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1 - Re Mètabo con in braccio la figlia Camilla respinge gli inseguitori* |
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L'Amaseno, fiume del basso Lazio, è reso noto grazie all'immortale poema virgiliano. Sulle sue rive avviene l'appassionante episodio di Mètabo e Camilla, così il riassunto:
Mètabo, Re dei Volsci, con una sommossa popolare viene scacciato da Priverno ed è costretto a vagare per i monti con in braccio la piccola Camilla, che ha perduto la madre forse durante le insurrezioni. Dato che suoi nemici non cessano di dargli la caccia, un giorno accade che viene scoperto, vìstosi assalito, fugge cercando scampo nel fiume Amaseno. Trovandolo però ingrossato per la piena non si arrischia di passarlo a nuoto con la bimba. Prende quindi un'estrema decisione: avvolge la piccina in una scorza di sughero, che lega saldamente al centro della sua poderosa lancia e la scaglia di là dal fiume con tutte le sue forze. L'asta va a piantarsi nella riva opposta, portando con sé in salvo la piccola, il padre guada a nuoto l'Amaseno e fugge con lei sui monti, lasciando dietro di sé i nemici.
2 - Mètabo getta la lancia, a cui ha legato Camilla, sull’altra sponda del fiume Amaseno* |
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Così scrive Virgilio (Eneide, cap. XI - 859):
... Mètabo, il padre
di lei, fu per invidia e per soverchia
potenza da Priverno, antica terra,
da' suoi stessi cacciato; e da l'insulto,
che gli fece il suo popolo, fuggendo,
nel suo misero esiglio ebbe in campagna
questa sola bambina, che mutato
di Casmilla sua madre il nome in parte,
fu Camilla nomata. Andava il padre
con essa in braccio per gli monti errando
e per le selve, e de' nemici Volsci
sempre d'incontro avea l'insidie e l'armi.
Ecco un giorno assalito con la caccia
dietro, fuggendo, a l'Amaseno arriva.
Per pioggia questo fiume era cresciuto,
e rapido spumando, infino al sommo
se ne gìa delle ripe ondoso e gonfio;
tal che, per tema de l'amato peso
non s'arrischiando di passarlo a nuoto,
fermossi; e poi che a tutto ebbe pensato,
con un sùbito avviso entro una scorza
di selvatico sùvero rinchiuso
la pargoletta figlia. E poscia in mezzo
d'un suo nodoso, inarsicciato e sodo
tèlo, ch'avea per avventura in mano,
legolla acconciamente; e l'asta e lei
con la sua destra poderosa in alto
librando, a l'aura si rivolse, e disse:
- Alma Latonia virgo, abitatrice
de le selve e de' monti, io padre stesso
questa mia sfortunata figlioletta
per ministra ti dedico e per serva.
Ecco ch'a te devota, a l'armi tue
accomandata, dal nimico in prima
sol per te la sottraggo. In te sperando
a l'aura la commetto: e tu per tua
prendila, te ne prego, e tua sia sempre. -
Ciò detto, il braccio indietro ritraendo,
oltre il fiume lanciolla: e 'l fiume e 'l vento
e 'l dardo ne fêr suono e fischi e rombo.
Mètabo, da la turba sopraggiunto
de' suoi nemici, a nuoto alfin gettossi
e salvo all'altra riva si condusse.
3 - Re Mètabo nutre la figlia Camilla con il latte di una giumenta* |
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Camilla, diventa abile guerriera, cresce da amazzone sotto la protezione degli dei, riunisce sotto di sé le popolazioni del basso Lazio per difendere il suo regno dall´assalto di Enea, fuggito da Troia in fiamme. Aiutata dalle fedeli compagne, la giovanissima regina dei Volsci compirà imprese così eroiche da meritarsi il favore di Diana e l'ira di Venere. Intanto, gli eserciti sono schierati per l´ultima e decisiva battaglia, guida il suo popolo combattendo a cavallo, accompagnata da una schiera di vergini guerriere, simili alle amazzoni, è al fianco di Turno, re dei Rutuli, e cadrà in una mischia furiosa per mano di Arunte, la sua morte viene poi vendicata dalla dea Diana.
