I L L U S T R A Z I O N I
Storico-Artistiche
di Velletri   (1907)


 
 

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venderla, ed io credo che l’esistenza di una copia del quadro nella Chiesa di S. Martino debba riferirsi a quella circostanza.
Ultimamente il piccolo Battistero fu dipinto con eleganza dal bravo decoratore veliterno Emanuele Sciotti.

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-Chiesa di San Salvatore -

L’origine di questo tempio, sebbene antichissimo, si volle far risalire ad epoca assai più lontana, la quale peraltro non può accettarsi nè sostenersi di fronte alla critica storica.
Un antico frammento di iscrizione marmorea fu il grande argomento a cui si appigliarono i nostri storici, iscrizione, dice Clemente Cardinali « pubblicata da alcuni con molti più elogi di quelli che merita » (1) è la seguente:

DEOSALVATORI, OPT. MAXOVEAC.
DIVEGENITRICI ….. SAC …..
ANNO DNI C

(1) Iscrizioni antiche veliterne, Roma. De Romanis, 1823, pag. 222.

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Secondo questa lapide il tempio sarebbe stato eretto al Salvatore del mondo ed alla sua Madre Santissima nell’anno centesimo dell’era volgare.
Ma più ragioni concorrono ad oppugnarne l’autenticità, e tralasciando tutte le altre basta ricordare, come pure nota il Cardinali, che il primo a segnare l’èra cristiana fu Dionisio detto exiguo verso il 525, mentre nella nostra iscrizione sarebbe già segnata nell’anno 100.
E poi la stessa struttura dei caratteri in quel marmo, per testimonianza degli eruditi, è molto posteriore all’epoca dai medesimi registrata. Aggiungo che è storicamente accertato che le chiese incominciarono ad erigersi con pubblico culto non prima del secolo IV.
Ed allora come si spiega l’esistenza di quel frammento il quale forse potrà assegnarsi al sesto od al settimo secolo?
Da una lontana ipotesi accennata dai relatore della Visita Cavalchini (1) io m’induco a credere che presso il luogo dove esiste la Chiesa di S. Salvatore nel secolo primo del Cristianesimo, quando i primi fedeli esercitavano la loro pietà

(1) Visita Cavalchini, del 1764, Tomo I.

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nelle Catacombe, deve esservi stato un rifugio, ossia una cripta, un oratorio qualsiasi privato oppure una vera catacomba in cui i cristiani veliterni si adunavano anch’essi alla preghiera, e che la tradizione del fatto pervenuta viva voce ai cristiani nostri antenati di alcuni secoli dopo, ci fu dai medesimi tramandata in iscritto con la famosa iscrizione.
Ad ogni modo però la Chiesa di S. Salvatore se non con certezza la prima in origine è senza dubbio delle più antiche della nostra città.
Il solito breve di Alessandro II del 1065 è il primo documento che ne ricordi l’esistenza.
Al presente non conserva quasi alcuna traccia della costruzione primitiva perché in pochi secoli riedificata più volte, ma si ha sufficiente testimonianza del suo antico stato.
Nella Visita Gesualdo (1) si legge che era piuttosto scadente con l’abside dipinta da antica mano, in cui erano raffigurati il Salvatore ed altri Santi, con il coro avente sedili di pietra, e cappelle pure ornate di affreschi di epoca remotissima.

(l) Visita Gesualdo del 1695, pag. 65 e seg.

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Il Theoli (1) ne deduce l’antichità dalla struttura perché « era bassa, piccola e povera, che poi dalla pietà dei cittadini è stata ingrandita più volte con alquante cappelle... vi è una tribuna dipinta da buona mano e molto antica, con una Immagine di Nostra Signora sotto il titolo del Soccorso, di grandissima devozione; e perché detta tribuna ebbe una scossa di terremoto, fu riparata nel 1490 ».
E la Visita Cavalchini lo conferma, poiché riferisce che il Visitatore non appena vide la Chiesa la considerò di antichissima costruzione.
Il tempio odierno di mediocre architettura fu restaurato circa un anno fa con buon’ornato e con un affresco sulla volta di un bel colorito dipinto dall’egregio artista Tito Troia. Rappresenta la Trasfigurazione di Gesù Cristo sulle alture del Thabor al cospetto degli apostoli Pietro, Giacomo, e Giovanni.

(1) B. Theoli, Teatro Istorico di Velletri 1644. pag. 351.

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Al di sopra dell’altare maggiore sì ammira l’antica immagine di Nostra Signora del Soccorso, la stessa ricordata dal Theoli e dalla Visita Cavalchini. La Vergine è riprodotta su tavola in piccole dimensioni col Bambino in braccio, e sebbene di buona tinta ed espressiva, pure nel volto non ispira molta devozione.
Ha un pregio il quadro in tela di San Francesco d’Assisi che venerasi nella cappella omonima costruita nel 1506 con affresco riproducente il Santo, affresco che già decolorato nel 1595, come dalla Visita Gesualdo, fu sostituito dalla presente tela. In questa è ritratto il Serafino di Assisi nel momento di esalare l’ultimo respiro, ed un Angelo che sta per abbracciarlo come per condurlo al Cielo.
Le sembianze del Santo morente e dell’Angelo sono di grande espressione, e l’opera venne sempre additata di gran pregio e la migliore fra le esistenti nella Chiesa.
Non si conosce con certezza l’autore, ma il relatore della Visita Macchi del 1848 riporta l’opinione pubblica di allora che attribuiva il quadro di San Francesco al Cavalier d’Arpino, ossia a Giuseppe Cesari (1560-1640).

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Questi restò famoso nella Storia dell’Arte per essere stato il capo della scuola manieristica dallo stile esagerato con vivacità superflua di colorito, di quella scuolache preluse ad un paro barocco in pieno seicento.
Immaginoso, d’ingegno ardito e fecondo « fu nome celebre fra i pittori, come il Marino fra i poeti, dice il Lanzi, (1) l’uno e l’altro sorti in gran talento; ed è osservazione antica che le arti come le repubbliche i maggiori danni ricevano da’ maggiori ingegni ». Per conseguenza egli ebbe oppositori i più serii artisti contemporanei, massimi il Caravaggio ed Annibale Caracci, coi quali ebbe ancora vertenze cavalleresche. Il Cesari non accettò la sfida del Caravaggio, perché, diceva, non era cavaliere, ed il Caracci quella del Cesari dicendo che la sua spada era il suo pennello.
La Cappella di Santa Eurosia ultimamente con i nuovi restauri fu arricchita di una bella tela eseguita dal valente artista veliterno Aurelio Mariani. La verginella martire dalle sembianze di angelica fanciulla circonfusa di aura celestiale vi

(1) Storia Pittorica cit. pag. 188.

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è riprodotta genuflessa, collo sguardo rivolto al Cielo e quasi rapita in estasi, nell’atto di protendere un braccio al carnefice che atterratolo lo mozza con un terribile colpo di scimitarra. (Quanta espressione in tutto il quadro, quale contrasto fra il volto della fanciulla martire e quel brutto ceffo di manigoldo.) A pochi passi dalla facciata della Chiesa s’erge il campanile il quale qualche secolo addietro conservava la sua antichissima struttura di epoca forse anteriore a quella degli altri campanili della città.

