NOTIZIE   SPULCIATE


 

Le Decarcìe

Decarcìa, parola greca composta (deca arcos - dieci principi), poiché all’epoca governavano la città i Signori Nove più il Podestà, e all’inizio 100 erano i consiglieri e tutti venivano scelti in ugual numero da ogni quartiere, s’ipotizzò che 10 dovevano essere questi quartieri detti Decarcìe. Si parlava di Decarcìe già poco dopo il 1200, ma i primi approcci dei loro nomi arrivati fino a noi da vari manoscritti partono dal 1400. Le Decarcìe conosciute sono in numero di sei (S. Salvatore, Castello, Portella, Collicello, S. Maria, e S. Lucia), pur tuttavia amministrativamente si dividevano in quattro distretti per l’elezione dei Magistrati. Quindi se queste Decarcìe si dividevano per festeggiare singolarmente o in competizione tra loro, nel momento più intenso dell’attività cittadina le più piccole territorialmente si univano alle altre. Poi, sempre ammesso che siano esistite, in tanti si sono scervellati nella ricerca delle altre quattro mancanti. Dalla conformazione della Città dell’epoca, possiamo sbizzarrirci anche noi con un’ipotesi strettamente personale ad elencare le altre piccole Decarcìe, (forse abbandonate perché troppo addossate elle mura perimetrali e distaccate dal nucleo della città o forse distrutte dalle varie guerre), ricostruzione che, anche se senza possibilità di verifica, è di quelle da raccontare anche per un certo gustoso sapore goliardico: la prima potrebbe essere la Decarcìa del “Gonfalone" (dalla Chiesa di S. Giovanni in Plagis con l’omonima Confraternita), la seconda di "Porta Furba o Furia" (dal nome della porta d’entrata ovest), poi quella dei "Santi" (delle chiese di S. Paolo, S. Leonardo, e S. Antonino nella zona nord-ovest), e infine la più piccola del "Drago" (della chiesa di S. Giorgio). Nomi prettamente inventati, giocando su una ricostruzione storicofantasiosa dell’antica mappatura cittadina.
Un accenno a tradizioni fatte alla "vivailparroco", parlo dei ridicoli stemmi abbinati alle Decarcìe, effigi che hanno la loro storia la loro cultura che è la nostra storia la nostra cultura, stemmi nobiliari, messi a ridicola insegna di contrade che invece avevano sicuramente solo dei COLORI. Il Théoli nel Teatro Istorico accenna a colori per la città, in altri documenti si legge di colori di bandiere, e si parla ancora di colori di compagnie militari sponsorizzate dagli ebrei, quindi si desume che la città in alcuni suoi aspetti era regolata solamente da colori. Per questo tramite intuizione si è cercato di recuperare qualche abbinamento di colori, e poi sempre fantasticando si è tentato di dargli una sistemazione ed imprimerli su labari (vedi testata).