Le vicende di Camilla vengono narrate nel libro XI dell'Eneide.
Dante la colloca nel primo cerchio dell'Inferno, nel Limbo, tra gli Spiriti Magni.
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7 - Camilla uccide Liri, Pegaso e Ornito* |
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Dante - Inferno, canto IV - 121/132
I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte, vidi 'l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
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8 - Camilla uccide Orsiloco e Bute* |
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Virgilio ENEIDE canto I - 100/111
Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.
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9 - Camilla insegue a piedi il figlio di Auno e lo uccide* |
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Questo Veltro salverà l'Italia, per cui combattè la giovane Camilla (un po' leggenda, un po' verità; di queste cose scrive Virgilio), Eurialo, Niso e Turno (tutti eroi della guerra per conquistare il Lazio).
Il Veltro è emanazione della Trinità che si serve dell'Impero e della Chiesa per la sua opera di salvezza.
È, questo, uno dei celebri enigmi della Commedia.
Nel significato letterale il veltro è un cane da caccia, adatto, quindi, a snidare la lupa da ogni luogo, ma trattandosi di una profezia il linguaggio è ermetico.
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10 - Arunte uccide Camilla* |
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11 - Il corpo esanime di Camilla viene sorretto
dalla fedele Acca e da un'altra amazzone.* |
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12 - Il corpo della vergine Camilla, sacra a Diana, è trasportata con le armi in cielo * |
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*) Bologna - Palazzo Poggi,
Sala di Camilla con gli affreschi di Niccolò dell'Abate (Modena 1509 - 1571 Fontainebleau)
La sala prende il nome da Camilla, l’eroica principessa dei Volsci, le cui storie sono
narrate nell’Eneide di Virgilio.
Procedendo in senso antiorario, a partire dall’angolo adiacente alla
finestra sinistra si riconoscono dodici scene:
le scene, al ritmo di tre per parete, si alternano a putti e amorini che sporgono tra
le pieghe dei drappi.
I restauri hanno confermato che l'affresco dell’intera seconda parete è andato perduto (scene 4-5-6)
e che l’ultima scena è stata ampiamente ritoccata (scena 12). |
~ ~ I VOLSCI ~ ~
Il Maschio di Lariano
Popolazione di stirpe indoeuropea, di carattere bellicoso, che viveva di pastorizia e di agricoltura nella zona del fiume Liri comprendente il basso Lazio, l’alta Campania e il basso Molise (zona molto ricca di minerali utili come il ferro ed il rame).
Molte sono le incertezze sull’itinerario dell’occupazione volsca del Lazio meridionale e ancora forti dubbi sulla cronologia degli avvenimenti, in particolare se l’occupazione dell’agro pontino sia da collocarsi esclusivamente nel V sec. a.C., o se già sul finire del VI a.C. i Volsci iniziassero ad affacciarsi a sud dei Colli Albani e nell’area costiera tra questi ultimi e Terracina.
Gli scavi archeologici hanno suggerito le zone verosimilmente occupate dai Volsci: dal Fucino, alla valle del Sangro, all’alto Volturno.
Lo storico Livio nella Storia di Roma, a testimonianza della loro tenacia militare, racconta che erano "ferocior ad rebellandum quam bellandum gens ".
I loro centri principali erano Satricum, Frusino, Velitrae, Arpinum (la città di Cicerone) e Fregellae, città divenute famose in seguito come colonie romane.
Certamente verso la metà del V sec. a.C. (momento di massima espansione volsca) occupavano una zona molto ampia, delimitata a nord-ovest dall’asse Anzio/Satricum/Velletri/Cori, in pratica una linea di confine con i Latini, lungo la quale si tesero continue guerriglie tra gli uni e gli altri. Con ogni probabilità il controllo dei Volsci si estendeva su un territorio compreso tra questa linea e la valle dell’Amaseno fino a Terracina, sulla Valle del Sacco fino a Trerus, sulla Valle del Liri e sulla Val Comino.
Le fonti letterarie di Livio e Dionisio concordano nell’indicare certi avvenimenti, pertanto si possono fissare alcune date a.C.: Anzio appare volsca nel 496, Velletri dal 494, Corioli, Longuna e Polusca nel 493 (protagonista della guerra contro i Volsci fu il giovane Gneo Marcio, appartenente ad una famiglia patrizia; egli ottenne uno straordinario successo con la conquista del 493 a.C., della città di Corioli, da ricevere il nome di CORIOLANO).