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- Chiesa di Santa Lucia -

Non il pregio artistico, non lo splendore e la magnificenza, ma l’antichità veneranda raccomandano l’umile tempio alla considerazione del visitatore. Una pergamena del 1032 conservata nel nostro Archivio capitolare nella quale leggasi: - Un atto di donazione di orto e prato alla Chiesa di Santa Lucia da alcune pie persone nelle mani di Leone II Vescovo veliterno in data del 21 Gennaio, - e ci ricorda che il tempio fu consacrato dal medesimo Leone vescovo nell’anno suddetto. Sono di parere che la sua origine debba risalire precisamente all’epoca della consacrazione: la donazione fatta allora fu probabilmente là prima dote assegnata alla chiesa.

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Noto eziandio che nel più volte citato Breve di Alessandro II del 1065 la chiesa di Santa Lucia non è affatto ricordata insieme alle principali di quel tempo, forse perché novella e quindi non ancora considerata di fronte alle più antiche.
La costruzione deve essere stata sempre la stessa, se si eccettuano mutazioni accidentali e restauri più o meno importanti. La Visita Gesualdo del 1595 descrive piuttosto misera e per giunta umida, come del resto è al presente, col coro dai stalli marmorei e l’abside dipinta con figure del Salvatore e di altri santi molto scolorate dall’ingiuria del tempo, con l’altare maggiore a cui sovrastava una specie di ciborio sorretto da colonne e colonnine di marmo.
Anche la Visita Cavalchini del 1764 nota che le pitture dell’abside erano scolorite; quindi le presenti assai rozze non possono essere le antiche, non è escluso però che l’artista nel rinnovarle abbia seguito le traccie delle primitive.

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Due tele, della Consolazione e del Rosario, meritano qualche considerazione. La prima riproduce la Vergine ed i Santi Giuseppe, Pietro e Paolo, San Francesco e Sant’Antonio, ed all’epoca della Visita Cavalchini (1764) era già in cattivo stato, tanto che si ordinò di rinnovarla, ma sembra che invece fu poi ristorata alla meglio.
La seconda tela rappresenta la Madonna del Rosario, ed è probabilmente quella che Maddalena Sabaoth, istitutrice della Cappellania, nel suo testamento fatto il 23 Settembre 1680 consegnato al notaio Orazio Tori ed aperto il 17 Maggio 1681, dispose che si dipingesse nel termine di tre mesi insieme all’immagine di Santa Maria Maddalena, la quale è molto espressiva ed ammirasi appesa su di una parete della sagrestia.
Per quante ricerche abbia fatte nell’Archivio di questa Parrocchia ed in quello Vescovile, non mi è riuscito conoscere ne l’origine certa, ne l’autore dei tre quadri.

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- Chiesa del Sangue -

È l’unico edificio monumentale esistente fra le nostre mura che ci ricorda il periodo aureo del rinascimento dell’arte, il periodo dell’architettura classica che saluta a principe e restauratore l’urbinate Donato Bramante (1444-1514).
Il tempietto svelto ed elegantissimo di puro stile bramantesco è di forma ottagonale con pilastrini base e cornici di peperino, con otto finestrini ovali, e finisce con bel cupolino elevato a rispettabile altezza. Peccato che la parte anteriore sia stata deturpata in appresso da due finestre rettangolari, ed a quella posteriore sia stata addossata la fabbrica della sagrestia eseguita verso il 1626.

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L’origine deve ricercarsi in una pia tradizione la quale racconta come il giorno 6 Giugno del 1516 l’immagine venerata della Madonna allora esistente in una cappelletta aperta nel muro di una casa presso la piazza del Comune prodigiosamente lagrimò sangue, in seguito al quale prodigio la pietà cittadina votò l’erezione del tempio al culto dell’Immagine miracolosa.
Da un atto rogato dal Cancelliere Vescovile Lodovico Panoti risulta che la fabbrica fu incominciata verso il 1524: è un atto di protesta contro tal Mastro Ambrogetta scalpellino da cui sembra dipendesse il ritardo della fabbrica, la quale poi dovette sospendersi nel 1527 per la ripercussione avutasi nella nostra città del sacco di Roma fatto dall’esercito di Carlo di Borbone.
Si legge che nella luttuosa circostanza Velletri tra gli altri danni vide manomessa e distrutta buona parte dei pubblici archivii, con grave discapito della memorie patrie.
Per giunta nel 1533 sopravvenne una forte scossa di terremoto, e quindi nessuna meraviglia se il compimento della fabbrica si protrasse fino al 1578, come si desume da una perizia dei lavori dello scalpellino Ambrogetta fatta dal perito Antonio Gagliardi con rogito di Ottaviano Della Porta in data 15 Luglio 1578.

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Da un altro atto della Cancelleria Vescovile si apprende che nel 1579 tutti i lavori furono periziati da certi Vincenzo Pasquini e Cola Coccioni per scudi 800, senza però il materiale offerto quasi tutto dal popolo.
Ed infatti la Chiesa deve essere stata inaugurata nel 1579 il giorno dei Ss. Innocenti quando fu consacrata, come dalla lapide di quell’epoca.
La costante tradizione attribuì al Bramante stesso il disegno del tempio. Certo che il sommo artista non poté avere l’incarico di disegnarlo, perché era morto (†1514) quando avvenne il prodigio (1516); nè può escludersi l’ipotesi che siasi voluta costruire la Chiesa su uno dei tanti disegni lasciati dal Bramante, come si verificò per altri edificii.
Forse un architetto qualunque, magari veliterno, che la nostra patria mai difettò di artisti, avrà disegnate le linee della fabbrica seguendo fedelmente colui dal quale tutti allora ereditarono tanto splendore di architettura classica.

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Ad ogni modo se non col disegno proprio del Bramante il tempio fu costruito sullo stile della sua scuola e precisamente nel periodo massimo di perfezione dell’arte, che inaugurato dal Bramante durò sino al sacco di Roma circa l’anno 1527.
Noto che nell’architettura bramantesca fu comune la forma ottagonale per alcune chiese. Dunque compiuta la fabbrica vi fu trasportata l’immagine portentosa segata dal muro antico.
È un lavoro fino per tinta e divota espressione dei volti: la Vergine ha il capo reclinato verso il Bambino ma lo sguardo pietoso rivolto ai fedeli, e due angeli sorreggono un diadema.
Nell’altare di mezzo si venera uno stupendo crocifisso di grandezza quasi al naturale scolpito nel legno con arte non comune, maestoso assai e che ispira devozione profonda.
Ho trovato che da un libro di amministrazione risultava essere stato fatto a Roma nel 1579, ma non mi è riuscito conoscere da chi. A quei tempi fu celebre per i Crocifissi il P. Vincenzo Pietrosanti da Bassiano autore del famoso Crocifisso di Nemi.

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Il terzo altare di fronte a quello della Madonna ha un quadro pregevole rappresentante Santa Cecilia genuflessa ed orante nell’atto di essere decapitata.
Al lato sinistro del quadro è il ritratto di un uomo di mezza figura, forse quel tal Fabrizio Mariola che volle eretto l’altare con istromento del 17 Agosto 1625, epoca a cui probabilmente rimonta il quadro. A sinistra di chi entra vedesi murata una lapide antichissima relativa alle sacre ceneri di S. Tortora Vittorina Martire, ed illustrata da Clemente Cardinali (1).
Nella sagrestia si conserva una buona tela in pessimo stato in cui è raffigurata la Trinità, la Vergine e San Filippo Neri. Si sa che fu comprata nel 1726 dal Superiore Cesare Velli, ma non si conosce l’autore.
Fuori della chiesa sopra l’ingresso ammirasi l’ Horologium Berosianum, un’antica meridiana donata dal grande concittadino Stefano Borgia.

