della Romana Repubblica, Id Patres rati contemptu accidere, quod Veliternis Civibus suis tamdiù impunita defectio esset. Si risolvè da' Senatori la Guerra contro Volsci; e se bene li Tribuni erano di contrario parere, nulladimeno erano cosi temuti li Volsci, e particolarmente li Velletrani, che tutte le Tribu ad onta de gl'istessi Tribuni approvarono contro Volsci la Guerra; et aspettando la creatione de' nuovi Tribuni con potestà Consolare, furono (trà gl'altri compagni restati alla Guardia di Roma) eletti Spurio, e Lucio Papirij. Questi condussero direttamente l'Essercito à Velletri, Insequenti anno Spurius, et Lucius Papirii novi Tribuni Militum Consulari potestate Velitras Legiones duxerunt, dice l'istesso. Furono li nostri aiutati da' Prenestini, con li quali sempre passò buona amicitia; si venne al fatto d'arme con la solita fortuna de' Romani; e perche la battaglia fù vicino à Velletri, li Volsci scorgendo il pericolo, che li soprastava, si missero con maturo consiglio in fuga verso la Città, dove e li Velletrani, e li Prenestini hebbero sicuro ricovero, Ita ut propinquitas Urbis hosti, et causa maturioris fuga, et unum ex fuga receptaculum esset. Era ben munita, e forte la Città di Velletri; perciò stimando li Romani, ch'il combattere non apportarebbe sicurezza di vittoria, ma più presto pericolo di perdita, fecero altra risolutione, Oppidi oppugnatione Tribuni abstinuere, quia et anceps erat, etc. Se ne scrisse perciò à Senatori in Roma, incolpandone più li Prenestini aussiliarij, che li Velletrani principali, et à quelli intimarono la guerra col conseglio de' Padri Senatori, e del Popolo. Li Prenestini coraggiosi congionti con li Volsci amici, et in particolare con li Velletrani, formato un buon'Essercito, pigliarono à viva forza Satrico de' Volsci, ma Colonia de' Romani, usando contro li defensori Romani grandissima crudeltà, che caggionò nel cuore de' Senatori dispiacere non poco, onde crearono subito Tribuno militare la settima volta Marco Furio Camillo. Nacque in Roma nell'istesso tempo un certo che di seditione, e fù per la strettezza, e rigore, che s'usava contro debitori, essendo Consoli C. Sulpitio Camerino, e Spurio Postumio, che risaputa da' Prenestini, e certi, che le discordie della povera Plebe non havevano permesso il descrivere l'Essercito; dichiararono i Capi della Guerra, e fatti animosi, con l'armi in mano, diedero il guasto alla Campagna Romana, e giunsero senza ritengo alcuno predando fino alla Porta Collina, con tanto gran timore de' Romani, che s'uguagliò à quello ricevuto da' Galli, quando giunsero al Capitolio. Fù per questo dichiarato Dittatore Aulo Sempronio, che radunato buon'Essercito, procurò di subito incontrar l'inimico, come fece nel Piano d'Allia, luogo celebre, ma infausto per la rotta, ch'una volta vi riceverono i Romani; si venne alla zuffa, nella quale restarono perditori li Prenestini, in tanto, che furono necessitati fuggire alla sicurezza della loro Città, e vi perderono alcuni Castelli della loro Signoria, senza che molto si contrastasse. Il Dittatore doppo haver ricevuta la vittoria, condusse il suo Essercito à Velletri, come Città confederata de' Prenestini, che doppo non molto battagliare, per non ritrovarsi ben munita, fù espugnata, Deincepsquè haud magno certamine captis, Velitras Exercitus ductus, ea quoque expugnata, et alla fine di Preneste ancora l'istesso fù fatto, come Livio narra, Tum ad caput belli Præneste ventum, id non vi, sed per deditionem receptum est. Si conservarono nell'innato ardimento li nostri Velletrani, perche essendo nata gara in Roma trà li Tribuni, e li Patritij per la pretensione, che quelli havevano di fare eleggere un Console Plebeo, onde si trattennero l'Elettioni de' Supremi Magistrati da cinque Anni in circa, e si lasciarono in abbandono li più importanti affari della Republica. Da questo li nostri Velletrani divenuti più altieri, et invigoriti per l'otio di qualche tempo, scorsero, predando più volte il territorio Romano, e con molta bravura tentarono di pigliare Tuscolo. Erano i Tuscolani amici, anzi Cittadini Romani, e perciò ricorsero per aiuto al Senato. Sentito ciò, e li Padri, e la Plebe di simile