LA PRIMARIA DECARCÌA DI S. SALVATORE - La primaria Decarcìa di S. Salvatore si fregia di questo titolo perché entro i suoi confini c’era la casa della ragione il primo edificio del governo cittadino, fino a quando venne costruito il palazzo comunale in Decarcìa di Castello. Nelle strade della Decarcìa si trovano ancora numerose testimonianze medioevali. Il cuore di essa è l’antica chiesa dedicata al SS.mo Salvatore risalente sicuramente ai tempi apostolici.
LA DECARCÌA DI CASTELLO - La Decarcìa di castello si estende sull'antica acropoli cittadina, in essa si trovano preziose testimonianze della vita rinascimentale della gens veliterna, come il Palazzo Comunale o la Chiesa di S. Lorenzo.
L'ANTIQUA ET NOBILISSIMA DECARCÌA DI PORTELLA - L'antiqua et nobilissima Decarcìa di Portella, prende il nome dalla piccola chiesa che esisteva nei pressi dell’odierna Piazza XX Settembre, dove si venerava la bella immagine della Madonna con il Bambino e S. Giuseppe detta appunto Madonna della Portella. Trasferita a S. Martino nel 1483 è stata trafugata nel 1975, attualmente si venera una copia del prof. Roberto Guidi ricostruita sulla descrizione pubblicata da Padre Italo Laracca sulla sua monografia "La Chiesa di S. Martino e i Padri Somaschi".
LA NOBILE DECARCÌA DI COLLICELLO - La nobile Decarcìa di Collicello, copre la parte più antica della città, ovvero l'antica velitrae, sotto di essa si trovano l'anfiteatro e il foro romano.
LA DECARCÌA DI S. MARIA - La Decarcìa di S. Maria copre la parte medioalta della città, in essa vi sono ancora visibili importanti testimonianze artistiche nonostante la devastazione del bombardamento del 22 Gennaio 1944.
L'INSIGNE DECARCÌA DI S. LUCIA - L'insigne Decarcìa di Santa Lucia prende nome dalla chiesa di S. Lucia V. M. e comprendeva tutta la parte nord della città, ed anche la famosa porta di S. Lucia che venne murata immediatamente nel 1720 appena saputo che in Francia era scoppiata la peste allarmando tutti i veliterni, fu poi demolita alla fine del '700. La chiesa venne fondata nell’XI secolo, fu Leone II,  Vescovo di Velletri a consacrarla nel 1032, e conservò il suo aspetto originario almeno fino al XIV secolo. Nella visita fatta da Ludovico Boido per ordine del Cardinale Alfonso Gesualdo Vescovo di Velletri nel 1595, infatti la descrive ad una sola navata con il soffitto di nuda travatura.

LE DECARCÌE NEI PAESI LIMITROFI - Da riscontro con ricerche di altri comuni limitrofi sulla loro storia, l’origine del termine “decarcìa” risalirebbe all’amministrazione bizantina, la parola si riferiva ad un reparto militare, ed in seguito probabilmente fu usata per indicare quelle zone della città che dovevano dare un certo numero di soldati, dimostrando che le istituzioni militari avevano un’importanza notevole in quel periodo. Nell’età medievale i quartieri e le contrade di molti comuni, infatti, accettarono la configurazione e le competenze amministrative. Con la suddivisione amministrativa le “decarcìe”, e quindi i conestabili che ne erano i responsabili, venivano investiti di alcune funzioni di carattere burocratico e controllavano l’organizzazione militare. Ogni zona o rione, nello specifico, doveva dare uno stesso numero di soldati all’amministrazione. Ma nei comuni la popolazione cresceva in modo poco uniforme ed esisteva una forte disparità tra un rione e l’altro nel rapporto tra popolazione rionale e numero di soldati da fornire. In alcuni comuni dalla fine del 1200 si adottò un provvedimento riorganizzativo per le “decarcìe” in modo che ciascuna forniva un certo numero di soldati (in questo provvedimento rientrarono anche forestieri residenti e le zone periferiche). Durante la metà del XIV secolo, in seguito al dominio della chiesa in certi territori, si attuò un mutamento nella denominazione delle “decarcìe” sostituendo il vecchio nome medievale con toponimi di chiese e parrocchie esistenti nel rione.

'O Stannardo de Sant'Antogno

Benché già nel 1644 il Théoli scriveva della solita cavalcata che consiste nel disputarsi uno stendardo raffigurante il Santo, era mediante gara del migliore offerente, e che il vincitore lo portava in giro per la città appoggiandolo sulla spalla, seguito da tutti i cavalieri e mulattieri che avevano fatto benedire le proprie bestie dal prete di turno, scortando lo stendardo poi fino alla casa dove sarebbe stato esposto in venerazione fino all'anno successivo.

Verità, stranezza, errore o provvisoria presenza di un altro Santo

Dalle foto del 1905 di Thomas Ashby a Velletri (detto il fotografo della Appia Antica), abbiamo la sua foto della Chiesa di Sant'Antonio (sotto) con una strana didascalia: "La foto raffigura la chiesa di S. Antonio che, per un periodo all'inizio del XX sec., era nota come Sant'Andrea. Si tratta di un edificio risalente al XIV sec., che attualmente serve come rettoria dell'Università dei Mulattieri e Carrettieri di Velletri. In precedenza era annesso a un convento in cui vissero prima i monaci Antoniani e poi quelli di Vienne, fino alla soppressione della congregazione."