(1) C. Cardinali, Iscrizioni antiche veliterne, Roma, De Romanis, 1823.

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                                          CHIESE DIVERSE

- Chiesa di S. Lorenzo -

La Chiesa di San Lorenzo ricca di memorie patrie riguardanti specialmente la nobiltà veliterna ha un bel quadro del Martirio di S. Lorenzo attribuito a Domenico Oresti detto il Passignano dal luogo di sua nascita (1560-1638), un valoroso discepolo di Federico Zuccari; un altro quadro di Sant’Andrea che alcuni ritengono opera del famoso Cavalier d’Arpino già ricordato, ed un pregevole bassorilievo in marmo per la tomba di Domenico Cardinali degno genitore degli illustri fratelli Clemente e Luigi scolpito da Pietro Tenerani (1789-1869) seguace insigne del Canova.

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- Chiesa di S. Giovanni -

Una grande e bellissima tela centinata riproducente la Conversione di San Paolo ammirasi nella Chiesa di San Giovanni Battista presso il civico ospedale. Si attribuisce a Pietro Berettini da Cortona (1596-1669) pittore dall’ingegno bizzarro il quale, dice il Magni, « pel grande brio e per la grande facilità di pennello, effetto di chiaroscuro e scienza del di sotto in su, per ricchezza di composizione e varietà di gruppi, seducendo la vista, si fece ammirare dal suo secolo, e come il Bernini nell’architettura e scultura teneva il campo nella pittura » (1).

Con molta espressione l’apostolo delle genti vi è ritratto nel momento che percorrendo minaccioso la via di Damasco su focoso destriero, preso da improvviso bagliore precipita a terra toccato dalla grazia divina.

(1) Storia Pittorica cit. pag. 188.

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- Cappella del Crocifisso -

È un’importante affresco quello della Crocifissione di Nostro Signore con la Vergine e San Giovanni ai lati nella chiesuola a circa un chilometro fuori Porta Napoletana. Salvato per miracolo dall’ingiuria del tempo e dalle intemperie è una preziosa reliquia dell’antica Chiesa di Santa Maria dell’Orto che insieme al Monastero omonimo già esisteva verso il mille. L’affresco rimonta al secolo XV e, come opina pure il Magni, non è improbabile che sia stato dipinto dal nostro Luciano da Velletri.

- Chiesa eli Sant’Apollonia -

Nella Chiesa di Sant’Apollonia in via Bandina si venera nell’altare maggiore l’immagine della Madonna della Carità dipinta su tavola nel 1491 per cura di una pia donna, certa Agnese di Castelluzzo. Così risulta dal testamento di lei rogato in quell’anno dal notaio Giovanni di Matteo da Cori, e ne dà conferma il citato relatore delle memorie del Collegio di San Martino, il quale ricorda eziandio che nel 1484 un tal maestro Lazaro da Siena dipinse un’Immagine della Concezione.
Chi sa che quest’artista non sia il medesimo autore della Madonna della Carità?

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Vi si venera pure una vetustissima tavola della Vergine col Bambino, detta della Vita, a noi pervenuta nel 1633 dalla Chiesa antica dei Santi Cosma e Damiano di Roma.
Da una iscrizione in caratteri romani posta ai piedi dell’immagine risulterebbe essere stata dipinta nell’anno del Signore 526; ma non può ammettersi perché la composizione è evidentemente di epoca posteriore, forse potrà ascriversi alla scuola italo bizantina quando molti artefici greci emigrarono in Italia. Quindi secondo me deve escludersi l’autenticità di quell’iscrizione la quale vi fu posta dopo per ricordare una tradizione sbagliata.

- Chiesa di Sant’Antonio Abate -

La Chiesa di Sant’Antonio Abate anticamente era ornata di preziosi affreschi nei quali era istoriata la vita portentosa del Santo; però, secondo il solito, con una mano di bianco sparirono tanti tesori.
I fregi architettonici della porta principale sono molto anteriori all’origine della Chiesa, e forse appartennero a qualche sontuoso edificio sorto all’epoca dei Flavi.

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- Chiesa dei Cappuccini -

Un pregevole e moderno lavoro d’intaglio l’abbiamo nella Chiesa dei Cappuccini, dove Pietro Carnevale (1839-1893) prima intagliatore di legname e poi valente architetto fece l’altare maggiore.
Dice il Theoli che in questa Chiesa si conservava un « Ecce Homo » di Giulio Romano, il grande discepolo di Raffaello, il quale quadro poi sarebbe andato ad arricchire la Galleria Borghese in Roma.
Ricordo un altro quadro di Giulio Romano rappresentante l’Adorazione dei Magi, già esistente in Velletri e poi donato a Pio VI nel 1780 dalla nostra Comunità nella venuta fra noi di quel Pontefice.

- Et Convento del Carmine -

Nell’ampio refettorio, ora sede dell’Archivio notarile pubblico, si ammirano tre buoni affreschi del pittore Antonio Paticchi morto a soli 26 anni di età, essendo egli nato a Roma nel 1762 e morto a Venezia nel 1788.

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Vi sono riprodotti « La Vergine circondata dai Santi Martiri », «Elia levato al Cielo per un carro di fuoco», e « La Cena degli Apostoli ».
Tutta l’opera è una prova eloquente della feconda immaginazione e della dolcezza del tocco dell’artista rapito immaturamente all’arte.
Nell’oratorio di S. Giovanni Decollato presso l’antica Chiesa del Convento, detta, di Sant’Antonino, una volta esisteva un quadro della Decollazione di S. Giovanni dipinto da tal Antiveduti, ed un altro rappresentante Gesù in orazione, la Vergine Addolorata, San Giovanni e la Maddalena, eseguito nel 1753 da Giovanni Balaschi.

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Nell’ "Ex Chiesa di Santa Chiara" si conservava una « Santa Geltrude » in tela dipinta con molta espressione da F. M. Mannucci verso il 1600.

L’ "Oratorio del Monastero del Gesù" ha una « Presentazione al tempio » di Giuseppe Manno romano.

- Il Camposanto -
Consacro questi brevi cenni alla memoria dell’adorata mia madre testé rapita acerbamente all’affetto mio immenso, ed a quella di mio padre che or compiono tredici anni la precedeva nel sepolcro: sulle due tombe venerate mi prostro e depongo mestamente un fiore.
Sacro è il luogo del cimitero come è sacro il culto dei sepolcri.
Il credente medita la caducità delle cose umane e l’ultimo suo fine in questa necropoli, ossia città dei morti, la quale un dì accoglierà pietosamente anche le esanime sue spoglie e le custodirà fino al giorno del giudizio finale.

