COMPENDIO
della
STORIA VELITERNA
scritto dal
SACERDOTE TOMMASO BAUCO
TIPOGRAFIA MUGNOZ
Roma 1841
A SPESE DELL'EDITORE LUIGI CAPPELLACCI


 
 

    - Qui il solo capitolo che riguarda il nome "VELLETRI" nel tempo. -

     

     

Prima di discendere alla descrizione de' fatti di questa città, dare una chiara notizia del suo nome, che presso gli storici in differenti maniere trovasi usato.
Il nome di Veletri, che ora porta, non è quello da quando era in auge, e della nazione volsca faceva parte. Il discoprimento di una lamina di bronzo scavata in questo territorio nell'anno 1784 scritta in linguaggio volsco ha fatto conoscere qual nome in que' remoti tempi questa città avesse.
Interpretato questo volsco monumento ed illustrato da uomini chiarissimi in ogni sorta di lettura, e di belle arti, si è rinvenuto che il nome di Veletri in Velester, e 'l suo gentilizio in Velestrom.
Esisteva tale monumento in questa città nel Museo Borgiano: ora è in Napoli nel Regio museo Borbonico. Non è fuori di ragione adunque asserire, che da Velester Volsco ne sia derivata la varia denominazione, che in diverse epoche ebbe Veletri presso gli scrittori greci, latini e toscani, cambiandone delle lettere, o aggiungendone delle altre, essendo ciò proprio delle antiche lingue. Strabone ed altri Greci scrivono Ovelitrae: ma Stefano Bizantino scrive Belitra.
I Latini, allorché fiorì la loro lingua, scrissero Velitrae e così parimenti da Velester rinacque Velletrum nella decadenza del latinismo. Anzi dopo rinate le lettere in sei differenti modi scrissero in latino il nome di Veletri. Per prova di ciò, io riporto per esteso le note già date alla luce con molta erudizione sopra questo riassunto dal Cav. Luigi Cardinali nelle osservazioni di un antico sigillo capitolare.

Nata la volgare favella, anche in questa ebbe Veletri varie denominazioni. Ma finalmente la consuetudine ha fatto sì, che posposte tutte le altre nomenclature, si appelli Veletri. Nè questo nome può dirsi moderno: imperocché adoperato fu da' primi scrittori toscani, trovandosi usato da Giovanni Villani nella cronica, ch'egli nell'anno 1300 incominciò a scrivere.
Se così varia trovasi la denominazione di Veletri, non è poca la varietà, con cui dagli scrittori è usato il gentilizio di essa. Fra gli antichi lo steso Stefano Bizantino chiama i cittadini Belitriani: Plutarco, e Dionisio Alicarnasseo Velitrani; e Svetonio Velitrini. Ma, dopo rinate le lettere, in più di ventiuno maniere fu declinato dagli scrittori il gentilizio medesimo.
Trovasi questo nome quasi comunemente usato e scritto con doppia l. Velletri non solamente dagli scrittori patrii, ma dagli stranieri ancora. Chi riflette alla maniera come questo nome trovasi scritto nella lamina volsca Velester, e presso i latini Velitrae, dovrà adottare l'uso di scriverlo con la semplice l. Veletri: e così il gentilizio Veliterno, che deriva da Velestrom volsco, e da Veliternus latino; e non mai Velletrano. Io mi appello a vocabolari più esatti e più celebri in letteratura.
In quanto alla etimologia di Veletri, gli scrittori patrii Bonaventura Teuoli, e Alessandro Borgia la deducono dalla parola latina Velitrae dalla unione di tre ville Villae tres. E veramente la genesi di Veletri sembrerebbe corrispondere al sentimento di alcuni sapienti, che insegnano, che tutte le città, che sono declinate nel numero del più, abbiano avuta la loro origine dalla riunione di più borghi, di più casali, o di più ville: come infatti è accaduto nella fondazione di Venezia, di Parigi, e di altre città, che declinansi in plurale. Ma essendo accolta per buona l'antichissima denominazione di Veletri in lingua volsca Velester, le sentenze di questi scrittori non cadono qui in acconcio, e nulla provano per Veletri .

Dalla lamina su accennata bene scorgersi, e con ogni fondamento può asserirsi, che in Veletri, e in tutte le altre città volsche usavasi un particolare linguaggio proprio di quella nazione e distinto da latini e dagli altri popoli confinanti.
L'abate Luigi Lanzi scrive: « ... che la lingua osca, o volsca era ben diversa dalla latina; di poi se le andò avvicinando a segno, che si recitavano in Roma commedie osche, e vi si intendevano dal popolo, come oggi s'intendono le maschere napoletane: come scrive Titinnio olsce et volsce; nam latine nesciunt. »
Ebbero anche un dialetto loro proprio. Questo parlare molto accostavasi ed assomigliavasi alla favella de' Sabini: come eruditamente il dimostra Atanasio Kircher. Scrive Marco Terenzio Varrone, che la lingua sabina con quella de' volsci s'innestasse. E Festo dimostra, che il linguaggio de' volsci si stendesse agli Abruzzi, e sino in Sicilia giungesse. Questo parlare cessò, allorché Roma coll'estendere il suo impero, propagò ancora il linguaggio latino non solo nelle vicine contrade, ma eziandio ne' lontani paesi. Il Lanzi coll'autorità di Strabone dice: « ... che la gente volsca finì, e nondimeno rimasero in Roma quegli spettacoli (commedie) e in essi quella lingua (volsca). Ne' caratteri i volsci usarono l'alfabeto latino, come si vede nella insigne loro lanima, e nelle loro medaglie. »
Incomincio la narrazione de' fatti appartenenti a questa città. Ma siccome tanto nascoste sono fra le tenebre dell'antichità le cose a Veletri spettanti prima della fondazione di Roma, solo di passaggio accennerò quello, che viene in confuso riferito, per poi prendere un ordine più chiaro e più sicuro, che sia per condurci ad un veridico racconto.


"MA  QUESTA  E'  UN'ALTRA  STORIA"




Bibliografia
Canonico TOMMASO BAUCO - “La Storia Veliterna” (frammento)
Foto testata - Lamina Volsca (riproduzione artistica)