 

 

Aldo Manuzio (1449 - Venezia 1515)

Aldus Manutius, tipografo artista, ne rivendicano i natali Bassiano Romano, Palestrina e qualche testo non attendibile Velletri. Da indicazioni ben precise si desume che almeno qualche anno scolastico a Velletri l’abbia frequentato (1465/70).
Studiò a Roma e a Ferrara. Trasferitosi poi a Venezia, nel 1494, iniziò la sua attività di tipografo ed editore di opere in greco e latino. Fra il 1495 ed 1498 pubblicò l’opera di Aristotele in 5 volumi. Nel 1499 stampò il Polifilo del domenicano Francesco Colonna, uno dei volumi più pregiati (non solo per le illustrazioni) dell’umanesimo italiano. Nel 1500 dette l’avvio ad una collana di libri (di dimensioni e prezzo ridotti) in cui per la prima volta venne utilizzato il carattere corsivo. I caratteri utilizzati erano detti "Caratteri Aldini" con cui stampò le più belle opere dell’epoca, questi assomigliavano alle lettere dei manoscritti greci da cui i libri a stampa erano copiati. Dai caratteri trasse il nome l’Accademia Aldina, che Manuzio fondò per accogliere numerosi artisti e studiosi fuggiti da Bisanzio e rifugiatisi a Venezia.

- Chiesa di S. Crispino -
Archivio Notarile l'atto del 1622 afferma che:

"Dovendosi fare una chiesa nella Città di Velletri invocata la Madonna de Costantinopoli con un quadro all’Altar maggiore de SS. Crispino et Crispiniano Protettori de Calzolari l’infrascritti calzolari s’obbligano pagare cioè donare l’infrascritte somme ... cominciando dal giorno che si farà l’instrumento della compra del sito et loco dove dovrà farsi detta Chiesa, e non facendosi detto instrumento di compra non siano obligati... ... Se faccino capitoli tra l’Università de Calzolari et la Religione del 3° ordine de S. Francesco et suo deputato nel modo che si è stabilito et trattato con il R. Priore frà Francesco Basso."

Ma il Tersenghi (p.117) dice che la chiesa fu costruita nel 1620 dai francescani con il titolo di Madonna di Costantinopoli e passò poi all'Università di Calzolai intorno al 1636 e intitolata a S. Crispino.
Queste date non concordano con l'atto notarile.
Il Tersenghi la dà ancora presente ai suoi tempi.
Non è sicuro ma sembra che fosse accanto a piazza dell'Oca; da diversi indizi si pensa che si trovasse dopo la piazzetta dell'odierna via San Crispino, al centro della salitella sulla sinistra.

Fra’ Cassio da Velletri

Personaggio mitico leggendario, frate che godeva fama di guaritore.
La principale legenda racconta che Messer Nuccio Tornabuoi, essendosi invaghito di Lisa, moglie del gonfaloniere di giustizia di Firenze Lapo dei Pazzi, scommette che riuscirà a conquistarla. Per realizzare il sogno, sparge la voce che Fra’ Cassio da Velletri è capace di mettere in fuga il demone della lussuria dal corpo della donna: quindi, fattosi passare per il santo frate circuisce la donna, e per curarla bene dice che ci vorrà parecchio tempo, la fa sua per un anno intero, anche con la complicitàdi Lisa e con spese cospicue di Lapo. Viceversa, nella leggenda otto/novecentesca del centro Lazio, Fra’ Cassio è un personaggio non meglio definito, si cita di solito quando qualcuno ti chiede "Ma chi è?" e la risposta è scontata: "Fraccazzo da Velletri !!"
In verità, è un buon religioso, chitarrista ed organista nella Roma del 1920.