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Non vi è stato popolo sulla terra che non abbia avuto un culto speciale per la custodia dei corpi dei trapassati, e quindi un cimitero che nella sua etimologia ed in senso cristiano significa dormitorio, ovvero luogo di riposo.
Sembra la necropoli più antica e più importante conosciuta dalla storia sia stata quella in Egitto presso Menfi, detta la Pianura delle mummie d’Egitto; è noto del resto come gli Egiziani tenessero gran cura nel conservare i corpi più che la memoria dei defunti.
Diverse disposizioni presso nazioni diverse regolarono sempre il seppellimento dei cadaveri. Mentre, per esempio, gli Spartani in forza delle leggi di Licurgo dovevano avere i sepolcri dentro la città e preferibilmente presso i tempii, i Romani invece dalla legge delle dodici tavole erano obbligati ad averli fuori e lungi dall’abitato.
La disposizione romana ebbe ancora vigore nei primordi del cristianesimo, e nel 563 il Concilio di Braga rievocò espressamente quanto era sancito dalle legge delle dodici tavole; vediamo infatti che i primi cimiteri cristiani erano situati quasi tutti fuori di Roma ed a preferenza sulle vie principali.

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Fu verso il decimo secolo dell’èra volgare che invalse l’uso delle tombe dentro le mura della città, sia nell’interno delle Chiese per le classi elevate sia presso di quelle per il basso popolo.
Ma col progresso dei tempi, coll’aumento delle popolazioni e di nuove esigenze sociali, anche in nome della sanità pubblica si senti impellente la necessità di stabilire i cimiteri o camposanti fuori delle città ed a determinata distanza dal loro recinto; e nel 1817 sotto Pio VII la Sacra Consueta prescrisse che in tutto lo Stato Pontificio si costruissero i cimiterii fuori dell’abitato.
Allora sorsero camposanti in varie città d’Italia che presto salirono a singolare fama artistica.
Velletri nel 1876 inaugurava il presente Camposanto sostituendolo al vecchio cimitero, squallido ed angusto e per giunta oggi abbandonato e negletto con grande nostra vergogna.
Il progetto di costruzione fu del veliterno architetto Pacifico Di Tucci al quale sin da principio furono rivolte critiche sebbene severe non però del tutto ingiuste.

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Invece dell’enorme sterro sarebbe stato molto meglio lasciare le naturali prominenze di suolo che avrebbero data più varietà e reso meno triste il luogo. Fu criticata pure la costruzione del muro di cinta eseguita contro le regole di buona estetica.
Il prospetto con portico maestoso e di bell’effetto, sebbene reclami in alcune parti le giuste proporzioni, fu dell’architetto Iannetti chiamato a correggere definitivamente il primo progetto. Al difetto d’origine si aggiunge ora l’incuria della civica rappresentanza.
In mezzo a questa città dei morti cosparsa di cipressi e salici piangenti, in direzione dell’entrata principale si eleva la croce con la grande e sublime figura del Redentore che quasi con l’ombra delle sue ali protegge gli avanzi dei trapassati. L’artistico Crocifisso in bronzo di grandezza quasi al naturale che ispira devozione e timore fu dono del Cardinal Vescovo Camillo Di Pietro. I camposanti come le chiese dovrebbero essere i gelosi depositarii dell’arte.
Tali sono quelli celebri di Pisa, Genova, Roma, Napoli, ecc.

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Purtroppo in tanti altri si deve constatare nel più dei monumenti sepolcrali un vero insulto all’arte, la quale non dovrebbe esservi ospitata se non degna del suo nome.
Ogni civile città dovrebbe avere la sua commissione che presiedesse alla tutela ed alla buona fama dell’arte nei relativi camposanti.
Il nostro fra tante brutture ha pure i suoi pregii.
Prima ad erigersi fu la Cappella Berardi. Quella Risi inaugurata nel 1895 con disegno del Veliterno Ottaviano Romani ha la forma di un tempietto bizantino, ed all’interno è sfarzosamente decorata con affreschi del pittore Massimo Gallelli.
Con finezza artistica vi sono riprodotte figure allegoriche fatti biblici e varie teste di santi.
Non lungi sorge la cappella Zioni con grandioso prospetto architettonico, ricca di marmi e sormontata da un angelo colossale di bronzo di ottima fattura. Fu eretta nel 1887 su disegno dell’architetto Carlo Aureli. Molto dignitosa è l’edicola dei benemeriti Fatebenefratelli disegnata dall’esimio architetto veliterno Costantino Schneider, ed ornata da buoni affreschi di

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Tito Troia il quale con ottime tinte e bell’effetto vi riprodusse sull’altare San Giovanni di Dio che assiste un moribondo, e sulle lunette laterali la Resurrezione di Lazzaro, il prodigio di Ezechiele ed uno dei principali miracoli della vita del santo. La Cappella Boffi ha sulla vòlta angeli e fiori dipinti con eleganza da Edgardo Zauli.
La cappella Gabrielli è un elegantissimo tempietto romano con colonnine di marmo alte e svelte, disegnato dall’architetto Matami. Artistico ed indovinato è il monumento sepolcrale di Eugenia Gregni disegnato dal bravo veliterno ing. Temistocle Mancini e scolpito dal menzionato Massimo Gallelli.
Una rustica base con colonna troncata, una corona, il simbolico vaso e la face, è questo tutto un lavoro di travertino condotto con gusto e semplicità. E questa bella ed eloquente semplicità si riscontra nel sepolcro di Agnese Scipioni.
Fra la cappella Risi e quella Zioni si ammirano due artistici monumenti lavorati da due figli di Velletri.

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Il primo è una figura simbolica di bronzo in bassorilievo scolpita con maestria da Giuseppe Magni; il secondo consiste in un doppio medaglione pure in bronzo eseguito molto bene dallo scultore R. Zaccagnini. È da augurarsi che coll’andar degli anni nuove e migliori opere d’arte vengano ad accrescere ornamento al nostro Camposanto e ad arricchire il patrimonio artistico veliterno.

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                                   MONUMENTI PROFANI

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- Palazzo Ginnetti -
L’architettura italiana che fra la seconda metà del quattrocento e gli inizii del cinquecento aveva attraversato un periodo classico di rinascenza per opera del Bramante, e poi aveva ricevuto da Michelangelo un altro soffio di vita novella, in pieno seicento con un fastoso barocco si evolveva mirabilmente e segnava un’epoca tutta nuova di risorgimento e di vera emancipazione ispirandosi ad ideali di grandiosità e di inusitata magnificenza.
Il Bernini, principe degli innovatori, col colonnato di San Pietro ed i palazzi Barberini e di Montecitorio, il Maderno con il

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prospetto e gran portico della Basilica vaticana, il Rainaldi con la tribuna di Santa Maria Maggiore, e tanti altri ci lasciarono opere che attestano la grandezza geniale e la virtù creatrice dell’arte.
Non meno ardito e fantasioso fu allora l’architetto Martino Longhi (†1657); detto il giovane per distinguerlo dall’altro Martino Longhi morto nell’anno 1600.
Egli che in Roma aveva disegnato la bella scala del palazzo Gaetani, ora Ruspoli; fu chiamato a Velletri dal Cardinale Marzio Ginnetti (1535-1671) cittadino illustre e mecenate insigne delle arti belle, perché ornasse il suo palazzo di una nobile scala simile a quella di Roma (1).
Il Longhi dunque venne a Velletri e trovando il luogo molto più adatto per l’esecuzione del grandioso edificio concepito nella sua fervida fantasia, innalzò adiacente al palazzo il meraviglioso scalone che riuscì di molto superiore alla scala di casa Gaetani ed all’aspettativa del Cardinale.

(1) Vedi Passeri, Vite dei pittori ecc. Roma, 1772.

