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Pianta di carciofo "Cynara cardunculus scolymus" |
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NOTIZIE
Il carciofo (Cynara cardunculus scolymus) è una pianta della famiglia delle Asteraceae coltivata in Italia e in altri Paesi per uso alimentare e, secondariamente, medicinale.
CARCIOFI ALLA MATTICELLA
- Questo antico modo di cucinare i carciofi nasce dai “vignaroli veliterni” che dopo aver potato le viti e riempito le “rasa” (spazio tra un filare e l’altro) di sarmenti, aiutavano le donne, a raccogliere i tralci che legavano in fasci detti “matticelle” e le riponevano in una “matticellara” per la provvista del fuoco per il forno per la cottura del pane e per il fuoco della cucina di casa durante tutto il periodo annuale.
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Matticelle, sarmenti di vite |
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Dai racconti e dall’esperienza maturata, nella nostra zona si è sempre usata la brace dei tralci per cuocere alcune ricette povere, prettamente veliterne come “‘a pizza sotto ‘o solaro” (che tratteremo in seguito) “‘e cipolle e ‘e petate sotto ‘a brace, e i “carciofi alla matticella”, queste tra le ricette più tipiche nostrane realizzate senza alcun tipo di utensili.
Queste ricette povere ma molto saporite e nutrienti erano la prelibatezza dei nostri avi, insieme a fave, pecorino, “cavoglietti” e quant’altro che la terra donava a primavera.
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Una matticellara |
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Tornando ai carciofi, si usava (e ancora qualcuno lo fa) piantarli alla fine dei filari, dette, “capocciate”, quindi qualche decennio addietro ogni filare di viti aveva normalmente in questa zona le sue due piante di carciofo, pianta che non ama terreni particolarmente lavorati, consentendo così al vignarolo di risparmiarsi a zappare la “capocciata”.
La matticella: questa fascinella non sempre era della stessa grandezza ma variava a secondo della persona che la infagottava o dal proprietario che la richiedeva dall’“opra” (braccianti). Oggi la matticella è di unico formato perché imballata dalla macchina ed è molto più pesante (minimo il doppio) e compatta di quella fatta manualmente.
Il fuoco: “nònnemo” mi diceva ed io continuo a farlo quando capita, che (e qui si parla della densità di matticelle antiche) per cuocere i carciofi serve una tipologia di fuoco, tipo: 3 matticelle per il fuoco ed una matticella ogni 5 carciofi, se le matticelle sono di buona consistenza il fuoco è ottimo, altrimenti ci vuole un po’ d’esperienza per chi si cimenta in questa squisitezza culinaria, comunque è sempre meglio abbondare che “deficere”. I buongustai affermano che la brace va preparata sulla nuda terra, e per giunta su uno spiazzo esposto a ponente, dove la brezza pomeridiana mantiene viva la brace; per questa seconda affermazione hanno pienamente ragione, ma per la prima non mi azzarderei ha preparare il fuoco in terra se ha piovuto ultimamente, perché l’umidità della terra assorbe molto calore e quindi si rischia di non cuocere bene i carciofi.
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Matticelle confezionate da macchinari |
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È assolutamente sconsigliato cuocere i “carciofi alla matticella” in un luogo chiuso o in un camino, poiché la brace ha bisogno di ventilazione naturale che contribuisce sia a cuocere i carciofi che a conferire a questo piatto il suo tipico aroma.
Gli amanti di questa specialità preferiscono il modo tradizionale di allestire il letto di fuoco, cioè direttamente a terra, magari con il vento di ponente che tiene viva la brace, che viene distesa in uno strato alto almeno 10/12 centimetri.
Alcuni “da naso”, giurano che il gusto e la delicatezza della cottura variano a seconda della proprietà della vite da cui provengono i “sarmenti”.
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Carciofi riempiti di aglio e mentuccia |
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PREPARAZIONE
In tutte le ricette normali si indicano le dosi per persona o le quantità generali, nei “carciofi alla matticella” è preferibile non farlo, giacché se ne possono mangiare a gradimento e non bisogna mai rimanerne senza (nella mia famiglia non se ne fanno mai meno di 7/8 a testa: Si prendono delle belle “mammole romanesche” (una varietà di carciofo non spinosa), vengono pulite e si recidono i gambi a 1/1½ centimetro circa, si battono di testa su un piano possibilmente di marmo per allentarne le “bratte” (le foglie) così da farle aprire leggermente mostrando il fondo interno del carciofo.
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Mentuccia comune
"Calamintha nepeta" |
Aglio fresco
"Allium sativum" |
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Si riempiono al centro con un trito di “mentuccia fresca selvatica” foglie d’aglio fresco, sale e poi si irrora tutto il carciofo con un abbondante olio extravergine di oliva di frantoio. I carciofi, così preparati, vanno infilati con cura, per ¾ del loro volume, nelle braci ardenti, ottenute come detto “esclusivamente” dalle fascine di tralci secchi della vite (sarmenti), una volta adagiati sul letto di brace si possono riempire nuovamente con altro olio.