1526 / 2004

Oltre a festeggiare eventi mai esistiti, si festeggiano anche gli antichi nemici !!!  (rievocazione nel Carosello storico di Donna Vittoria che mai entrò nelle mura veliterne).
Anche se Donna Vittoria Colonna appartiene al gruppo delle tre grandi poetesse italiane del Cinquecento, si è rivoltata ugualmente nella tomba, dato che nel 1526 i velletrani gli ammazzarono i parenti nella storica battaglia di Marino, e nel 1536 Paolo III revoca addirittura le pretese del fratello Ascanio Colonna verso Velletri per i danni della suddetta guerra…!
Guerra che segna la fine della potente famiglia Colonna. Vittoria e sua cognata si rivolgono al Papa con lettere e sonetti per commuoverlo, ma inutilmente perché i Colonna sono spogliati dei loro castelli e devono fuggire per salvare la vita. Questa nuova sciagura influirà sull’animo della poetessa che è costretta a rifugiarsi nel convento di San Paolo a Orvieto, dove morirà il 25 febbraio 1547.
Michelangelo era accanto al suo letto: in seguito scriverà di dispiacersi del fatto di aver baciato soltanto la mano di Vittoria e non il suo viso.

Il 7 ottobre 1571

Durante la battaglia di Lepanto un Tullio Toruzzi capitano agli ordini del grande Marcantonio Colonna ebbe l’onore di comandare la Galera chiamata San Giovanni, sulla quale fece atti valorosi, e sostenne il combattimento senza arrendersi mai, finché vi trovò gloriosa morte.
Nella stessa battaglia si trovava anche Andrea Toruzzi che ebbe la ventura di tornare in patria, mentre un altro componente della famiglia un certo Cesare vi morì.

Le antiche Porte

Otto o forse più erano le porte della nostra Città: Porta Furio o Furba, di Santa Lucia, di Santa Martina, Mètabo, del Pontone, Superiore o Romana, del Vescovo o da Basso (ora Napoletana), Portella (piccola porta, forse uscita pedonale ad Est).

Il 4 marzo 1912

Con il TRAM, veniva realizzato il collegamento diretto Capannelle-Albano-Genzano staccandosi da Via delle Cave passando per Via Appia Nuova, in modo da raggiungere il fronte Appio dei Castelli Romani più rapidamente e anche per diminuire l'affollamento sui rotabili.
Successivamente i binari raggiunsero Velletri (12 sett. 1913) e Lanuvio (8 luglio 1916). Il 28 luglio 1932 furono realizzati un prolungamento per la località Valle Vergine (ai piedi di Rocca di Papa) ed il nuovo impianto funicolare a trazione elettrica oggi ancora esistente anche se non più in uso.

2004

La Cattedrale di San Clemente compie 340 anni dalla dedicazione fatta dall’Arcivescovo Bonaventura Teoli il 13 luglio 1664 per mandato del Cardinale Carlo De Medici, Vescovo di Ostia e Velletri. La cattedrale venne ricostruita dopo il crollo del campanile a causa di un fulmine che distrusse l’intera chiesa salvando solo l’abside e la cappella della Madonna delle Grazie. Era il 1656 l’anno in cui la città veniva devastata dalla peste. Per volere del Vescovo Fiorentino la cattedrale venne ricostruita nella forma attuale e vennero tolte le antiche 24 colonne di marmo (descritte nel 1595) per fare posto agli attuali pilastri.

Giuseppe Galletti (Bologna, 1798-1873)

Patriota italiano, prese parte ai moti del 1831 e l'anno seguente combatté a Cesena contro le truppe pontificie, restando ferito.
Arrestato come cospiratore nel 1844, fu condannato al carcere a vita e poi amnistiato da Pio IX nel 1846. Ministro di Polizia nel 1848, l'anno dopo venne eletto presidente della costituente che portò alla repubblica romana. Combatté a Velletri contro le truppe borboniche, quindi andò esule in Piemonte e poi in Sardegna. Nel 1866 fu eletto deputato nel collegio di Poggio Mirteto.