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Quanta arditezza e fecondità d’invenzione, quanto splendore di arte in questo edifìzio forse più unico che raro!
La superba scala costruita di marmi finissimi a cinque ordini di archi con balaustri e svelti pilastrini s’erge alta e maestosa dal piano superiore dell’annesso giardino, tutta eguale, comoda, ornata vaga e piena di luce, con nicchie e statue. Insieme alla bellezza artistica ivi si gode la bellezza della natura che si presenta allo sguardo in un panorama incantevole.
Salendo la scala si riceve bella impressione alla vista di una splendida galleria che immette al primo piano del palazzo principesco. È ornata sontuosamente di stucchi finissimi di stile barocco, dalle espressive cariatidi cha sorreggono le arcate della volta ai molteplici bassorilievi nei quali sono istoriate le dodici fatiche di Ercole, ed ai rosoni, conchiglie e festoni di frutta riprodotti con grande naturalezza.
Autore di quest’opera plastica fu senza dubbio Paolo Naldini romano (1614-1684) scolaro di Andrea Sacchi e di Carlo Maratta, poi che di lui che fu insieme plasticatore statuario e

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pittore, narra il Pascoli (1) che « non guari stette a farsi conoscere e fu chiamato a Velletri a lavorare. Trattennevisi quasi un anno, e fece diversi stucchi nel palazzo Ginnetti e finitili e piaciuti assai ai Velletrani, altri ne fece in una di quelle Chiese ».
Forse la chiesa dove operò pure il Naldini fu quella di S. Apollonia, la quale è ornata precisamente di buoni stucchi dello stesso stile della Galleria Ginnetti.
Il Naldini deve avere eseguito gli stucchi della Galleria, come del resto tutti gli altri del palazzo interni ed esterni, subito dopo l’erezione dello scalone, essendo egli stato contemporaneo ed al Longhi ed al Cardinale Ginnetti.
Qualche secolo fa il palazzo e l’annesso giardino conservavano una preziosa collezione di quadri, statue, busti e sarcofagi antichi, dei quali massima parte emigrò a Napoli ed a Roma in casa Lancellotti.
Al presente nei magnifici saloni, alcuni dei quali decorati da ricchi soffitti e da buoni affreschi del seicento, si ammira ancora qualche busto di epoca diversa, bellissimo quello di Niobe; ed il salone centrale ha un caminetto assai artistico e ricco di marmi.

(1) Vite dei pittori, scultori, ecc. Roma, 1736, Tom. II.

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Nel giardino dal lato nord della scala ammiransi quattro svelte colonne di marmo scanalate con capitello a doppie foglie acquatiche, base e plinto. Illustrate dal Volpi (1) risalgono al secondo periodo dell’arte romana, ed anche il Magni (2) opina che siano appartenute al noto tempio di Marte.
Di fronte all’ingresso principale del palazzo è un’artistica fontanina con tritone marino ideata dall’architetto Fontana Francesco, secondo una relazione di periti romani del 14 marzo 1673 per la sistemazione di tutto l’edificio: a cui è strettamente unito il ricordo di avvenimenti importanti della storia veliterna, importantissimo quello della battaglia del 10 agosto 1744 fra l’esercito napolispano di Carlo III di Borbone e le armi austriache di Maria Teresa durante la guerra per la successione d’Austria.

(1) Vetus Latium, ecc.
(2) Storia dell’arte italiana, vol. I.

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- Palazzo Comunale (*) -

Il Consiglio comunale di Velletri il 12 ottobre 1572 decretava l’erezione di un nuovo e magnifico Palazzo comunale, ed il Cardinal Vescovo Governatore Giovanni Moroni commetteva l’artistica impresa a Giacomo Barozzi da Vignola (1507-1573), il grande legislatore dell’architettura italiana, il quale aveva riempito il mondo della sua fama con le molteplici sue opere grandiose e geniali, prima fra tutte e singolare il famoso

(*) Per la compilazione di questi brevi cenni mi sono valso (scrive il Gabrielli) specialmente dell’importantissima monografia Il Palazzo comunale di Velletri dell’ing. Augusto Remiddi, edita nel 1901, Frosinone, Tip. «Claudio Stracca ».

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Palazzo Farnese in Caprarola. Poco dopo l’insigne architetto veniva sorpreso dalla morte mentre stava già ideando un’opera degna di lui, ed allora il Cardinale Moroni nel 1574 dava incarico di disegnare l’edilizio a Giacomo Della Porta (1541-1604) il valoroso discepolo e seguace del Vignola (1).
Il 26 gennaio 1575 si gettava la prima pietra per la costruzione del maestoso palazzo disegnato dal Della Porta che in quest’opera non smentì il nome suo e di quella scuola che saluta a maestro Giacomo Barozzi.
Da una riproduzione eseguita da C. Fontana nel 1674 sembra che il vero disegno di prospettiva fatta da Giacomo Della Porta fosse alquanto diverso dal presente nel primo piano, perché in origine le arcate del portico di ordine dorico con i due baluardi erano aperte, e ai lati per la lunghezza di tre arcate stavano due balaustrate. Devesi peraltro osservare che la fabbrica fu

(1) Il Della Porta disegnò pure Porta Romana demolita nel 1840, la quale fu creduta opera del Vignola per aver questi avuto l’incarico di erigerla sin da principio.

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compiuta un dopo lungo secolare alternarsi di vicende prospere ed avverse. Morto il Della Porta i lavori furono proseguiti sotto la direzione dell’architetto Gio. Paolo Magi, e tre anni dopo nel 1607 la fabbrica minacciando rovina subì importanti riparazioni condotte dall’architetto Giovanni Fontana.
Il palazzo fu definitivamente compiuto nel 1720 sotto l’architetto Filippo Barigioni. Allora si chiusero tutte le arcate, delle quali due già erano state chiuse nel 1641 secondo il progetto dell’architetto Francesco Paparelli.
Quindi sistemata la fabbrica s’incominciò la decorazione delle ampie sale del primo piano. Nella sala del Consiglio verso il 1756 il pittore Giacomo Marini dipinse buoni affreschi rappresentanti vari episodi della vita portentosa dell’im- peratore Augusto veliterno se non con certezza per nascita senza dubbio per origine, e nel 1764 il decoratore Pietro Piazza vi dipinse pure le armi gentilizie della nobiltà veliterna.
Lo stesso Piazza decorò la Galleria ossia Sala Tersicore la quale poi fu nuovamente ornata col presente nobile disegno dal nostro bravo Vincenzo Vita.

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Fra i due saloni è la grande sala detta delle Lapidi per esservi murate molte lapidi di epoche diverse e di alta importanza per la storia patria: rara e pregevolissima quella che ci ricorda un anfiteatro al tempo di Valentiniano e Valente imperatori. Esisteva eziandio una cappella eretta nel 1727 con disegno di Carlo Stefano Fontana e poi arricchita nel 1755 da un bel quadro di Carlo Valloni rappresentante i Santi Protettori.
Nel secondo piano verso il 1777 fu allestito l’appartamento del Cardinale Governatore sotto la direzione dell’architetto Nicola Giansimoni e coll’opera dei pittori Luigi Baldi, Ermenegildo Costantini, Filippo Macci ed altri.
Tutto il palazzo ha una buona quadreria. L’insigne pittore veliterno Ippolito Zapponi vi lasciò un bel saggio del suo pennello in un quadro in cui è raffigurata la Pace. Sono notevoli alcune splendide tele per pareti di salotto dipinte da finissime decorazioni attribuite ai fratelli Zuccari o per lo meno a quella scuola.

