Maschere italiane
 

Cenni  sul  Carnevale  Veliterno
e  le  sue  Tradizioni


 
 

    Sin dall’antichità più remota i popoli istituirono svariate feste di tripudio, feste ad Iside o al toro Api presso gli egiziani, i Baccanali in Grecia o i Saturnali a Roma.
    Musica, danze, riti orgiastici e travestimenti costituivano l’apice di queste feste.
    Dopo un periodo oscuro, nel medioevo qualche antica tradizione risorse ed in Italia prese piede soprattutto il Carnevale.
    Famoso quello di Venezia a cui partecipavano: il Doge, la Signoria, gli Ambasciatori; celebri i festini carnevaleschi in Firenze dove partecipava Caterina de’ Medici e alti personaggi, e dove un certo Lorenzo carnascialmente scriveva:
… chi vuol esser lieto sia, nel doman non v’è certezza…
    L’antica usanza delle maschere, derivata da Cibele, Iside, Bacco ed altre divinità, raggiunse il massimo splendore a Torino, Verona, Nizza, Ivrea (arance) e non per ultima Roma (di cui i Ludus Carnevalarii attestano l’esistenza di festeggiamenti carnevaleschi già dal XII sec.) e tutto il suo circondario tra cui la più autonoma Velletri.
    La nostra storia, si dice inizi a gennaio, e precisamente il 17 strano ma vero, si parte dal santo e si continua con il profano, stiamo parlando di Sant’Antonio e non a caso i festeggiamenti del Santo coincidono con l’inizio della lunga festa carnevalesca.
    Il 17 gennaio grazie a “‘o puorco” e alla natura festaiola del Carnevale, Sant’Antonio diventa l’immagine di una divinità quasi pagana, nel giorno dedicato al Santo, esisteva l’usanza di preparare un dolce povero, di farlo benedire e poi darlo agli animali malati per far sì che guarissero.
    ‘O puorco, racconta la leggenda, con la benedizione di Sant’Antonio Abate, entrò all’inferno e a dispetto del diavolo rubò il fuoco (la vita) per portarla agli uomini, facendosi incendiare le setole del groppone.
    Il Carnevale coincide e conclude un importante periodo della vita rurale: la macellazione del porco, che in molti luoghi è chiamata “maialata”, di cui niente va buttato via: le parti più deteriorabili, come le interiora e il sangue sono consumate subito, appena finita la fase della macellazione (da qui diciamo inizia la festa, il pranzo restauratore per tutti i partecipanti alla macellazione), le prime con la famosa “padellaccia”, il secondo con il “sanguinaccio”, gustosissimo salame fatto di sangue, zucchero, cioccolato, pinoli, uvetta ecc.
    Un altro particolare strano è, che la carne di maiale può essere mangiata in tutti i modi, sia cotta che cruda, da qui un antico detto veliterno:

            “ ‘A carne de puórco ‘n scallata e missa ‘n cuórpo,
               ‘a carne de maiale si ‘na coci bbe’ te fa mmale, 
               ‘a carne de suino va cotta a puntino”.


    L’antica parola Carnevale, ha un’origine semplicissima, viene dal latino “carnem levare o carnem laxare” (togliere la carne), il primo vocabolo si è poi trasformato nell’antico carnelevare ed il secondo in carnasciale, entrambi si collegano alla tradizione cristiana del periodo di magro o magari sugli eccessi di consumo di carne, con relativo esaurimento delle scorte prima della primavera, il rito religioso impose perciò una stretta osservanza della moderazione.
    Con carnem levare la Chiesa intimò quindi l’astensione delle carni dal mercoledì delle Ceneri e per tutta la Quaresima, e di cospargersi il capo di cenere, risultò quindi che il dì del carnelevare non si trattava altro che della festa della cena d’addio alla carne.
    L’etimologia quindi prende il nome dal suo culmine, dal significato opposto, come dire: “abbuffemose fino a carnemlevare”.
    Il Carnevale diventa così sinonimo di sregolatezza, di orgia sfrenata, di banchetti con l’ubriachezza per la paura del domani con l’ansia sul futuro delle messi: una festa che si ricollega così alle antiche cicliche stagionali rurali, dove ad ogni fine raccolto c’era un valido motivo festaiolo.
    Questo per il popolo è quindi un periodo grasso con abbondante consumo di carne di maiale, svariati i dolci fritti (ricollegati magari al dolce povero del Santo), come da noi “‘e fregnacce o i fravioni”, dolci semplici fatti con poco, ricchi di niente come il Carnevale, insaporiti e resi morbidi dallo strutto, gonfi di aria magari indolciti da miele di api selvatiche, e in seguito spolverati con aromi afrodisiaci come la cannella, il tutto accompagnato sempre da un vino giovane appena sgorgato dalla botte, il novello.
    Nell’Editto del 1748, forse all’apice di questa sregolatezza, tra le righe della carta ingiallita si riesce a leggere:  “…mentre il corpo si mortifica, lo spirito deve ravvivarsi con opere di Pietà come prescrive il Concilio Tridentino intorno all’osservanza della quaresima…”.
    Si era arrivati al trionfo della gola, ed il tutto sfociò nella costruzione di carri dove regnava ogni ben di Dio, dove era trasportato l’essere satanico squartato (il porco) o l’essere tornato dall’inferno, in queste occasioni si lanciava sui carri cibo dalle finestre (nel Carnevale rimane ancora l’uso del lancio di confetti o caramelle dalle finestre e nelle feste cristiane il lancio di fiori o petali).
    Per questo motivo nell’Art.4 di un altro Editto si legge:


… il Signor Conte Camillo Borgia Cavaliere della Legione d’Onore 
Sotto-Prefetto del circondario di Velletri in data li 14. Febrajo 1814.
ORDINA 
…è proibito per le strade della Città di lanciare delli confetti
sugl’individui non mascherati a conformità dello articolo 5.
dello nostra ordinanza dei 12. del corrente.



 

    Nel 1305 con il Papa ad Avignone, Velletri perde tutta la sua autonomia, e il 13 novembre del 1312 in Campidoglio, si stabilisce che il Podestà ed il Giudice dovevano essere romani, un periodo critico, anni segnati da guerre ed anche da lotte interne.
   Tra le molteplici pretese che Roma impose a Velletri in questo cupo periodo, c’era anche: l’invio annuale a Roma di cera extra per la festa dell’Assunzione, l’acquisto del sale e l’invio di sei giocolieri (luxores) nel sabato e nell’ultima domenica prima della quaresima dal Carnevale di Velletri verso i carnevali sia di Campo Testaccio sia del Foro Palatii Capitolini, ed in aggiunta: …Civitas Velletri… tenetur mittere omni anno in festo Corporis Christi bravium aureum unum pro quo solvi consuevit curr…
    Ancora un altro vecchio documento del febbraio 1346 porta la notizia che quattro delle Decarcìe, quelle in cui vi risiedevano i ghetti, avevano l’autorizzazione e l’obbligo di pagare i “ ioculari” (i giochi) del Carnevale con i “balagnini” tassati appositamente agli ebrei.
    Per sottrarsi da queste imposizioni annuali, il Municipio di Velletri si appellò per ben quattro volte ai due papi che si susseguirono: a Paolo II° il 13 giugno 1470, e a Sisto IV° il 20 gennaio 1473, il 20 maggio 1476 e il 25 marzo 1483.
    Già dal 18 aprile 1374 con la risoluzione di pace con Roma, la nomina di un Podestà veliterno ed il ritorno poi del Papa a Roma, Velletri acquista in brevissimo tempo, un lungo, ricco e florido periodo di benessere, che si riflette anche sui lussuosi carnevali dell’epoca.
    Se Sisto IV° acconsentì a rimuovere le imposizioni di Roma Capitolina, dipese anche dal fatto che, Lui fu nepotista sfrenato, e che, il cognato Card. Riario che spadroneggiava a Roma e contro gli Orsini e i Colonna, mise una buona parola per la città, dato che anche Velletri era acerrima nemica delle due casate.
    Già da questo rigoglioso periodo ci arrivano cenni sulla storica Corsa dello Anello nel periodo di Carnevale che quasi incessantemente si è protratta fino alla metà dei nostri anni 50, quando per il disinteresse dell’Amministrazione verso il Carnevale e qualche incidente verificatosi, non fu più effettuata.
    Nel 1834 il Consiglio Comunale diede il via ad un progetto per la ricostruzione di un nuovo Arco (vedi disegno in fondo), con l’annessione sovrastante dello stemma comunale, per rilanciare al massimo e valorizzare anche nei confronti dei paesi limitrofi la manifestazione della Corsa all’Anello: però non abbiamo trovato certezza della sua costruzione, o se si è solamente modificato quello antico, di sicuro l’Arco andò distrutto nel periodo bellico 1848/49 che terminò nella battaglia di Velletri del 19 maggio 1849 tra i Borboni e i Garibaldini.
    Il rapporto con gli animali, specialmente con i cavalli, era molto radicato a Velletri, e l’Università dei Mulattieri e Carrettieri intorno agli anni 1957/58, cioè un paio di anni dopo, ricostituì una Corsa all’Anello quasi identica, (mancava solamente l’Arco di legno) ne anticipò la data, la fece propria e la inserì nei festeggiamenti di Sant’Antonio Abate (e come per incanto è un cerchio che si richiude, dal profano si ritorna a sfiorare il sacro). Solo nel 1983 ci fu un parziale riaccostamento al Carnevale, fu riproposta la Corsa all’Anello abbinandola alle varie “Circoscrizioni Decarcìe”, e si riparlò di realizzare un nuovo Arco dell’Anello, ma ahimè l’inerzia burocratica è più veloce della marcia indietro, e con i primi passi sul terzo millennio si sa di sicuro che gli alberi per il nuovo Arco non sono stati ancora piantati.