novella si vergognarono non poco, che fù caggione di far nuovi Tribuni Militari, quali con prestezza radunaron'un'Essercito, e s'opposero a' Velletrani, li scacciarono dall'assedio, gl'inculcarono sin dentro le mura di Velletri, et assediarono la Città con maggior strettezza, che non havevano li nostri assediato Tuscolo, Veliterni Coloni gestientes otio, quod nullus Exercitus Romanus esset, et agrum Romanum aliquoties incursavere, et Tusculum oppugnare adorsi sunt, etc. Obsidebanturq. haud paulò vi maiore Velitræ quam Tusculum obsessum fuerat. Da' Tribuni, et Soldati assedianti non si fece cosa di rilievo, che fusse stata degna di memoria, stante il valore de' Cittadini, e fortezza della Città, Nihil ne ab vis quidem Tribunis ad Velitras memorabile factum. Quanto fosse grave quest'Assedio, si puol argomentare da questo, che li Romani non potevano celebrare li Comitij, se prima non tornavano li Soldati da Velletri, dove ne stava un grandissimo numero, cosa mai, o pochissime volte occorsa in altri assedij, Velitris in Exercitu Plebis magnam parte abesse, in adventum militum Comitia differre debere. Hor consideri il Lettore, quanto numeroso fosse l'Essercito de' Romani, qual fosse la fortezza della Città, e quanto il valore de' Velletrani. Si congregarono alla fine li Comitij, ne' quali si proposero molte cose, particolarmente la creatione di Dieci huomini in vece di Due, per le cose Sagre, che parte fossero della Plebe, e parte de' Patritij, ma niuna cosa si risolvè, se non doppo levato l'assedio da Velletri, Omnium earum rogationum Comitia in adventum eius Exercitus differunt, qui Velitras obsidebat. Ma perche li nostri Cittadini si portarono coraggiosamente in defender la Patria; scorse più d'un'Anno avanti, che senza frutto alcuno si levasse l'assedio, Priùs circumactus est Annus, quam à Velitris reducerentur Legiones. E fù così lungo l'Assedio, et à Romani noioso, che si cominciò a mormorare alla gagliarda, che la gioventù Romana stasse occupata, e trattenuta nell'Assedio di Velletri, come in Esilio. Così tra gl'altri richiami diceva Licinio Sesto, Deinde ablegatione Iuventutis ad Veliternum Bellum, perche tutte le Guerre terminarono, tutti li motivi de' Stranieri s'ismorzarono, e tutti li Popoli nemici si quietarono, solamente rimase l'Assedio di Velletri, quale stimavano ancora di sicura vittoria, benche di lungo tempo, Cum præter Velitrarum Obsidionem tardi magis rerum exitus, quam dubii, quietæ externæ res Romanis essent, tanto registra l'istesso Livio. Quello ch'io noto in questo Autore, è che per non registrare il valore de' nostri Cittadini, et il poco profitto de' Romani in questo assedio, sicome non poteva registrare la vittoria, ne meno hà voluto scrivere la di loro poco honorevole partenza, e perciò raggionevolmente il Loritho d'un tal silentio si maraviglia, dicendo Mirum cur non vel dissolutionis, vel expugnationis alicubi meminerit Livius. Continuavasi l'Assedio in Velletri, e quantunque poi suscitassero nuovi rumori, e si facessero per altre parti levate di genti contro Romani, mai abbandonarono la nostra Città, tanto assediata, quanto odiata; perche sapevano li Padri del Senato molto bene quanto potente essa fosse; e se doppo molt'anni partirono, fù senza profitto; perche nel Cons. XCV. essendo Consoli Caio Fabio, e Caio Plautio, li Privernati, e Velletrani, come popoli non solamente di natione, ma d'amicitia, fecero grandissimo impeto in dar il guasto al Contado Romano, con danno notabilissimo della Republica, e fù in quel mentre, che li Tarquiniensi in un fatto d'armi roppero l'Essercito di Caio Fabio Console, e fecero un scelerato Sacrificio di Trecento, e sette Soldati Romani, crudeltà tanto horrenda, che più dispiacque al Senato, che la sconfitta dell'Essercito, Accessit ad eamdem Cladem, et Vastatio Romani agri, quàm Privernates, Veliterni deinde incursione repentina fecerunt, disse Livio. Doppo Diecedotto anni, ne' quali molte Guerre si fecero trà Romani, Volsci, et altri Popoli, Lucio Annio Setino, e Lucio Numicio Circeiense, le Patrie de' quali erano Colonie Romane, givano sollevando li popoli, tanto della nostra Natione, quanto della Latina, e de' Confederati, fecero