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Vi devono essere pure tre busti artistici in marmo rappresentanti Gregorio XVI, il Cardinal Pacca ed il Cardinal Bernetti, decretati dal municipio nel 1832 ed eretti in una di quelle sale in memoria della nuova Provincia di Marittima con Velletri capoluogo. Sembra che siano stati scolpiti dall’insigne artista romano Filippo Gnaccarini.
Dal sovrastante belvedere che domina tutta la città si gode un panorama incantevole: ivi sarà ristabilito l’importante Osservatorio Meteorologico. Nel pianterreno si conserva una biblioteca ricca di oltre 35.000 volumi con molti e pregevoli manoscritti.
Il monumentale edificio di Giacomo Della Porta negli ultimi tempi minacciava serio pericolo di rovina e reclamava di essere conservato più degnamente. S’iniziarono notevoli riparazioni e restauri sotto la direzione dell’esimio architetto Giulio Magni cittadino veliterno.
Per i ritocchi e riproduzioni in parte delle pitture nella sala del Consiglio è stato dato incarico al nostro valente pittore Aurelio Mariani: vi lavora pure il decoratore veliterno Getulio D’Achille giovane di buone speranze.

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Con i presenti restauri, dispendiosissimi al pubblico erario, il nostro palazzo comunale sarà presto ridonato al primitivo splendore, all’ammirazione del visitatore, al decoro della patria nostra.

- Palazzo Delegatizio -

Di fronte al Palazzo comunale sorge quello già delegatizio oggi della sottoprefettura, incominciato a fabbricarsi nel 1822 e compiuto nel 1835 con disegno del valente architetto Gaspare Salvi.
È un bell’edificio dalle linee semplici e severe, con ingresso e balcone maestoso, e se non avesse di rimpetto il grandioso e monumentale palazzo di Giacomo Della Porta farebbe forse effetto migliore a chi lo ammira a prima vista.
Costò al pubblico erario centomila scudi.

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Sul prospetto fra il primo e il secondo piano è murato un grande bassorilievo in marmo lungo circa dieci metri ed alto metri uno e cm. 50, eseguito nel 1850 con finezza artistica e buona concezione dal sullodato scultore romano Filippo Gnaccarini (1804-1875), a spese della Provincia in memoria del fausto avvenimento del ritorno di Pio IX da Gaeta alla sua Roma.

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Tutto il bassorilievo, che costò ben duemila scudi, rappresenta le provincie che fanno atto di ossequio al reduce Pontefice. Si divide in tre quadri storici con figure di grandezza quasi naturale. Nel mezzo è rappresentata la nostra Provincia che genuflessa ed ossequiente riceve di nuovo Pio IX entro il suo territorio.
A destra Roma con il biondo Tevere e vicina a lei la Francia che tiene in mano il vessillo del romano Gerarca; e la dotta Bologna con la torre di Garisenda ed il Po, avente pur essa accanto l’Austria col vessillo papale. A sinistra è rappresentata Napoli che offre la mano ed ospitalità a Roma esule, ed a un lato la Spagna larga della sua protezione e pronta a difendere.
Si ammirano pure scolpiti in marmo lo stemma del Comune e quello del Cardinale Della Somaglia sotto il cui governo incominciò la fabbrica del palazzo.

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- Fontana del Trivio -

In fondo alla piazza del Trivio, di fronte al Palazzo Ginnetti si ammira un’artistica fontana in travertino di vago disegno, diventata sventuratamente uno sfasciume, non tanto per l’ingiuria del tempo quanto per l’incuria degli uomini.
Dalle indagini fatte presso gli scrittori di cose patrie sembra da non potersi porre in dubbio che autore di questa fontana elegantissima sia stato l’architetto Giovanni Battista Rainaldi che nei 1619 era stato inviato a Velletri dalla Congregazione del buon Governo per sistemare lavori riguardanti l’acquedotto ed alcune fontane.
Però la nostra fu incominciata nel 1022 dallo scalpellino Pasquale Dasideri insieme all’altra fontana di piazza del Piano ora Mazzini, disegnata dallo stesso Rainaldi.

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Anche il Pascoli (1) nota che il Rainaldi dopo essere stato a Ferrara ad assistere ai lavori di fortificazione fu mandato a Velletri dove fabbricò la fontana.
Ricordo ad onore e gloria (lei nostri antenati il monumentale acquedotto costruito dal celebre architetto idraulico Giovanni Fontana (1540-1614), di cui si disse che in quest’impresa molto ardua schernisse le forze della natura.
La grandiosa opera finita nel 1612 costò all’erario pubblico centomila scudi, e con quella si compierono le secolari legittime aspirazioni del popolo veliterno.
Ricordo eziandio come una volta la piazza del Trivio era ornata pure della colossale statua di bronzo di Urbano VIII opera lodatissima del Bernini, per la quale il comune spese dodicimila scudi. Erettavi con grande solennità il 21 novembre 1632,

(1) Vite dei pittori, scultori, architetti, ecc. Roma, 1836, Tom. I.

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fu vilmente distrutta il 24 marzo 1798 dal cieco fanatismo di pochi sconsigliati repubblicani i quali se non altro avrebbero dovuto rispettare l’arte.
Il monumento insigne sorgeva nel mezzo della piazza, rappresentava il Pontefice seduto sul trono in abito pontificali ed in atto di benedire il popolo. Ne era stato fonditore Gregorio De Rossi romano fra i più valenti dell’epoca e ricordato dallo Zani e dal Passeri (1).

(1) Zani Pietro, Enciclopedia metodica ecc., Vol. XIV, Parte I.
     Passeri, Vite dei pittori, ecc.

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- Avanzi medioevali -

Pochi e miseri avanzi ci attestano la grandezza di Velletri medioevale libera e forte, retta saggiamente prima dai suoi Consoli e poi dai Nove Buoni Uomini insieme al Podestà, della città autonoma che non soggiacque mai alla prepotenza dei Baroni, ma spesso ne represse l’orgoglio, che non impallidì di fronte all’audacia straniera, ma seppe resistere a Lodovico di Baviera ed a Ruggero il Guiscardo, e non permise che barbare soldatesche ponessero piede dentro le sue mura.
Insieme all’opera distruggitrice del tempo sembra che in certe epoche tutto abbia cospirato, non esclusa l’incuria ed una quasi mania di distruzione, contro quanto vi fu di pregevole sia per le memorie patrie come per la storia dell’arte.

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La Casa della Ragione, così detta perché vi risiedeva il Potestà magistrato introdotto in Velletri nel 1237 e vi rendeva ragione del civile e penale, era uno fra i più importanti edifizi ammirati nella nostra città per la singolare architettura, con bel portico, archetti e cornici elegantissime e con fini intagli di fogliami nelle finestre.
Vi fu controversia circa l’epoca in cui sarebbe stata costruita; il Magni, per esempio, non è d’accordo ne con l'Uggeri ne con Luigi Cardinali che giudicarono l’opera appartenente al secolo XI, e dimostra ad evidenza come quella debba farsi risalire al secolo decimoquinto o alla fine del decimoquarto nel primo rinascimento dell’architettura italiana (1).
Ora però di tutto l’edificio non resta che qualche incisione, perché già danneggiato nei terremoti del 1800 e 1806 fu distrutto dalle fondamenta nel 1868, due anni dopo che una

(1) B. Magni, Prose d’arte, Fratelli Bocca, Roma, 1906.