    Oramai lo spirito dei cavalieri era cambiato, avevano idee diverse, idee strane, fu questo il momento che entrò in scena il Palio (si volle ricopiare Siena!?!), uno dei tanti particolari che non fanno parte della nostra cultura, come in seguito lo sarà la corsa della Quintana o del Moro, come pure il Palio dei Volsci, per non parlare dei ridicoli stemmi abbinati alle Decarcìe, effigi che hanno la loro storia la loro cultura che è la nostra storia la nostra cultura, stemmi nobiliari, messi a ridicola insegna di contrade che invece avevano sicuramente solo dei COLORI.
    Il Théoli nel Teatro Istorico accenna a colori per la città, in altri documenti si legge di colori di bandiere, e si parla ancora di colori di compagnie militari sponsorizzate dagli ebrei, quindi si desume che la città in alcuni suoi aspetti era regolata da colori.
    Pur dovendo sottostare alla cultura del nuovo millennio, da parte mia c’è sempre una nota di plauso verso tutti coloro che conservano questa Corsa che presenta sempre un antico fascino.
    La storia diventa nebulosa nel periodo a cavallo dei secoli 5, 6 e 700, non si hanno notizie precise ed è pressoché impossibile consultare l’Archivio Storico Comunale, perché se non completamente allo sfascio poco ci manca.
    Tornando a notizie certe, la Corsa all’Anello si effettuava due volte l’anno e nel periodo carnevalesco, quasi sempre il lunedì grasso in Piazza Superiore ed il martedì grasso in Piazza del Piano e  …veruno indiuidui anche in maschera potrà entrare in Via Corriera… (oggi il Corso) …non è permesso a li Corridori entrare nel Circolo per altre vie, di correre in Truppa, di fermarsi nelle vicinanze dell’Arco, ove pende l’anello. …le Maschere che guadagneranno l’anello proseguiranno la corsa fino al luogo, ove sarà situato il Cerchio delle Fittucce per ricevere il premio (al posto delle Fittucce, oggi si lega al braccio del cavaliere che prende l’anello un Foulard), rilasciando l’anello guadagnato. Terminata la Corsa ogni maschera montata a cavallo dovrà ritirarsi, e molto meno fermarsi innanzi le bettole a bere. A fine manifestazione le Fettucce, gloria e vanto del vincitore, o venivano legate alla finestra o regalate a parenti e amici.
    Il sunto di questi tre articoli lo troviamo in almeno una decina di Editti tra la fine del 700 e la fine dell’800.
   Il Cerchio delle Fittucce era situato ad una distanza di sicurezza dall’Arco dell’Anello e vi prendevano posto: un Giudice, un addetto agli Anelli, un addetto alle Fittucce, un Palafreniere o scudiero addetto all’arresto del cavallo e un Maniscalco.
   Ed ancora (per motivi di sicurezza) un altro Carnevale con il suo Editto di Concessione con divieto dell’uso della maschera:
   “Dalla Residenza Pretoriale di Velletri li 2. Febraro 1831. Essendosi degnata Sua Em.za R.ma il Sig. Card. Pacca Governatore Perpetuo di quest’ Inclita Città di Privativa Sua Giurisdizione di accordare benignamente con suo venerato dispaccio al suo buon Popolo di Velletri, durante il Carnevale i soliti divertimenti delle Corse all’Anello dopo il pranzo soltanto, ed altre feste permesse negli anni scorsi, vietando però l’uso della maschera, le radunanze notturne publiche, o private, come pure l’uso delle armi, degli abiti religiosi, di fermarsi avanti le Chiese, monasteri, e conventi, fare atti indecenti, pronunziare motti offensivi, e così viceversa le maschere non potranno esser molestate da alcuno sotto pena del capo del publico cavalletto…”.


