Giovan Battista Jachini

E' il 2004, e con immensa gioia che siamo presenti alla scoperta di una lapide in memoria di G. Battista Inchini (1860-1898) in via Portella dove nacque. Grazie all’interessamento dell’amico Luca Leoni che già si prodigò per il centenario della scomparsa del poeta nel dicembre del 1998.



Iachini nasce a Velletri nel 1860, nella casa del padre Giuseppe, notaio.
Secondo alcune memorie, abitavano in Via Bonese, per altre in via Bragaccio; troviamo anche l'indicazione di Via Portella n. 11, che riteniamo la più credibile per l'indicazione del numero civico. Bonese e Portella sono comunque due strade vicine e parallele, unite proprio dalla traversa di Via Bragaccio.
Si trasferisce per studiare a Roma, dove si laurea in giurisprudenza ed esercita la professione di avvocato.
Il fratello, notaio come il padre, sposa Maddalena Vagnozzi, figlia dell'avvocato Pietro Vagnozzi, ultimo Prefetto dello Stato Pontificio a Velletri, qui inviato nel 1860.
Giovanni Battista si fidanza invece con l'altra figlia di Pietro Vagnozzi, Rosa, collaboratrice dell'Osservatore Romano, autrice di poesie e romanzi.
Non si conoscono i tempi, ma i due si lasciano: Rosa, che rinuncia per sempre all'idea di sposarsi, morirà nel 1935, mentre Giovanni Battista si fidanza con una ragazza di Sezze.
Qui si fermano le notizie su Iachini in nostro possesso fino al 1998 quando, in occasione della celebrazione del centenario della sua morte, un nostro bravo ricercatore ci fece un meraviglioso regalo, ricostruendo dopo molte peripezie non solo l'insospettato seguito della biografia di Iachini, ma recuperando, quando ormai pareva impossibile farlo, la foto del poeta.
Fidanzatosi con la ragazza di Sezze, si supponeva che Iachini non si fosse sposato, a causa della sua prematura scomparsa avvenuta a soli 38 anni il 18 marzo 1898, ma ancor più perché la fonte documentaria, appartenente ai discendenti della famiglia Vagnozzi, a tal proposito non seppe dirci più nulla.
Le discendenze della famiglia Vagnozzi, imparentata con gli Iachini, portano a personaggi noti della nostra vita cittadina: l'avvocato Pietro Vagnozzi ebbe con la prima moglie, oltre a Maddalena e Rosa, anche Virginia e Alfonso.
Questo è il nonno del geometra Patrizio Saraceni (sindaco dal 1977 all'82 e dal '92 al '93) e di Caecilia Saraceni, suocera del compianto assessore Nicola Ferri, scomparso nel '96.
Dalla seconda moglie, Pietro Vagnozzi ebbe altri tre figli: la prima, Maria, sposò l'ing. Oreste Nardini.

L'avventurosa ricerca sulle tracce del poeta.