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sezione della Commissione delle Belle Arti mandata dal Ministero dei Lavori pubblici in data dell’8 giugno 1866 aveva ravvisato che la Casa della Ragione era un monumento storico per memorie patrie e per l’arte del tempo in cui tu eretto, e perciò da conservarsi. Non vi si crederebbe eppure è storia! Era stata già distrutta la Cancelleria colla loggia dei bandi che sorgeva di fronte alla casa della Ragione.
La stessa sorte toccò nel 1765 al famoso "Teatro della Passione", edilizio pur esso importantissimo per antichità e per la storia dell’arte, sito in fondo alla piazza S. Giacomo, nel 1497 ridotto a forma elegantissima con molte arcate e marmi a profusione.

Antonio da Faenza, Teatro della Passione di Velletri. Scenografia monumentale “all’Antica” costruita in piazza San Giacomo a Velletri
per la rappresentazione della Passione di Cristo dalla Confraternita di
San Giovanni in Plagis (1509-1513). Incisione di I. Benedetti disegnata
da Gianantonio Antolini, commissionata da Stefano Borgia nel 1780.

Velletri che ai tempi dell’Impero aveva avuto il suo anfiteatro, nel medioevo erigeva un teatro per farvi rappresentare i misteri della Religione e specialmente la scena del Calvario, ad educazione morale ed intellettuale del suo popolo.
L’uso di tali rappresentazioni sacre fu allora comune in Italia, ed anche la letteratura nell’infanzia dell’arte drammatica vi portò il suo contributo.

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Il nostro dottissimo Cardinale Stefano Borgia pianse amara-mente la fine miserevole di un monumento cosi insigne di cui ci lasciò un bel disegno inciso sul rame.
Altro edifizio importante del quale si conservano visibili traccie furono le Canoniche di S. Clemente dove sin dal secolo undecimo i Canonici della Cattedrale vivevano in comune.
Si ammirano ancora in varie parti della città reliquie insigni di case di leggiadra architettura che rimontano ai quattrocento circa, ed in genere sono finestre a crocerà o con mensole bellissime, cornici, intagli, ecc.
L’edifizio meglio conservato è una casetta posta nell'antica via Bragoni, ora Andrea Velletrano, che fa angolo col vicolo Galliconi e dichiarato, non è molto, monumento nazionale.
È una costruzione magnifica con archi, pilastri, fregi e mensole molto eleganti, e da una rozza lapide ivi murata risulta che fu edificata dentro il 1400.

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- Bassorilievo importante -

Per buona fortuna ancora abbiamo frale nostre mura un monumento ritenuto sempre di grande importanza per la storia dell’arte cristiana.
È un rozzo bassorilievo di sarcofago marmoreo appartenente al V o VI secolo dell’èra volgare, ora infisso in una parete della sala delle lapidi nel Palazzo comunale, e già murato nel chiostro dell’ex convento di S. Lorenzo.
In senso allegorico vi sono riprodotti varii fatti biblici, fra cui Daniele nudo in mezzo a due leoni ed in atto supplichevole, simboleggiante la Passione di Cristo, ed il Profeta Giona simboleggiante la Morte e la Risurrezione di lui.

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Vi s’ammira pure una figura di donna palliata stante in piedi ed anchessa in atto di pregare. Sembra che in quella donna debba ravvisarsi la stessa persona a cui appartenne il sarcofago, ed è di questo parere l’erudito Stefano Borgia, il quale dagli atteggiamenti della pia donna vuol trarre argomento per dimostrare qual fosse la consuetudine di pregare all’epoca in cui il sarcofago fu scolpito.
Il Lanzi invece in quella figura riconosce la Madonna, e nell’antico cimelio che dice « assai copioso di simboli » riscontra una prova evidente del modo col quale si rappresentò la Madonna sino al secolo quinto, cioè senza Bambino in braccio (1).
Il singolare bassorilievo fu specialmente illustrato dal P. Raffaele Garrucci che lo chiamò « questo gioiello di sarcofago » (3).

(1) De Cruce Veliterna, pag. 199
(2) Storta pittorica, pag. 158 - Vedi a pag. 49 della presente pubblicazione.
(3) Storta dell’Arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa vol. V, pag. 110.

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- Monumenti emigrati -

Con le molteplici vendite dei privati, con quella del Museo Borgiano (1) che il dotto nostro Cardinale Stefano Borgia aveva elevato a fama mondiale. Velletri andò perdendo pian piano tanti tesori artistici che sarebbero bastati a darle celebrità ed a renderla oggetto dell’ammirazione del visitatore.

(1) Il Museo Borgiano, monumento della dottrina operosità e magnificenza del Borgia, era fra i più importanti musei privati d’Europa. Era diviso in dieci classi di antichità: egizie, etrusche, greche, romane, indiane, arabe, settentrionali, messicane e cristiane.
Nel 1814 Camillo Borgia lo vendè al museo borbonico di Napoli per 50.000 ducati (!!!). Una parte però andò a Propaganda Fide per disposizione testamentaria, e forma l’attuale Museo Borgiano.

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Statue, busti, sarcofagi, terrecotte ed altro che ora abbelliscono i principali musei d’Italia e di Francia furono in diverse epoche scavati qua e là pel territorio veliterno che un dì fu luogo prediletto di superbe ville romane, da quella di Caio Mario e del nostro Ottaviano Augusto a quella del bizzarro imperatore Caligola, dove, su testimonianza di Plinio, sorgeva il famoso e gigantesco platano capace di accogliere sotto i suoi rami quindici persone sedute a mensa, e dall’imperatore detto il suo nido.
Fra i principali monumenti rinvenuti nel nostro territorio e poi emigrati tiene il primato la colossale statua di Minerva ammirata nel Louvre di Parigi col nome di Pallade Veliterna, scavata nel 1797 in contrada Troncavia nella vigna di Giovanni De Santis, ora Paparella.
Venduta al Duca Braschi, gli fu usurpata al tempo della Repubblica Francese; ricuperata dal re delle due Sicilie fu nuovamente ritolta a questi dal Governo Francese e trasportata senz’altro a Parigi nel 1798.
La statua scolpita su marmo pario è un monumento insigne ritenuto fra le opere più classiche che a noi siano giunte dall’antichità, un vero miracolo dell’arte greca, dal Visconti e

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da quanti ne scrissero attribuita alla scuola anteriore a Prassitele, forse contemporanea a Fidia ateniese (488-431 a. C.); ed il Magni (1) la ritiene un’immagine della Minerva del Partenone scolpita da Fidia che fu capo della nuova scuola attica.
Altro monumento insigne dell’arte greca rinvenuto a Velletri nel 1794 in contrada Peschio ed ora esistente pure nel Louvre, è la statua di "Ermafrodito giacente" che il Magni (2) opina che sia opera d’arte ellenista avanzata e forse una copia dell’Ermafrodito di Policle ateniese appartenente alla seconda scuola attica nel IV secolo avanti Cristo.
Nel museo capitolino si ammirano "Tre Atleti" in marmo dissotterrati a Lariano in luogo dove è tradizione sia stata la villa dell’imperatore Traiano, illustrati da Carlo Ludovico Visconti (3), dal Magni creduti anch’essi un’imitazione dall’originale in bronzo, ed attribuiti alla scuola Argivo-Sicionia.