 

     Fin da tempo memorabile, il travestimento maschile è stato il più evidente e spettacolare, si approfittava dell’occasione per sfoggiare abiti insoliti e proibiti, curiosa è la scelta del vestirsi al femminile, uno sberleffo verso i commedianti e i teatranti, o la facilità di trovare abiti in casa. Oggi s’incontra la marea carnascialesca moderna di ragazze con: gambe pelose e muscolose in bilico su scarpe dai tacchi alti, gonne cortissime, calze sostenute da reggicalze di elastico dai colori sgargianti, velette, cappellini, seni finti, facce truccatissime con labbra rosso sangue e ciglia artificiali lunghe.

     Sarebbe interessante capire perché tanti uomini, a Carnevale, si sono travestiti e si travestono da donna. Un desiderio nascosto, una liberazione, una provocazione, un’invidia mascherata?
   In quasi tutti i nostri antichi editti, la Maschera era protetta da articoli ben precisi ben’inteso che non doveva arrecare danni:

…non sarà Lecito ad alcun mascherato di portare arma offensiva di 
sorte alcuna. …non è permesso a niuno coperto di Maschera dirigere 
ad alcuno motti insultanti, ingiuriose espressioni, od equivoche parole.
…verranno puniti quelli che perturbassero la libertà della Maschera, 
e si rendessero molesti alla Maschera. …qualunque Vestiario che imiti 
il Sacro è riprovato, al pari si abborra ogni altro vestiario indecente,
scandaloso ed equivoco. …la Maschera non potrà trattenersi avanti 
le Chiese, Monasteri, Conventi ed altri Luoghi Sacri".

     Generalmente si passeggiava senza accompagnatore, e come arma, sia di difesa che di offesa, era una scopetta fatta di infiorescenze di giunco o altro, usata un po’ per scacciare gli inopportuni un po’ per molestare con petulanza le facce dei conoscenti ed ignoti senza maschera. Ma quando si creava una comitiva e qualcuno veniva preso di mira da cinque o sei di questi scopettatori, non si aveva scampo, la fuga era impedita, difendersi energicamente contro questi tipi di scherzi era pericoloso perché le maschere erano inviolabili e i birri avevano l’ordine di proteggerle, la sola via di scampo era dover pagare la solita bevuta in qualche fraschetta.
    Spesso nell’ultimo o il penultimo articolo dei nostri vecchi editti si parlava di altri giochi, tra i più famosi la Ruzzola: “…si dichiara, che è permesso in questi giorni il gioco del Formaggio fuori di Porta, non però sono autorizzate le scommesse sul gioco medesimo, Chiunque pertanto dei Giocatori o Estraneo si permettesse scommettere somma alcuna, o con essi, o con altri, s’intende incorso nella pena che trovansi stabilita per li giuochi…”.
    Si sa che in quel periodo, scoppiò una vera e propria mania per le scommesse, che portò alla più totale rovina persino i possessori di cospicui patrimoni. Così i governanti della città incominciarono ad emanare leggi contro gli scommettitori, minacciando pene sempre più severe, che andavano da salatissime multe fino al bando su pubblico cavalletto con 50 colpi di frusta.
    Talvolta nel periodo carnevalesco si effettuava anche la corsa dei Barberi (cavalli scossi), queste corse però venivano effettuate maggiormente il 15 agosto e di tanto in tanto anche nella festa della Madonna delle Grazie: corse pericolose che avevano un loro severo regolamento e che non erano molto gradite dagli abitanti del percorso.
   E poi arriva Gurgumiéllo, si, la maschera veliterna considerata storica dal popolino, proprio quel buffo personaggio “il rozzo vignarolo velletrano ripuglito” disegnato nel 1982 dall’artist’amico Giancarlo Soprano è spesso trascurato ma considerato verosimilmente il personaggio veliterno tipico, tratto da antiche poesie dialettali del nostro concittadino G. B. Inchini: 

Quà derèto se sente sonane, 
de cocozza lo bello trommone, 
Gurgumiéllo, co’ ‘Ntogno e Peppone 
stavo pronti pe’ fasse ammazzà
” 

e successivamente riproposto (riesumato e difeso) dallo scrivente, è entrato di prepotenza nella leggenda veliterna: 

Sarvognuno!!! Gurgumiéllo, 
te volenno fa’ ‘ncerciane, 
co’ ‘na mmaschera ‘n ze sane 
ripittata la per là”.