Roma cacciando i Re (509 a.C.) si trovò a dover fronteggiare le invasioni dei Volsci.
La data della presa di Satricum e Circeii è incerta, ma l’ipotesi più probabile la collocherebbe negli anni 489/488 a.C.. Altre città rimangono latine: Ardea, Aricia, Norba, Signa, Setia. Dalla lista delle città conquistate dai Volsci manca Terracina, ma non si conosce la data della sua caduta in mano volsca.
Le fonti letterarie ricordano svariati episodi di contatti violenti già in epoca dei Re, oltre a Livio e Dionisio (secondo i quali questi primi contatti sarebbero avvenuti già all’epoca di Anco Marcio), mentre Strabone parla della riconquista da parte di Tarquinio il Superbo di Suessa Pometia, caduta in mano volsca. È certo che la ricchezza della terra dei Volsci fu da sempre oggetto di interesse per i Sanniti ed i Romani.
Le origini di Velitrae
L’origine di Velletri, così come quella di molte altre città la cui storia “si perde nel tempo”; perciò, in mancanza di testimonianze certe, si è cercato di ricostruirla attraverso fonti anche poco attendibili che non hanno retto neanche al primo riscontro. Nessuno degli antichi storici parlano della fondazione di Velletri, né di quella delle altre città del Lazio; essi si limitano a ricordarle indirettamente, nelle narrazioni delle gesta romane.
C’è chi ritiene che Velletri sia stata fondata dai Volsci, di cui ne divenne la capitale e chi sostiene invece che la nostra città nacque etrusca intorno al 700 a.C., tanto per citare due temi del tutto contrastanti.
Più che i fertili campi della campagna veliterna deve essere stata l’invidiabile posizione strategica della città ad indurli ad occupare Velletri. A riprova di ciò Svetonio, ne “Le vite dei dodici Cesari”, riferisce che a Velletri si trovava un tempio di Marte, nume tutelare della gente volsca. Questo tempio era in grande rinomanza presso tutta la nazione, la quale vi si riuniva a sacrificare e a pregare. Il che diede motivo ai poeti di chiamare Velletri “Urbs inclyta Martis”, celebre città di Marte.
Municipium Romanum
Con la nascita di Roma, la città di Velletri, volsca o etrusca che fosse, dopo aver resistito per circa due secoli alle forti pressioni espansionistiche veniva conquistata definitivamente dai romani.
Velletri fu una civitas opulenta, come lo attestano le sue mura preromanee, le artistiche terrecotte volsche, preziosi tesori del VI sec. a.C., conservati nel museo di Napoli e in quello della nostra città. Fiera del suo Senato, della sua forza e della sua autorità, resistette lungamente contro la prepotenza accentratrice di Roma; e quando, domata da Furio Camillo, le dovette cedere il passo, essa divenne il più apprezzato Municipium Romanum.
Pur ultima dopo gli Equi, gli Enrici e gli Aurunci, quindi, anche a Velletri nel 338 a.C. alla fine di una guerra che Livio definì "eterna" e Cicerone "gravissima", veniva soggiogata da Roma e finiva così il regno dei Volsci con il leggendario re Mètabo e sua figlia Camilla di cui ci ha lasciato memoria Virgilio nell’Eneide.
Era inevitabile, però, che il dominio romano imponesse a Velitrae e ai suoi abitanti la sua religione, i suoi costumi e la sua lingua facendo a poco a poco perdere memorie di tutto quello che rimaneva della passata civiltà. Anche se Strabone scrisse: "Quando il popolo dei Volsci venne assorbito dai Romani, rimase presso questi la loro lingua, tanto che si rappresentavano in Roma commedie in lingua volsca".
Alcune fra le città Volsche
ANTIUM, ANXUR, ARPINUM, SETIA, FREGELLAE, MINTURNAE, FRUSINO, NORBA, PRIVERNUM, SATRICUM, SIGNA, VELITRAE
Velletri - Museo Civico - Lastra di coronamento (rit.)
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