Il Baiocco

Quest’unità di antiche origini, il cui nome fu forse preso nel medioevo da una moneta che aveva la scritta BAIOCAS CIVITAS (città di Baiocas), era originariamente battuto in argento, il suo valore fu progressivamente ridotto, finché nel 1725 Benedetto XIII° ne cambiò il metallo, passando al rame. Ciononostante, esistevano anche monete più piccole. Diversi multipli e sottomultipli furono battuti nei secoli XVIII° e XIX° e, durante il papato di Pio VI° si emisero undici pezzi diversi di questa unità: 60, 25, 12, 8, 4, 2, 5, 2½, 2, 1, e ½ baiocco. I pezzi da 2 e 4 baiocchi erano a volte chiamati "muraiola", mentre il 5 baiocchi di Pio VI° era anche detto "madonnina", e il 2½ baiocchi dello stesso papa era il "sampietrino".
I valori più piccoli (fino a 5 baiocchi) erano in rame, tutti gli altri erano in metalli compositi.
Il nome baiocco divenne anche il termine generico per "moneta spicciola", a Velletri il nome fu ancora più abbreviato in "bocco" e con l’assorbimento dell’articolo "u’ mmocco".

Boia

Annotazioni delle Giustizie eseguite da "Gio. Battista Bugatti" detto "Mastro Titta".
Sono qui riportate le note redatte dal Bugatti, il quale aveva l’abitudine di registrare le esecuzioni compiute (i rei seguenti sono veliterni ed il numero corrisponde alla quantità di persone giustiziate). Si deve ad Alessandro Ademollo il ritrovamento di questo documento che venne pubblicato per la prima volta da Lapi in Città di Castello nel 1886 (il testo è ripreso fedelmente).

176 - Vincenzo Bellini di Velletri
177 - Pietro Celestini di Montefortino (attuale Artena)
178 - Domenico Pascucci
179 - Francesco Formichetti
180 - Michele Galletti, cinque briganti affiliati alla «banda della Faiola» rei di più grassazioni; eseguita in Roma li 18 maggio 1816, di «forca e squarto», in Piazza del Popolo.

318 - Domenico Caratelli
319 - Giuseppe Bianchi ambedue di Velletri, per grassatori, «decapitati» in Viterbo li 17 Aprile 1838.

370 - Gaetano De Angelis
371 - Luigi De Angelis di Velletri rei di omicidio e grassazione, «decapi- tati» in Velletri li 12 settembre 1843.

378 - Angelo Cece
379 - Antonio Tintisona il primo di anni 21, ed il secondo 25, da Monte Fortino, «decapitati» in Velletri il primo giorno di giugno 1844, per grassazione e ferite, con qualche pericolo.

423 - Pietro Chiappa
424 - Landerio Civitella
425 - Paolo Dolci
426 - Filippo Dolci
Il primo di anni 22, il secondo di anni 30, il terzo di anni 26, ed il quarto di anni 24, tutti Velletrani e rei di grassazioni ed omicidj, condannati al «taglio della testa», giustizia eseguita li 9 agosto 1854 alla Piazza di San Carlo in Velletri.

482 - Francesco Elisei di Velletri, di anni 23 per omicidio volontario «decapitato» in Civita Castellana li 22 dicembre 1857.

498 - Vincenzo Vendetta, velletrano
499 - Antonio di Giacomo, velletrano
500 - Luigi Nardini, velletrano
501 - Antonio Vendeta, per grassatori ed omicidj «morti» in Velletri li 29 ottobre 1859.
502 - Valentino Antonio di Giacomo, tutti e cinque velletrani.

1590

A Velletri i Priori per il sospetto di peste ordinarono un severo controllo delle porte della città; nello stesso anno e nel successivo molti consigli comunali andarono deserti perché buona parte dei consiglieri o era morta di peste o ancora inferma.
Poi nel 1591 per la mancanza di mano d'opera nell'agricoltura una terribile carestia invade tutta l’Italia, e nella nostra città si ordina che nessun forestiero si possa fornire di pane, eccetto il portalettere, ai veliterni di munirsi di tessera dopo essere stati esentati dai tributi.

