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Prof. Giancarlo Soprano |
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Dalle parole dell’autore il Prof. Giancarlo Soprano: - L’idea mi venne mentre con lo Studio AV stavo realizzando l’arredo urbano per l’edizione del Carnevale Popolare Veliterno 1983. Era la fine dell’82 e c’era allora l’Assessore allo Sport e Turismo il compianto Gino Battistini. Dato che il Carnevale aveva ripreso il suo percorso abituale, mi è stato chiesto di realizzare delle bandiere con delle "maschere", apparve subito evidente l’assenza di una maschera prettamente velletrana e di conseguenza ho pensato di crearne una che avesse caratteristiche adeguate alla nostra cultura ed alle nostre tradizioni. -
Continua il professore - Progettai prima il costume con le caratteristiche del "vignarolo arricchito", un po’ beone, ma non sprovveduto culturalmente. Doveva essere una maschera elegante, ma adatta anche alla vita della vigna, per cui ecco grosse scarpe chiodate e ...cervello fino. Il costume è ovviamente locale, dell’epoca fine 1700 primo 1800, i calzoni all’epoca erano alla zuava (zompafósso) allacciati sotto il ginocchio, decisi quindi di farli di un bel colore rosso con bianchi calzettoni di lana e fascia nera in vita. Per copricapo, pensai ad un cappuccio pesante marroncino con la forma allungata che all’epoca raccoglieva i lunghi capelli (simile alla reticella dei Bravi manzoniani), che richiamasse i "sacchi d’ardìca" (di juta) che i contadini usavano per coprirsi la testa e le spalle quando lavoravano piegati a "scugliarciare" o nei campi sotto la pioggia (il sacco veniva piegato sistemando gli angoli uno nell’altro formando un copricapo che scendeva sulle spalle).
A far notare di più la maschera quando si muove allungai di molto i pizzi del colletto della camicia bianca con all’estremità campanellini a tintinnare.
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Bozzetto originale del 1982 |
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Per "scugliarciare sotto i capagnòli" i vignaroli usavano la zappa quindi questa maschera doveva avere qualcosa anche fra le mani e, cosa c’era di molto comune nell'ottocento? Le canne!!
Ed ecco spuntare fra le mani una canna di bambù dai molteplici usi, invece del solito bastone cui appoggiarsi.
Al normale mantello aggiunsi "il faraiolo" (la mantellina) che con un bel cordoncino viene legato sotto il colletto della camicia fungendo così anche da simpatico cravattino.
La maschera facciale è stata realizzata con un calco di cartapesta, è bianca ed ha due grandissimi fori per gli occhi e due baffoni neri; la bocca e scoperta.
Per ultimo pensai al nome, che fosse il più appropriato possibile ad una maschera, e Gurgumiello tratto dalla poesia "La battaglia di Marino" di Giovanni Battista Iachini trovai fosse il più adatto, anche per il suono onomatopeico del nome stesso, "gurgu" fa pensare a chi beve e di conseguenza fa risaltare una delle caratteristiche del personaggio, con il naso un po’ arrossato.
Il personaggio carnascialesco era finito, ma per farlo meglio distinguere sulla stampa da sfondi diversi dal bianco, gli applicai un fascio di luce come illuminato da un "occhio di bue" da palcoscenico, e non come molti pensano al profilo del sole.
Quell’anno furono realizzati tre costumi che indossammo: io, Fabrizio Rinaldi detto "Capello", ed Ennio Ferrante detto " ’o Pollastraro". In seguito fu la volta di Roberto Zaccagnini che ancor oggi si identifica bene nel personaggio. -
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Roberto nei panni di Gurgumiello |
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