(1) Storia dell’Arte Italiana, Vol. I.
(2) Op. Cit. Vol. I.
(3) Nel Bollettino della Commissione archeologica municipale, Roma, Salviucci,
     1876 pag. 68.

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E per tacere di altre innumerevoli statue, come quella di "Leda col cigno", delle tre Muse "Euterpe, Urania e Polimnia", dei busti di "Annibale, di Augusto, di Pertinace, di Tiberio", di Settimio Severo e di tanti altri già illustrati sapientemente dall’illustre nostro archeologo Clemente Cardinali (1), ricordo i preziosi avanzi di un’arte ancora bambina esercitata dai nostri primi antenati figli della gente volsca. Sono figurine volsche che appartennero alla ricca raccolta del Museo Borgiano, ed i famosi "bassorilievi arcaici di terra cotta" dipinti a varii colori e rappresentanti guerrieri a cavallo e su bighe.
Queste rare reliquie importantissime per la storia dell’arte volsca antica di più secoli prima della fondazione di Roma, furono rinvenute nel 1784 e si conservano nel museo nazionale di Napoli, nella seconda sala delle terre cotte.

(1) Atti della Società letteraria Volsca veliterna, Velletri, Mugnoz, 1889, Vol. III.

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                                  - Monumenti nazionali -
       - In Velletri sono stati dichiarati monumenti nazionali -

    1. Il Campanile di S. Maria del Trivio.
    2. Il Palazzo Ginnetti con lo scalone.
    3. La Cattedrale di S. Clemente e sotterraneo.
    4. Fontana in Piazza del Trivio.
    5. Casa medioevale del 1400 nel vicolo Galliconi.

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____________

Nihil obstaf.

F. CANCUS RICCI. – Censor

____________

Imprimatur.

Velitris, 6 Iunii 1908.

____________

Angelus Ph. Epus tit. Europen.

Suffr. Vic. Gen.



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INDICE ALFABETICO       
- dei nomi degli artisti -      

Alippi Francesco   
Andreoli Giuseppe   
Antiveduti   
Aquilio Antonio (Antonazzo Romano)   
Aureli Carlo   

Balaschi Giovanni   
Baldi Luigi   
Balducci Giovanni  (Il Cosci)   
Barbieri Gian Francesco (Il Quercino)   
Barigioni Filippo   
Barozzi Giacomo (Il Vignola)   
Batoni Pompeo   
Bencivenga Luca   
Berettini Pietro (da Cortona)   
Bernini Gian Lorenzo   
Beato Angelico   
Bigordi Domenico (Il Ghirlandaio)   
Bompiani Roberto   
Bragaglia Pietro   
Bramante Donato   

Carnevale Pietro   
Caracci Annibale   
Caracci Agostino   
Cesari Giuseppe   
Cola (maestro)   
Conca Sebastiano   
Corpi Giuseppe   
Cosmati (Famiglia dei)   
Costantini Ermenegildo   
Costanzi Placido   
Cresti Domenico (Il Passignano)   

   D’Achille Getulio   
D’Antonio Bernardino   
Della Porta Giacomo   
De Rossi Gregorio   
Desideri Pasquale   
Di Tucci Pacifico   
Dosi Girolamo   

Fioroni Luigi   
Fidia (Ateniese)   

Fontana C.   
Fontana Carlo Stefano   
Fontana Francesco   
Fontana Giovanni   
Francesco da Siena   

Gallelli Massimo   
Garbi Anton Maria   
Gaulli Giovanni (Il Bacciccio)   
Gavardini Carlo   
Giansimoni Nicola   
Giacomo da Pietrasanta   
Ginnasi Caterina   
Giulio Romano   
Gnaccarini Filippo   
Grandi Francesco   

Iannetti   

  Lanfranco Giovanni   
La Piccola Nicola   
Lazaro da Siena   
Leonardi Achille   
Longhi Martino   
Lovatti Antonio   
Luca Evangelista   
Luciano da Velletri   

Macci Filippo   
Maderno Carlo   
Magi Gio. Paolo   
Magni Giulio   
Magni Giuseppe   
Mametti Giuseppe   
Mancini Temistocle   
Manno Giuseppe   
Mannucci F. M.   
Mariani Aurelio   
Marini Giacomo   
Matami   
Merisi Michelangelo (Il Caravaggio)   
Micheletti N.   

Naldini Paolo   
Nucci Avanzino   

Oddazzi Giovanni   
Ottaviani Michele   

Palombi Alessandro   
Paparelli Francesco   
Paticchi Antonio   
Piazza Pietro   
Pietrosanti Vincenzo   
Policle (Ateneniese)   
Poscetti Enrico   
Prassitele (Ateniese)   

Ragghianti Costantino   
Raibolini Francesco (Il Francia)   
Rainaldi Giovanni Battista   
Romanelli Urbano   
Romani Girolamo   
Romani Ottaviano   
Rositi Giovanni Battista   

Salvi Gaspare   
Schneider Costantino   
Sciotti Emmanuele   
Sebastiano fiorentino   
Soglia Giuseppe   
Sorbi Giovanni   
Stella Sebastiano   

Tatti Iacopo (Il Sansovino)   
Tenerani Pietro   
Toietti Domenico   
Trevisani Francesco od Angelo   
Troja Tito   

Valloni Carlo   
Vannucci Pietro (Il Perugino)   
Vita Vincenzo   
Viti Timoteo   

Zaccagnini R.   
Zapponi Ippolito   
Zauli Edgardo   
Zuccari (I Fratelli)   
Zucchetti Filippo   




Pag.    15
    »     54-62
    »     87
    »     22
    »     92

    »     23-57-87
    »     105
    »     17
    »     47
    »     104
    »     102
    »     47
    »     83
    »     77
    »     111
    »     25
    »     38
    »     21
    »     45
    »     77

    »     86
    »     58
    »     65
    »     71-82
    »     44
    »     24-46-56
    »     15
    »     34
    »     21-105
    »     46
    »     82

    »     106
    »     15
    »     103
    »     112
    »     111
    »     62-90
    »     14

    »     37
    »     121

    »     103
    »     15-105
    »     26-101
    »     101-111
    »     57

    »     92-93
    »     45
    »     15
    »     45
    »     42-105
    »     14
    »     23
    »     86
    »     106-109
    »     62

    »     91

    »     51
    »     21
    »     52-84
    »     47
    »     98
    »     43
    »     48
    »     29-38-84

    »     105
    »     53-97
    »     104
    »     106
    »     93
    »     44
    »     93
    »     87
    »     87-88
    »     72-106
    »     104
    »     93
    »     38
    »     20

    »     99
    »     48

    »     15-57
    »     45

    »     21
    »     104
    »     86
    »     104
    »     80
    »     121
    »     45
    »     121

    »     55
    »     38
    »     110
    »     20
    »     25
    »     92
    »     56

    »     108
    »     92
    »     66
    »     14
    »     15
    »     55
    »     15

    »     29
    »     82
    »     23
    »     52
    »     70-92

    »     105
    »     37-38
    »    25-44-105
    »     38

    »     94
    »     26-105
    »     93
    »     105
    »     26-64



   FOTO dell'Archivio dell'Università del Carmevale
   DISEGNI di Donato Iannone del 1916