Ma ecco, riassumendo il più possibile, come nasce la ricerca e la scoperta della biografia di Iachini.
Nel 1998, dopo la presentazione della 1° edizione del presente volume, il nostro storico e ricercatore Luca Leoni fece propria l'insoddisfazione di chi scrive per quella biografia "monca" del poeta al quale tutti noi siamo affezionati.
Cominciò, col giornalista Franco Zaccagnini, da una ricognizione al cimitero, dove rinvenì la scheda che indicava il luogo di sepoltura a ridosso del muro di cinta a sud. Ma lungo quel muro, già da una ventina d'anni s'era proceduto ad estumulazioni per la costruzione di un nuovo tronco.
Sembrava finire tutto lì, ma i due non si rassegnavano, tornando più volte ad aggirarsi per il cimitero.
Nei pressi del luogo dove probabilmente giaceva Iachini, trovarono una vecchia lapide annerita, seminascosta da una nuova costruzione: "Quintina Iachini nata Palliccia" morta nel 1899 a 32 anni.
Pensarono ad una parente. La lapide citava una amatissima sua figlia Annita, ma non il nome del marito. Forse era già defunto?
In effetti Giovanni Battista era scomparso un anno prima, ma tanta era l'abitudine a pensarlo scapolo, che dapprima non venne spontaneo fare ipotesi.
La ricerca si spostò agli archivi della parrocchia di S. Martino, entro la quale rientra la casa natale di Via Portella. Si scoprì che Anita era figlia di Giovanni Battista, nata nel 1889, e sposata a Roma con un Ennio Semenza.
Luca Leoni contattò il parroco della chiesa romana, trovando riscontro al documento di Velletri ma non andando oltre. Interpellati senza risultato tutti e cinque i Semenza dell'elenco telefonico di Roma, Luca Leoni tentò inutilmente anche con qualcuno dei quarantanove Iachini.
Tappa successiva: Uffici del Cimitero del Verano. Anita Iachini sepolta dal 1973 insieme ai Semenza.
Ancora: Anagrafe di Roma, per rintracciare discendenti di Anita.
Rispondono che per tali ricerche occorre la richiesta di enti o istituzioni. Luca Leoni torna con una richiesta dell'Assessore alla Cultura di Velletri, ma viene informato che per la risposta bisogna attendere forse più di un anno.
Di nuovo al Verano dove, trovati i loculi e annotando date e iscrizioni sulle lapidi dei Semenza, il nostro investigatore ricostruisce la storia di questa disgraziata famiglia Iachini: quindi, Giovanni Battista morto a 38 anni e la moglie l'anno dopo a 32.
Lasciano una bimba, Anita, di dieci anni, che già alla nascita era stata battezzata "sub condicione" date le sue precarie condizioni di salute, e che sposerà il Semenza: avranno un unico figlio, Ugo, che muore a soli cinque anni nel 1915, mentre Anita resta vedova nel '34. Ma la luce votiva è accesa, e qualcuno dovrà pur pagare la fornitura d'energia.
Contattata l'Acea: bisogna sapere il numero d'utenza, che viene decifrato su una targhetta arrugginita della lampada votiva.
Nonostante la legge sulla "privacy", il nostro riesce, supplicando e fornendo ragioni, a ottenere nome e indirizzo dell'utente che, però, non compare sull'elenco telefonico.
Un vecchio elenco telefonico con gli abbonati ordinati per indirizzo, vecchio di venticinque anni perché non più stampato, è l'ultima speranza: il nostro Leoni riesce a mettersi in contatto con la signora Anna Quintina Palliccia, vedova Modica cugina di Anita.
Ultranovantenne molto sveglia ma anagraficamente a rischio, tanto che Leoni ha un fremito quando quella dice che sì, un giorno o l'altro ricercherà le foto che sa di avere.
Passano alcuni giorni, ma probabilmente l'anziana donna, cui Leoni ha lasciato il proprio numero di telefono, diffida di costui che va ricercando chissà perché – nonostante tutte le spiegazioni – le foto di Giovanni Battista.
E' il signor Modica, figlio della signora, a chiamare Leoni per chiarimenti, e con lui si può condurre un discorso un po' più assennato. Costui non sa niente del "poeta": in famiglia, Giovanni Battista era "l'avvocato".
"La Battaglia di Marino"? Leoni accenna i primi versi: Qua dereto se sente sonane / de cocozza lo bello trommone… Ma sì! "…Gurgumiello co' 'Ntogno e Peppone…" continua il signor Modica… . E gli torna in mente quella poesia che in casa sentiva spesso quand'era bambino; ma lui non sapeva, o non aveva capito, che l'aveva scritta l' "avvocato" Giovanni Battista, padre di quella Anita che, rimasta orfana a dieci anni, era venuta a vivere a Roma con la cuginetta, cioè la madre dello stesso signor Modica.
E si ritrovano le foto, un tempo incorniciate insieme a tante altre, appese alle pareti di casa.
"Le ho tolte" – precisa la vecchia signora – "e alle cornici ho messo gli specchi. Co' tutti 'sti morti 'n giro pe' casa…!"
E così poche settimane dopo, nel dicembre 1998, celebrandosi a Velletri il
centenario della scomparsa del poeta Iachini, una sua gigantografia comparve in manifesto per la città.
Per l'occasione fu pubblicato un volumetto con le sue poesie e quant'altro compare in questa antologia, oltre alle foto di lui e dei suoi congiunti, tutte fornite dalla signora Palliccia. Inoltre, la sua biografia finalmente completa, e il racconto di Luca Leoni della sua rocambolesca avventura sulle tracce del poeta.
Per l'occasione, R. Zac dedicò a Iachini alcuni versi:

All'avvocato Giovanni Battista Iachini,
poeta velletrano, nella commemorazione
del centenario della sua scomparsa..
Velletri, 17 dicembre 1998

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Caro avocato, chi t' 'o fusse ditto
ch'ariciccéi cossì doppo cent'agni…!?
Già da allora, pe' chello ch'eri scritto
caituno se 'ncazzà: cegnere e pagni

zozzi, ma zozzi! E doppo è 'ncominciata
'a voglia de struppiatte ca' poesia;
honno finito a dattela 'nzuccata
struppiènnote peffino 'a vita tia.

'O zitello?  Ma 'ndó?!  Eri assorato!
Manfrodito?  Ma nun è vero gnente!
Tenessi 'na cratura, e disgrazziato
te venne appresso, 'st'agnima 'nnocente.

E t' 'a cogliessi ch'eri giovinotto:
te facéssimo neccio, cicciottello,
biondo, moro, ardo, traccagnotto,
co' i baffi, senza baffi, co' 'o cappiello…

E 'mmece ecco qua che pe' maggìa
riresce 'o mucco tio co' 'a spiegazione:
"So' 'n galantome, e la famiglia mia
è tutta gente de reputazione…"

Una d' 'e cose giuste che s'i scritto.
Però, avocà, …ma chi t''o fusse ditto!?

*****ZAC*****


Alcune sue poesie


La battaglia di Marino   La Precissione


 

Lo telegrifo


O Pè', tu che fa' tanto lo saputo,
spiegheme po' 'sta freg... comme vane,
che battènno 'n presempio, 'n cima ssàne,
t'arespógneno a Roma c'u' mmenuto!

- Accidentaccio che gnurantitàne!
Ha' pacenzia, si parlo aresoluto;
E ttié' coraggio po', puorco fott...
de dì che 'n so' bbon'atro ch'a magnane...

'O telegrifo è comme 'n agnimale
che glie tiri la coda a parte areto
e strilla annanzi, che gli ha' fatto male.

Ammàggina mó ttu (ma nun ce stao)
'n gatto gliongo 'nsinente a Carpineto,
qua meni, e llà lo senteno fa' gnao!


E' muorto


L'atra dìne da sòrema Carlotta
me la còzze, 'n sapènno si 'ndó annane;
e llà, capata 'na regazza iotta
era 'n fregaccio che ce stea a ballane.

Quando damme derèto 'na gran botta
me sento, e ddì' "te pòzzeno scannàne!
Co' 'n ammalato giù, brutta marmotta,
chessa cagnara te si miss'a ffàne?!".

Io n'arespùse; e giusto pe' ffa' vede
ch'erimo gente bona e po' aducata,
lassammo 'o ballo e se mettammo a sséde.

Ma llà a 'n atro mumento venze 'u stuorto
e fece "me ce manna qua Nunziata:
m'ha ditto che balléssivo, ch'è muorto!".


'O velletrano


So' 'n galantome e la famiglia mia
è tutta gente de reputazione:
gnisuno ha fatto mai 'n ca... la spia,
e manco semo stati mmai 'n priggione!

E ssi ppo' m'honno fa' ca' boieria,
nu' l'abbozzo, mannaggia San Simone!
Càvoci... sciaffi... cortellate... e via!
'N so' vezzo a ffa' la parte da fregnone.

'A sera, doppo d'èsse lavorato,
revaglio 'n casa, e curo a lo starìo;
là bevo, gioco e dicio ca' sacrato.

Dapó co' 'Ntogno lo compare mio,
doppo èsseme, pe' Crista, 'mbreacato,
me ne vaglio a dormì 'n grazia de Ddio.


Fra donne


Feniscela! te dicio, sà' Nunziata?!
Nun se 'nzurda: se parla e se raggiona!
E nun dì male più de 'sta casata,
ch'è meglio de la tia, sora minciona!