Ascanio della Cornia di Perugia (1516 - †dicembre 1571)

Marchese di Castiglione del Lago, Signore di Città della Pieve e di Abbadia San Salvatore. Suocero di Montino del Monte a Santa Maria.
Nell’estate 1556 come Capitano generale della fanteria della Chiesa viene preposto alla difesa di Velletri. Ma nell’agosto dello stesso anno è sospettato di tradimento (o piuttosto perché Paolo IV ha bisogno di denaro ed egli ne possiede molto), perciò viene dato l’incarico a Papirio Capizucchi di mettersi al comando di 400 fanti, di arrestarlo e di condurlo a Roma. Il fratello Fulvio, Cardinale, lo informa di quanto lo aspetta: il della Cornia abbandona Velletri e ripara a Nettuno, che ha occupato di recente ai danni dei colonnesi. Persuade gli abitanti di essere inseguito da alcuni suoi cavalieri leggeri che si sono ammutinati e che sono passati al servizio degli imperiali: il Capizucchi è bloccato dalla guarnigione di Nettuno. Ascanio prende un battello, fugge a Gaeta ed a Napoli presso il duca d’Alba. I suoi beni nel Chiugi sono confiscati ed il fratello Cardinale è arrestato. Torna a Velletri nel giugno 1557, con alcune compagnie di fanti e cavalieri.
Fa abbattere le cadenti mura cittadine per costruire al loro posto forti bastioni. Valoroso, buon soldato, di grande esperienza nelle armi. Uno dei più rinomati e famosi capitani del secolo XVI. Eccellente inventore di nuove fortificazioni nel primo secolo dell’artiglieria. Di ottimo ingegno e di somma vigilanza, prudente.

Ascanio Colonna (1495 - †marzo 1555)

Duca di Tagliacozzo, conte di Albe, marchese di Atessa, barone di Carsoli, conte di Manoppello. Signore di Anagni, Rocca di Papa, Paliano, Grottaferrata, Nemi, Marino, Lanuvio, Genzano, Ceccano, Sonnino. Figlio di Fabrizio, fratello di Sciarra, cugino di Vespasiano.
Nel giugno 1527 si allontana da Roma con 8.000 fanti; entra in Velletri ed è nominato governatore della città: impone ai cittadini una taglia di 24.000 scudi a titolo di risarcimento per i danni arrecati dagli abitanti a Marino l’anno precedente. I velletrani gliene consegnano subito 7.000 e, per la somma residua, ipotecano il territorio di Lariano e parte di quello della Fajola. Nell’agosto è sostituito nel suo incarico di governatore di Velletri da Giambattista Castaldo.

Filoteo dr. Lozzi

Nato a San Giovanni Lipioni il 1861. Laureato in Giurisprudenza. Immesso in carriera per pubblico concorso il 19 aprile 1881. Ha prestato servizio presso Pozzuoli, Pesaro Urbino, Palmi, Avezzano, Napoli, Campobasso, Foggia, L’Aquila, Avellino, Palermo (a disposizione del Commissario per la Sicilia), Salerno, Caltagirone, Cosenza (con l’incarico di Regio Commissario dall’aprile 1900), Caserta, Campagna, Arezzo, Sassari, Ancona, Firenze, Bari. Viceprefetto con l’incarico di Regio Commissario presso gli Ospedali ed Ospizi di Lucca. Nel 1910 è il commissario prefettizio di una Velletri in sfascio. Nominato prefetto di 2ª classe il 1° agosto 1912. Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia. Grand’Ufficiale dell’Ordine Mauriziano.
Prefetto di Cosenza (1912-14), Avellino (1914-16), Siracusa (1916-18), Macerata (1918- 19). Da marzo 1919 è Regio Commissario di Lecce. Collocato a riposo per ragioni di servizio nel maggio 1919.
Richiamato nel febbraio 1922 e destinato ad Ascoli Piceno. A disposizione con l’incarico di Regio Commissario a Mantova (febbraio - novembre 1922). Prefetto di Perugia (1922-23), Foggia (1923-24).
Collocato a riposo d’ufficio per aver compiuto oltre 40 anni di servizio nell’agosto 1924.