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Carciofo, varietà "mammole romanesche" |
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L’olio che si usa per la preparazione dei “carciofi alla matticella” deve essere rigorosamente di frantoio e dell’ultima raccolta, ricco di profumi vegetali, sapidità e morbidezze, cuocendo sulle braci deve sviluppare profumi “paradisiaci”: è un vanto far librare questa fragranza da un colle all’altro. Sarà poi bravura del “cuoco” lasciare che una parte dell’olio rimanga prigioniero nelle bratte per permettere al commensale, quando gusterà la “carciofola”, di appoggiarla sopra una fetta di pane casereccio e, foglia dopo foglia, lasciare che l’olio inondi il pane (anche del nostro pane ne parleremo a parte), unendo il suo colore verde a quello del carciofo.
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I carciofi appena messi nella brace ardente |
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Quindi con la brace sistemata, i carciofi pronti vengono alloggiati nel suo letto, in posizione eretta, pressando e imprimendo loro una rotazione affinché possano adagiarsi più a fondo.
Per compiere questa operazione, sono necessari destrezza e colpo d’occhio, qui è consigliabile aver a portata di mano un secchio d’acqua dove poter bagnare e raffreddare le mani.
La cottura che, a seconda della grandezza dei carciofi e della ventilazione, richiede dai 50 ai 70 minuti, deve essere ben controllata, spostando la posizione dei carciofi, e controllando che la brace sia sempre ben accesa.
Il carciofo appena tolto dalla brace, a prima vista sembra immangiabile, ma quando viene mondato delle bratte bruciate, sprigiona un profumo appetitoso indescrivibile.
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I carciofi riboccati con l'olio |
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Il tutto annaffiato da un buon frizzantino… È un punto d’orgoglio per ogni vignarolo veliterno preparare, durante la vendemmia, il vino per la “sua” carciofolata e, anche se l’enogastronomia ufficiale afferma che i carciofi male si sposano con il vino, a Velletri i produttori di vino hanno sviluppato negli anni una notevole capacità di creare vini che si esaltano proprio con l’alta presenza di ferro nel carciofo, ottenendo accostamenti strepitosi, di cui essere fieri anche in campo internazionale.
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Il carciofo appena tolto dalla brace |
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TRA STORIA E LEGGENDA
Della cottura dei “carciofi alla matticella”, preparati seguendo questo particolare procedimento, si dice usato ormai da secoli e sembra anche dagli antichi Etruschi. Ma di prove provate nella città di Velletri si parla di qualche centinaio di anni: infatti se ne trovano tracce in alcuni scritti della Compagnia del Gesù legittimata a Velletri con Bolla di Pio IX del 7 aprile 1851, ma i Gesuiti erano già in città da qualche anno al tempo dello Stato della Chiesa come risulta dagli Stati delle Anime del 1769; come pure nei racconti dei nonni, tramandati di generazione in generazione.
Secondo la leggenda, Assuntina, la bella figlia di un fattore, non si accorse, mentre si stringeva contenta tra le braccia dell’amato, che il “manicùto”(cesto) con i carciofi, che doveva cucinare per la colazione dell’“opra”(braccianti), lasciato nei pressi di un “focaraccio” aveva preso fuoco, lasciando cadere nella brace i carciofi che, ormai, mostravano le foglie irrimediabilmente bruciate. Per non incorrere nella furia paterna e non far scoprire la tresca amorosa, pensò di rimediare al disastro infilando nel cuore del carciofo, un po’ di aglio fresco che prese dalla “rasa”, staccò qualche rametto di mentuccia selvatica dal “temmerone” (terrapieno), aggiunse una buona dose di olio di oliva, e li risistemò nella brace del falò.
Quando arrivarono il padre e gli operai per mangiare, li accolse con entusiasmo dicendo che quel giorno aveva preparato la colazione come un atto d’amore in omaggio alla vite ed ai carciofi che da sempre, crescevano in simbiosi nel vigneto.
Festeggiata la nuova vivanda con un “abboccatello” della “cannata” il fattore decise che da quel giorno, il più bel filone d’uva sarebbe stato destinato a produrre vino per l’occasione di ogni “nuova primavera” che avrebbe visto celebrato il matrimonio dei “carciofi” con la “matticella”.
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Da notare i carciofi con dei stecchini
"personalizzati" al peperoncino o altro |
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Leggenda? Sicuramente! ! !
Di fatto la “carciofolata” resta la scampagnata più bella, dove per magia sbocciano nuovi amori e i vignaroli se la ridono di chi afferma che con i carciofi il vino proprio non và d’accordo.
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Manifesto della Festa del 2011 |
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~ Carciofola a 'a matticella ~
Appena che i romani furno pronti
a partì pe' conquistà le Gaglie,
for de porta trovorno belli onti
l'antichi "cardui". Cossì daglie e daglie,
'llarghénno teritorio e tradizione
de 'na cucina senza paragone.
Da 'e parti nostre, 'o zeppo naturale
pe' falli còce comme Ddio commanna
è 'a matticella: oglio, po' de sale,
aglio, mentuccia, còci e ietti 'n ganna.
Pe' 'na magnata, ci ha dda sta' vecino
'o pane nostro, fave e pecorino.
'A matticella, ch'era dato 'o vino,
gira riggira, revà 'nzieme a isso:
'a rècola è 'n biccere bello pino
pe' 'gni carciofo che ce sete misso.
Ma 'ttente de nun fa' li sprocetati,
che quand'è llà, ve po’ piglià la voglia
da fa' 'na botta da scomugnicati,
e favvene 'n biccere pe' ogni foglia! |
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Poesia di R. Zac per la cartolina della festa del Carciofo alla Matticella, 8 maggio 2005 con annullo postale straordinario
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