     Proprio quel Gurgumiéllo che accomuna nella sua figura i tratti del vignarolo velletrano dei primi anni dell’800. Il piccolo proprietario contadino un po’ aristocratico, appena tornato dalla Battaglia di Marino, con il suo mantello a ruota sormontato dal farajolo, con i suoi imponenti baffi, con il naso grosso arrossato dal buon vino vellerano, con il caratteristico copricapo (tipo rezzola) a mo di cappuccio, la larga fascia nera in cinta, i calzoni alla zompafosso abbottonati sotto il ginocchio, camicia larga, calzettoni, scarpe grosse chiodate e ...cervello fino, appoggiato ad una canna di bambù dai molteplici usi.
    Una maschera impressa da tempo e nel tempo nella mente veliterna.
   La notte del Martedì Grasso, prima delle Sacre Ceneri è stato sempre il termine improrogabile del Carnevale per la Città di Velletri sia medievale che moderna, ne fanno fede i suoi molteplici Editti arrivati fino a noi, dove il rogo di Re Carnevale, il culmine della festa, il fuoco non come morte ma come momentaneo riposo, l’intreccio che torna tra il sacro e il profano, la resurrezione, dove il nuovo Carnevale dovrà risorgere dalle ceneri, o dove le Sacre Ceneri si confondono e si mescolano con quelle profane nel momento della transizione.
    Dal 1978, cioè da quando il Carnevale è ritornato sul suo corso normale, fino ad oggi, ha effettuato una sola sosta, era il ’91 quando il 14 gennaio con i carri appena freschi di colla e pronti all’uscita, l’Università del Carnevale annuncia la sospensione delle sfilate in programma nei giorni 3-7-10-12 febbraio per i gravi fatti del Golfo; anticipando così la seduta straordinaria del Consiglio Comunale del giorno successivo, al termine della quale, dalle parole dell’allora Ass.re al Turismo Nello Fabei si emanava il seguente comunicato: 
    “Questa Amm.ne, in accordo con l’Associazione interessata all’organizzazione  del Carnevale, facendosi interprete dello stato d’animo della cittadinanza…  …auspicando una soluzione pacifica sulla guerra del Golfo Persico…  …ha ritenuto opportuno annullare le Manifestazioni del Carnevale Popolare Veliterno 1991”.
    Nel 1998 con l’insediamento di un'altra Amministrazione Comunale, l’Associazione Culturale Università del Carnevale iniziò ad allentare le briglie sul Carnevale: l'Università con vari lustri sulle spalle vidde lontano, e difatti, le incomprensioni e le irregolarità non concordanti con il proprio vecchio statuto, hanno fatto sì che molte qualità degenerassero, lo scopo puramente allegorico e festaiolo, la passione artigianalcostruttiva dei Carri, sono visti in questo periodo in una luce e con una dimensione pudicamente doviziosa ed economica.
      “Tanto tuonò che piovve”, con l'occhio lungo l'Università decise che nel Carnevale 1999 non avrebbe partecipato: iniziò un periodo di sperpero i Carri acquistati altrove spuntarono come funghi, i soldi viaggiarono a fiumi e non solo verso il Carnevale.
      Tutto finì nel 2006 quando con un FLOP tremendo il Comune di Velletri andò per 2 anni sotto commissariamento per un debito che ancora si sta valutando.
      Ora per il Carnevale pian piano qualcosa sta rinascendo per la buona volontà di alcuni giovani, i contributi sono venuti meno, quindi bisogna rimboccarsi le maniche, i membri dell'Università (ormai anziani) stanno gridando a più voci che serve un ringiovanimento anche all'interno dei nostri spazi ma nessuno vuol farsi carico di tante responsabilità.
    A Gurgumiello l'ardua sentenza......

Ricerche di Moreno Montagna

 

Progetto del nuovo Arco dell'Anello; frontale, laterale e sezioni (1834)