Co' 'ssa lengua che tié', che 'ssi fregata,
me venghi a ddì che ssì de gente bona!
Quando te ce si tanto arescallata,
nun me fa, nun me ficca 'ssa canzona.

Io nun so' vezza a fane la ciovitta
e a famme ciaccierà p''o vecinato
comme fa' tu 'gni sempre... e statte zitta!

E a marìtemo, gnente glie pò' appóne...
è stato pe' sett'agni carcerato,
ma co' l'onore e la riputazzione!!


Per il chiasso al piano di sopra


- Ve pozzeno ammazzà! Da 'stammatìna
che stete a rompe li mincioni, stete:
'n pozzo aresiste più de llà 'n cucina;
che, li mortacci vuostri ve ballete?

Me meraviglio sì, pe' cristallina!
che sete gente mó, che conoscete,
tengo de llà mi' figlia Crementina,
che sta 'n fonno a lo glietto co' lo prete.

Moréte d'accidente tutti quanti!
Gnate fora a ballà, 'mmezzo a lo stazzo,
che se so' stufi già puro li Santi!

E ssi n'abbasta chesto, vengo ssàne
ve piglio pe' lo cuollo, e si 'n v'ammazzo
che pozza aremané de buotto quane! -


- Potrìssi dì più piano, 'ssi fregato!
'Ssa voce 'nfino a Napogli se sente!....
Già da lo vino mó starà' arderato,
sinnó nu' strillerìssi 'n accidente!

E ssi ttié' co' lo prete l'ammalato,
nun te potemo fà davero gnente,
e quando 'n casa sia se sta serato,
se pò ballà, cantà, st'allegramente.

Pecché paghemo 'gn'anno a Sor Peppino
tanto sanguaccio, e ssi trighi u' mmumento
cure a pigliasse chillo poco vino!

E ce vorìa dapó' 'ss'atra frescaccia,
che lo còmmito sio, manco qua drento
se potesse fa' più; che bella faccia!... -


- Dunque pretegnerìssivo mó voa,
che stessim'a sentì 'ssa zinfonia,
ma noa se ne freghemo, tanto noa
'n z'olémo fa' venì ca' mmalatìa.

Vorìa puro compatì si 'n doa
fussivo, o 'n trene, ma gesummaria,
ve ce sete ficcati 'n ventidoa,
manch'èssivo assardata 'a casa mia!

E po' chi nu' sta bbè' nun s'arispetta?!
Ce stane chella llà che tengo male
che daglie strilla comme 'na saetta!

Aspettéte po' ppiùne, 'éte pacenzia!
Sfoghéteve, pe' Crista, a Carnevale:
me pare che ce vò' po' de cuscienza! -


La visita

(per la leva)

Sem'iti a Corte, e drento a 'n cammerone
ci'ònno fatto spoglià da capo a pede;
quattro cazzacci stenno bell'a ssede,
che ce dìsseno ch'erno 'a commissione.

U' mmedico sordato vòzze véde
si tenammo 'na bona comprensione;
ma pe' ffà chesto qua, nun ce se crede
quante fregne te fa, quanto ce vòne...!

Te se mette a 'ddorà 'e récce e 'o fiato,
t'arapre 'a vocca, te ci'avàrda drento,
te batte 'n pietto e sente si è 'ndrondato.

E pe' capacitasse si èrmo boni
d'èsse subbito missi all'armamento,
ce dette 'n'attastata a li coglioni!


Rivoluzione


"Abbasso! Abbasso 'o Sindico, che qua
tirà più annanzi móne nun se pò:
è fenito lo tiempo d'abbozzà
e de mette 'na tassa 'gni pò pò!

Abbasso! Abbasso chi se stà a 'ngrassà
co' lo sanguaccio nuostro!... Abbasso! ...Aho!
'N ce sta più 'n mòcco... si venémo 'ssà
ve iettémo de sotto, mica no?!..."

'O Sindico, 'n potènno più sentì,
da 'na finestra a tutti chilli giù,
'ntra li cìfogli appena pòtte dì:

"Zitti compagni, nu' venéte su,
pecché si è ita fino a mó cossì,
'n appresso se farane po' pe' du!!