La Pallade Veliterna

Da ricordare il ritrovamento in contrada "Troncavia" a Velletri, della statua di Athena Pallade, rinvenuta nel 1797. Le 59 parti della statua erano in buono stato di conservazione tanto che fu possibile ricomporle facilmente. La statua si presenta colossale, è alta 3.05 m., in posizione eretta, leggermente sbilanciata dalla torsione della gamba destra. È della seconda metà del II° sec. a.C., probabilmente è una copia di un originale bronzeo del V sec. a.C. attribuito a Cresila, scultore greco contemporaneo di Fidia. Fu acquistata per una misera somma dal Governo francese che all'epoca dominava questa zona. Oggi è conservata al Museo del Louvre insieme all'"Ermafrodito dormiente sulla roccia" altro capolavoro rinvenuto in Velletri.

Il Sangiacco

Il SANGIACCO (bandiera o vessillo) preso ai turchi da Antonio Blasi il 12 settembre 1683 durante la Battaglia di Vienna e donato alla Madonna delle Grazie non si è mai mosso da Velletri.
L'erronea notizia data dal Mammucari è stata a sua volta copiata da un libro di Don Fernando De Mei.
Un vessillo turco venne sì restituito allo stato della Turchia, ma nel 1962 da Paolo VI.
Il Sangiacco velletrano ha anche una copia... ma sia l'originale che copia stanno "Jettati da ca' parte" nei locali della Cattedrale.
Sarebbe opportuno sistemarli in modo idoneo . . . . . . .

Oscillum

Oscillum in marmo con scena di deposizione.
Il tondo, che era murato sull’arco di una finestra del cortile di Palazzo Graziosi a Velletri, entrò a far parte di una collezione privata nel 1930, per donazione o per acquisto. Il reperto presenta chiari segni di rimaneggiamento e, anche se non vi è notizia alcuna sulla sua riutilizzazione e trasformazione, appare evidente che raffigurasse anticamente una scena di ispirazione classica, trasformata poi, da uno scalpellino poco abile, in quella pertinente la deposizione di Cristo.

Cappella del Tesoro di San Gennaro - Napoli

Curiosità, nella stanza della Sagrestia, (della Cappella del Tesoro di San Gennaro luogo in cui avviene il miracolo della liquefazione del sangue del Patrono tre volte l’anno: nel primo sabato di maggio – giorno della sua prima traslazione – il 19 settembre – giorno della sua morte e festeggiamento del suo nome – e 16 dicembre – data del miracolo che fermò la devastante eruzione del Vesuvio nel 1631) ci sono due quadri che custodiscono cimeli di guerra: in realtà sono le bandiere strappate ai tedeschi da Carlo III di Borbone nel 1744 nella battaglia di Velletri e quelle tolte da Carlo VI ai Turchi nella battaglia di Belgrado nel 1717, offerte al Santo per la protezione avuta in guerra..

La Ruzzola

Gioco di abilità ma che richiedeva anche molta fortuna nel lanciare il disco o la forma di formaggio pecorino molto stagionata del peso che variava secondo la grandezza (dai 5 ai 10 Kg.).
Si tirava, senza alcuna rincorsa, facendo leva sul piede di appoggio fermo sulla linea.
La Ruzzola veniva arrotolata con "‘o ‘mpeciato" uno spago (dai 2 ai 4 m. di lunghezza) da calzolaio frizionato sulla pece per meglio far presa sul suo perimetro.
Il gioco era praticato "For de Porta" (Napolitana) ed il suo lancio imprevedibile non stabiliva a priori la vincita. Nel lancio si liberava la Ruzzola la quale saltellando e rotolando sul terreno sconnesso (strada selciata e sterrata dell’epoca) finiva la corsa nei luoghi più disparati.
La Ruzzola molto popolare (giocata in molte feste annuali) finì la sua esistenza per via delle scommesse.
Uno degli ultimi editti del "16 Febraro 1827" dice testualmente:
"… è permesso in questi giorni il gioco del Formaggio fuori di Porta, non però sono autorizzate le scommesse sul gioco medesimo, Chiunque pertanto sia dei Giocatori o estraneo si permettesse di scommettere somma alcuna, o con essi, o con altri, s’intende incorso nella pena che trovansi stabilita per li giuochi, che si fanno nei publici siti."