grandissima impressione ne' petti di molte genti; eccetto che de' Velletrani, e de' Segnini, che come generosi ricusarono tal'unione, non comportando il dovere, c'havessero à muovere le loro armi à richiesta d'altri, come solevano fare per la loro grandezza, Prætores tum duos Latini habebant, Lucium Annium Setinum, et Lucium Numicium Circeiensem, ambo ex Coloniis Romanis, per quos, præter Signiam. Velitàsque, et ispas Colonias Romanas, Volsci etiam exciti ad Armaverant, questo scrive Livio. Io non mi posso persuadere, che questi due Pretori fossero della Natione Latina differente dall'altre, ch'allora habitavano nel Latio, cioè Volsci, Equi, et Hernici, ma del Latio in commune, perchè Circeio era de' Volsci, cosi ancora Sezze, come s'è provato di sopra; nè haverebbono due Volsci tentata tal unione senza la participatione d'una Città cosi insigne, com'era Velletri. E Velletri, quando havesse considerata giusta, e raggionevole la motione dell'Armi contro Romani, non haverebbono ricusata l'impresa, che da quelli se gl'antiponeva. Quanto sia vero, che solamente per honorati rispetti ricusassero i Velletrani di muover l'Armi à richiesta de gl'accennati Pretori, si puol dedurre da questo, che l'Anno seguente, essendo Console Tito Emilio Mamerco, e Quinto Publio Filone, si mossero li nostri Cittadini à favore di Pedo, come fecero ancora li Tiburtini, e Prenestini, Popoli amici, e confederati, e poco doppo li Lanuvini, et Antiati. Si venne al fatto d'Arme, nel quale li Romani restarono superiori, ma con non molto guadagno, perchè la Città restò intatta, e gl'Esserciti amici senza perdita. Si lasciò la Guerra per l'Anno seguente, e li nuovi Consoli proseguirono l'impresa contro Pedo. Non potevano l'altre genti del Latio formar campo reale, e far guerra aperta, perche per le passate rotte, havevano perduta quasi tutta la più bella gioventù, ne meno potevano sopportar la pace con la soggettione all'altrui Dominio; e tanto meno, quanto che quasi tutto il territorio della Regione, cominciando da Piperno sin al fiume Volturno, che scorre vicino alle mura di Capua, era di già stato pigliato, e distribuito, et assegnato alla Plebe: perciò con maturo conseglio risolverono di non muover guerra, ma solamente d'aiutare, e soccorrere quelle Città, che fossero state da' Romani, ò assalite, overo assediate. Tanto fecero à Pedo, al di cui aiuto andando gl'Aricini, li Lanuvini, e li Veliterni, gionti al fiume Astura, furono all'improviso, mentre s'univano con gl'Antiati, da Caio Menio Console combattuti, e rotti, Tiburtes, Prænestiniq. quorum Ager proprior erat, Pedum pervenere: Aricinos, Lanuvinos, et Veliternos Antiatibus Volscis se coniungentes ad Asturæ Flumen, Menius improvisò adorsus fuit. Sono queste parole di Livio. Fù questa una vittoria delle maggiori, c'havessero in quei tempi li Romani, perche per essa restò soggiogato tutto il Latio. Nec quievere antequam expugnando, aut in deditionem accipiendo singuals Urbes. Latium omne subegere, Ricevuta una tal vittoria li Romani, volsero mortificare con qualche risentimento, tutti quelli Popoli, che restarono nella passata Battaglia superati, et à chi un castigo particolare, et à chi l'altro fù dato à lor capriccio. Li Velletrani solamente furono con più severi trattamenti castigati. Li Lanuvini restarono astretti, che la loro Selva sacra dovesse per l'avvenire esser commune à Romani, com'anco il Tempio di Giunone Sospita, e se hebbero la Civiltà, fù con la perpetua soggettione al Popolo Romano. Gl'Aricini, li Numentani,e li Pedani furono trattati con le medesime conditioni. De' Tuscolani quelli pochi solamente furono castigati, che stimarono Capi della loro ribellione. A' Tiburtini, e Prenestini fù parte del loro Contado tolto, non tanto per caggione di questa Guerra, quanto, perche una volta gli havevano fatta lega con li Galli. A gl'Antiati furono tolte le Navi lunghe, e l'uso del navigare. A chi fù prohibito il comercio, à chi il poter apparentarsi insieme; in somma furono diversi li castighi dati à quelli popoli, à chi poco, et à chi molto. Velletri solamente, forse come più potente dell'altre Città, e di maggior contrasto à Romani, fù più severamente, e senza pietà trattata. Furono demolite le mura della Città, gettate à terra l'habitationi, et il Senato Veliterno confinato in Roma di là dal Tevere, con Decreto, che chi fosse gionto di quà dal fiume, pagasse mille Lire, ne potesse esser liberato, e sciolto da chi pigliato l'haveva, se non doppo pagato intieramente il denaro; ne' poderi de' nostri Senatori deputarono nuovi habitatori, che furono poi chiamati Coloni. E volendo l'Historico apportar la caggione di tanto rigore, per non dir lo sdegno, che portavano li Romani à Città così potente, et il dispiacere della grande, e lunga resistenza fattagli nel passato Assedio; dice, fosse, perche li Velletrani, essendo Cittadini Romani, tante volte s'erano ribellati; poteva pur dire, ch'à ciò gl'haveva introdotti il timore che gl'apportava, questa Città. In Veliternos veteres Cives Romanos, quod toties rebellassent, graviter sævitum, et muri desiecti, et Senatus indè abductus, iussiquè trans Tiberim habitare, ut eius quis eis Tiberim deprehensus esset, usquè ad mille pondo clarigatio esset, nec priusquam æere persoluto is, qui cœpisset, extra vincula captum haberet, in Agrum Senatorum Coloni missi. E vero però, ch'in breve tempo furono risarcite le mura, la città ripopolata con la Romana Cittadinanza, e con tutte quelle honorevolezze, che solveano concedere li Padri, e che godevano ancora l'altre Colonie, Quibus adscriptis, speciem antiquæ frequentiæ Veliternæ receperunt. La caggione, per la quale fossero risarcite le mura della Città, l'hò sentita da un curioso, che sia stata questa; perche un nostro Cittadino fece un servitio non ordinario in tempo di perigliosa guerra alla Repubblica Romana, tanto dal Senato Romano ottenne. In ciò mi riporto al vero, perche l'Autore, nel quale, dicesi, che vi sia registrato, non mi è capitato alle mani. Trovo ben si in Livio, che Piperno fosse con l'istesso rigore che Velletri maltrattata, De Senatu Privernate ita decretum, ut qui Senator Priverni post defectionem ab Romanis mansisset tran Tiverim, lege, qua Veliterni, habitaret, cosi termina Livio. Erano queste due Città, Piperno, e Velletri pari nella potenza, ambedue popolate, e principali de' Volsci; onde non sia maraviglia, se per la gloria, che mostravano, e lo splendore, che promettevano per l'avvenire, le fece uguali nelle sciagure, e nell'asprezza del castigo, Et era tanto lo sdegno de' Romani contro queste due Città, ch'incrudelirono ancora sopramodo contro Tuscolani, per havergli nelle passate guerre prestato aiuto; quindi dalla Tribù Pollia fù fatto Decreto (benche le Donne vestite di lugubre, con piccoli Bambini in braccio, et abbandonati di lagrime supplicassero misericordia, e pietà) che li Giovenetti di quattordeci Anni in sù, fossero con verghe battuti, e morti; e che le Donne, e li Fanciulli fossero all'incanto venduti sotto la Corona: Sentenza tanto stravagante, quanto cruda, ma dall'altre Tribù rivocata, Marcus Flavius Tribunus Plebis tulit ad Populum, un in Tusculanis animadverteretur, quorum ope, et consilio Veliterni, Privernatesq. Populo Romano Bellum fecissent. Scrive l'istesso Autore. Abbassate per tanto l'altere Cervici queste due insigni Città, respirarono li Romani; perche s'impose fine alle Guerre de' Volsci, più feroci, e più potenti nemici della Repubblica: e ben li fù necessario per la Guerra, che li fecero li Cartaginesi sotto la scorta, e comando d'Anibale, che gionse fin'alle Porte di Roma: la quale contro tutte le Nationi si fece conoscere Fortunata; onde con Plutarco si potè dire, che Roma era il vero Albergo dell'humana Fortuna, Postquam transmisso Tiberi ad Palatium appropinquavit, alas deposuit, Talaria exuit, ac infideli, et versatili illo globo misso facto, ita intravit Romam, ut mansura. E perciò come nota il Dempsero Roma si puol chiamare Città eterna, così scrive Ammiano Marcellino, Orphitus Præfecti Potestate regebat Urben æternam. E lo conferma Tibullo con li seguenti due versi. Romulus æternæ nondum fundaverat Urbis Mœnia consorte non habitanda Remo.



Note

1↑   Girolamo Verospi (1599 - 1652)



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Con note fruibili aggiuntive di Alessandro Di Mario